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VISITA DI GIOVANNI PAOLO II
AI DEGENTI DELLA CASA DI CURA «SALVATOR MUNDI»

Domenica, 20 marzo 1988

 

Reverende suore,
Signori Medici, Infermiere, Collaboratori,
Carissimi ammalati.

1. Mi sento molto onorato da questo incontro. Considero infatti un privilegio l’essere in mezzo agli ammalati ed a coloro che li assistono con amore fraterno ed alta professionalità, in una clinica che già col semplice suono della sua stessa denominazione esprime un intero programma.

Ringrazio di cuore per l’accoglienza e rivolgo con affetto il mio saluto a ciascuno dei partecipanti, con un particolare pensiero per il Cardinale Ugo Poletti, mio Vicario per la diocesi di Roma, e per monsignor Luca Brandolini, Delegato per l’assistenza religiosa agli ospedali di Roma. Mi sento vicino alla vostra sofferenza, carissimi ammalati; al vostro impegnativo lavoro, cari medici e collaboratori, operanti nei vari reparti ed ai diversi livelli.

Vorrei che la mia voce valicasse la cinta di queste mura per portare a tutti i malati ed a tutti gli operatori sanitari i sentimenti del cuore di Cristo. Son venuto qui per esprimervi una parola di conforto nel dolore e d’incoraggiamento nella missione di assistenza; ma specialmente per ricordarvi quale valore hanno il dolore e l’assistenza nel tessuto dell’opera redentrice del “Salvatore del mondo”.

2. Il servizio ai malati, indirizzato alla difesa, alla ricostituzione e allo sviluppo della dimensione psicofisica della persona umana, è non solo un’opera umanitaria e sociale, ma soprattutto un’attività eminentemente evangelica al punto da non potersi scindere dalla prassi della vita cristiana.

L’esempio è partito autorevolmente da Gesù stesso, il “Salvator mundi”, il quale, in base al principio di fare prima che insegnare, sin dall’esordio della vita pubblica esercitò su larga scala, come parte della sua missione di salvezza, il potere straordinario di ridare la sanità fisica. Cominciò a percorrere tutta la Galilea, predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva (Mt 4, 23-24). Con lui i ciechi, anche se colpiti da cecità congenita, ricuperano la vista; gli storpi camminano, i sordi riacquistano l’udito, il muto parla; la febbre svanisce (cf. Mt 8, 11). Con lui la mano inaridita si stende, l’emorragia si arresta, la paralisi è superata. Davanti al potere misericordioso di Gesù scompare una malattia inguaribile e diffusa, come la lebbra, non ancora debellata neppure dalla medicina moderna (cf. Lc 5, 8).

Il suo intendimento curativo è chiaramente manifestato: “Lo voglio, sii risanato” (Lc 5, 13). E alle parole segue la guarigione. Egli, poi, non limitandosi a dare la salute a quanti a lui accorrono, si affretta ad andare di persona al capezzale dei moribondi: “Io verrò e lo curerò” (Mt 8, 5; 9, 19).

In più d’una occasione Gesù ha esercitato perfino il potere di richiamare alla vita: la figlia di Giairo, il ragazzo di Naim, l’amico Lazzaro, col suo caso descritto nei dettagli da uno dei testimoni oculari, sono lì a significare che egli, il risorto, salvatore del mondo, è venuto a farci il dono di una vita nuova, non più soggetta alla morte. “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11, 25). E chiunque crede in lui sa bene “che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza” (Rm 5, 3-5). La guarigione fisica è il segno di questa vita risorta.

3. La fede, sinceramente accolta e vissuta, opera, infatti, il prodigio di produrre una trasformazione personale e profonda del credente, collocandolo nella categoria degli uomini nuovi, voluta dal salvatore del mondo e prefigurata nel modello del buon samaritano, il quale, di fronte alla diffusa insensibilità per la sofferenza, si caratterizza per la generosità nell’andare incontro all’infermo e all’oppresso con amor di fratello (Lc 10, 30 ss.).

Fin dalle origini la Chiesa, mossa dallo Spirito, comprese questo suo dovere-privilegio di restare accanto a chi soffre. E già il primo Vicario di Gesù, dopo la pentecoste, operava come il Maestro. Presso la porta “Bella” del tempio, Pietro fece camminare lo storpio dalla nascita (At 3. 2-5). E ben presto, sparsasi la voce, “portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro”. E si verificavano tante guarigioni (At 5, 15-16).

