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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BENIN
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Lunedì, 7 marzo 1988

Cari fratelli nell’episcopato.

1. Con grande gioia vi ricevo in occasione della vostra visita “ad limina”, e ringrazio vivamente monsignor Cristophe Adimou, Arcivescovo di Cotonou e presidente della Conferenza episcopale del Benin, delle parole così amabili con cui si è rivolto a me a nome vostro.

L’incontro di oggi è motivato da una comune preoccupazione pastorale, perché la cura di annunciare il Vangelo in ogni parte della terra compete a tutti i pastori. Per riprendere i termini del Concilio Vaticano II, i Vescovi “sono tenuti a collaborare tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu commesso l’altissimo ufficio di propagare il nome cristiano” (Lumen Gentium, 23).

Dov’è dunque nel Benin questa propagazione del nome cristiano? Dov’è nel vostro Paese l’annuncio del Vangelo? Questo bilancio quinquennale siete venuti a fare a Roma, e mi auguro di tutto cuore che il vostro pellegrinaggio alle tombe dei santi apostoli, gli incontri che avete, le conversazioni con i membri dei diversi dicasteri vi portino a un recupero di entusiasmo nel servizio impegnativo al Popolo di Dio.

2. Dopo il lavoro dei pionieri del Vangelo e dei loro successori, la Chiesa, nel vostro Paese, è cresciuta per opera degli stessi beninesi. Essa ha i suoi sacerdoti, i suoi vescovi e un cardinale. Le vocazioni sacerdotali sono in aumento, e testimoniano della vitalità delle comunità cristiane. La Chiesa ha accolto nel suo seno dei laici impegnati che accettano di essere catechisti dei loro fratelli. Essa ha dei religiosi e delle religiose; la vita contemplativa vi è rappresentata da monasteri maschili e femminili, che danno all’insieme della Chiesa locale la sua dimensione adulta.

La vostra cura della carità fraterna, segno distintivo dei discepoli di Cristo, continua a manifestarsi nelle opere sociali e sanitarie. Voi avete a cuore la promozione della donna. Desiderate anche contribuire sempre alla prosperità del vostro Paese, nella giustizia, nella pace, e nell’inculturazione progressiva dei valori evangelici.

Di questi frutti della prima evangelizzazione, rendiamo grazie a Dio e anche agli uomini e alle donne che ne sono stati lo strumento in passato. Nello stesso spirito di azione di grazie, vi affido l’incarico di ringraziare le persone che, oggi, si sono assunte l’impegno di continuare l’opera missionaria: i sacerdoti e quanti li assistono, i religiosi e le religiose, e anche i catechisti. Vi chiedo anche di esprimere ai monaci e alle monache la gratitudine della Chiesa per l’esempio che danno di una assidua ricerca di Dio e del suo Regno. Trasmettendo a tutti i saluti affettuosi del Papa, direte loro la sua stima per il loro lavoro e il suo incoraggiamento a continuare in profondità l’evangelizzazione, che non è mai compiuta, tanto grande è il messaggio da scoprire e tanto radicale è il cambiamento che Dio attende da noi.

3. Per continuare a essere evangelizzatrice, per conservare il suo dinamismo e la sua credibilità, la Chiesa ha un costante bisogno di evangelizzare se stessa. Uno dei segni incoraggianti della azione vivificante dello Spirito di Dio oggi è proprio questo desiderio di approfondimento della fede che si nota presso molte persone impegnate nella pastorale, i laici in particolare.

L’ultimo Sinodo dei Vescovi, l’anno scorso, nel messaggio al Popolo di Dio, notava quest’esigenza di formazione sentita da quanti vogliono impegnarsi più attivamente al servizio della comunità ecclesiale e dichiarava: “La formazione integrale di tutti i fedeli, laici, religiosi e sacerdoti, deve essere oggi una priorità pastorale” (Synodi Episcoporum 1987 “Nuntius ad Populum Dei”, 12).

Vi invito, cari fratelli, a rispondere al meglio a questi voti dei Padri sinodali, incoraggiando i fedeli ad ascoltare e meditare la Parola di Dio, ricevuta nella tradizione della Chiesa e interpretata dal Magistero, facendoli partecipare in modo sempre più fruttuoso ai sacramenti.

4. Devo ora dire una parola sull’opera considerevole dei vostri fratelli sacerdoti, diocesani e religiosi, nel campo dell’evangelizzazione del vostro Paese.

Il popolo cristiano del Benin è legato ai suoi pastori e conta molto su di loro. Che i sacerdoti continuino a insegnare la Parola di Dio con chiarezza, con fede ardente e con coinvolgimento personale. Hanno una responsabilità grande nel proclamare la misericordia di Dio, nel mostrare agli uomini la tenerezza di Cristo attraverso la loro compassione pastorale. In quanto ministri dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia e della Riconciliazione, essi li mettono in rapporto con nostro Signore Gesù Cristo, ricco in misericordia. È opportuno, in questo tempo di Quaresima, richiamare a lasciarsi riconciliare con Dio attraverso la mediazione del sacerdote.