Simili scene si sono ripetute nel corso della storia della Chiesa, ed anche oggi si possono vedere sulle spianate dei grandi santuari della Madre di Gesù e madre nostra.

La parabola è divenuta una realtà quotidiana e diffusa, e già nei primissimi secoli dell’èra cristiana, quando si era molto lontani dalla prassi degli interventi pubblici, esisteva un esercito di buoni samaritani, la cui missione di vita era dedicata ai più deboli, e ciò mediante una rete capillare di assistenza.

4. Anche oggi l’impegno della Chiesa per la realtà della sofferenza, non sempre vinta, anzi spesso moltiplicata dalla società dei consumi e del benessere, è costante e irrinunciabile.

Tre anni fa ho costituito una Commissione Pastorale degli Operatori Sanitari, allo scopo di seguire e di esser presente alle iniziative concrete del settore sanitario, che hanno implicazioni per l’annuncio evangelico. E, nel corso del Giubileo straordinario della redenzione, con la lettera apostolica Salvifici Doloris, ho voluto richiamare il grande insegnamento della Chiesa sulla sofferenza illuminata dalla verità della Parola di Dio.

Avendolo assunto su di sé, Gesù ha cambiato radicalmente il senso e il valore del dolore. Esso non è più soltanto il segno della fragilità e dell’insufficienza dell’uomo, ma è diventato il tramite del suo ricupero e della sua piena realizzazione. Col sacrificio dell’Uomo-Dio si è compiuta la redenzione dell’umanità. Egli ha sofferto al posto dell’uomo e per l’uomo (Salvifici Doloris, 19). Così, il dolore fisico e morale, inserito in quello di Cristo, ha il potere di trasformarci in uomini nuovi.

Esso cessa di essere un fatto differente o un male, per divenire fonte inesauribile di bene.

In chi sa accoglierlo con spirito di fede soffrendo insieme con Cristo, il dolore diventa partecipazione alla sua passione redentrice e collaborazione all’opera di salvezza a beneficio di tutti.

Ed ecco, allora, la conseguenza meravigliosa: il sofferente stesso si trasforma in buon samaritano. Colui che ha bisogno di aiuto si pone in condizione di offrirne agli altri e al mondo intero. San Paolo diceva: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

5. Cari fratelli e sorelle, son venuto qui per rendere omaggio a chi soffre e a chi si fa carico della sofferenza altrui. Vengo a voi dirigenti e operatori sanitari, che, in nome di Cristo, avete scelto a modello la figura del buon samaritano, per incoraggiarvi a perseverare in questa scelta generosa. Son qui per chiedere a voi, carissimi ammalati, di mettere a servizio della Chiesa e del mondo quella carica di straordinario valore religioso e sociale che è costituita dalla vostra sofferenza ed insieme dall’esempio del vostro coraggio nell’affrontarla. Solo con la luce e la forza della fede voi potete degnamente valorizzare le potenzialità benefiche insite nella malattia e trovare, al tempo stesso, il vigore morale necessario per non soccombere alla prova, ma per lottare fino al suo vittorioso superamento.

Nei testi del Vaticano II si legge in proposito una pagina assai significativa là dove, affermando che i Vescovi, consacrati per la salvezza di tutto il mondo, hanno il dovere di promuovere e di dirigere l’opera missionaria, il Concilio raccomanda loro vivamente di ricorrere ai malati ed ai sofferenti, che con cuore generoso sanno offrire a Dio le loro preghiere e penitenze “per l’evangelizzazione del mondo” (Ad Gentes, 38).

Chiedo quindi a voi la collaborazione delle vostre preghiere avvalorate dalla sofferenza per il raggiungimento dello scopo eminentemente missionario della evangelizzazione del mondo e della rievangelizzazione dei Paesi cristiani, a cui la Chiesa oggi è più che mai impegnata.

Per parte mia, invoco su ciascuno e ciascuna di voi l’abbondanza dell’aiuto divino, affinché possiate prontamente ricuperare la salute e tornare alle vostre abituali occupazioni, portando il contributo della vostra intelligenza e delle vostre energie alle rispettive famiglie ed alla società.

Auguri di cuore a tutti, dunque, insieme con una mia speciale Benedizione!

 

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