Mentre mi rallegro per la crescita del numero delle vocazioni, auspico che voi curiate sempre la qualità della formazione al sacerdozio. Che i seminaristi abbiano a cuore la familiarità con Cristo, centrata sull’Eucaristia e alimentata dalla preghiera e la meditazione della Parola di Dio, come raccomandava il Concilio Vaticano II: “La formazione spirituale deve essere strettamente collegata con quella dottrina e pastorale, e, specialmente con l’aiuto del direttore spirituale, sia impartita in modo tale che gli alunni imparino a vivere in intima comunione e familiarità col Padre, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo” (Optatam Totius, 8).

Una delle urgenze di cui molte Chiese prendono coscienza, è quella di avere educatori ben preparati alla loro missione di formare i seminaristi. La collaborazione dei religiosi e dei preti stranieri, degli istituti specializzati, è molto preziosa per una buona formazione, unificata dalla fede, radicata nella tradizione della Chiesa e capace di integrare i valori della cultura locale, coinvolgendo così tutti gli aspetti della personalità, l’affettività come l’intelligenza, e in grado di preparare dei veri pastori e apostoli di Gesù Cristo.

Quanto ai sacerdoti del Benin, cui è stato chiesto di andare a perfezionare gli studi, dovrebbero, dopo averli terminati, poter anche loro trovare posto in questo importante impegno della formazione dei candidati al sacerdozio.

5. Nel vostro Paese, la Chiesa cattolica ha in generale buoni rapporti con i gruppi religiosi non-cattolici, e io auspico che le vostre relazioni con i fratelli e le sorelle che non condividono la stessa fede conducano a una intesa sempre più costruttiva, per la gloria di Dio e il bene dei credenti.

Colgo l’occasione per riaffermare il profondo rispetto della Chiesa cattolica verso le religioni non-cristiane, in particolare quelle che “portano l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore”, come scriveva il mio predecessore, il Papa Paolo VI (Evangelii Nuntiandi, 53).

Inoltre, poiché il piano della salvezza abbraccia tutti gli uomini, esiste tra cristiani e non-cristiani una base di incontro fraterno e pacifico. Desidero incoraggiarvi a continuare il dialogo come anche la proclamazione del Vangelo. Come ho detto, il 28 aprile 1987 ai membri del Segretariato per i non-cristiani: “Non può esserci questione di scegliere l’uno e ignorare o rifiutare l’altro. Anche nelle situazioni in cui si rivela difficile la proclamazione della nostra fede, dobbiamo avere il coraggio di parlare di Dio, che è il fondamento di questa fede, la ragione della nostra speranza, la sorgente del nostro amore”.

6. C’è un campo in cui il Vangelo fa fatica a penetrare, con tutte le sue esigenze: la famiglia. E voi siete coscienti del lungo cammino da percorrere per edificare solidamente la struttura familiare, conforme alla dignità dell’uomo e della donna, secondo il disegno di Dio. Tuttavia è dovere della Chiesa continuare a operare per l’edificazione progressiva del matrimonio cristiano, in cui gli sposi si donano reciprocamente con un amore assoluto, e dunque uno ed esclusivo.

Luogo privilegiato di vita, la famiglia è anche luogo in cui sente per la prima volta la chiamata alla missione. Perciò non trascuriamo di incoraggiare i genitori a sviluppare il senso della famiglia: attraverso di loro e all’interno di una famiglia amorosa nasce nei bambini la chiamata alla missione, sia come laici impegnati, sia come persone consacrate a Dio nella vita religiosa, sia come sacerdoti al servizio del Popolo di Dio.

7. Per concludere, cari fratelli, colgo l’occasione di questo incontro per esprimere la mia affezione al popolo del Benin e la mia solidarietà con lui nel cammino continuo verso il progresso. Rinnovo il mio invito a tutti i cattolici a partecipare attivamente allo sviluppo autentico del loro Paese, mettendo in pratica la dottrina sociale della Chiesa. Come ho ripetuto nella mia recente enciclica nel ventesimo anniversario della Populorum Progressio: “L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Sollecitudo Rei Socialis, 41).

Auspico che le riflessioni a voi presentate vi rinnovino nella fede, vi rafforzino nella speranza e rinvigoriscano in voi l’amore di Dio e del prossimo.

Nell’anno mariano, vi raccomando alla materna sollecitudine di Maria e vi do la mia benedizione apostolica, a voi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutti i fedeli del Benin.

 

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