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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL X CONGRESSO
DELL’ACCADEMIA EUROPEA DI ANESTESIA

Giovedì, 8 settembre 1988

 

Signore e signori.

1. È un piacere ricevere oggi i partecipanti al X Congresso annuale della Accademia europea di anestesia. Sono lieto del vostro desiderio di includere questa udienza nel programma del vostro incontro a Roma, perché mi offre l’opportunità di manifestare la mia stima per la vostra onorata professione e di assicurarvi il sostegno orante della Chiesa per tutti coloro che servono l’umanità con la scienza medica e l’arte di guarire.

In modo particolare, desidero esprimere il mio apprezzamento per gli scopi della vostra Accademia, come l’impegno di migliorare la formazione pratica e teorica di quanti si preparano a lavorare nel campo dell’anestesia. Penso, anche, alla vostra promozione della ricerca scientifica in questo e altri campi vicini della medicina e al vostro desiderio di facilitare un dialogo fruttuoso con le autorità istituzionali e politiche su questioni di mutuo interesse e preoccupazione. Un altro contributo di particolare significato possono essere i vostri sforzi per sviluppare una più grande collaborazione tra gli operatori sanitari di tutti i Paesi europei, assicurando così un più ricco scambio culturale e un migliore uso delle risorse mediche e delle nuove scoperte della ricerca scientifica.

2. La professione medica, come la stessa Chiesa, è al servizio della famiglia umana, e precisamente al servizio dei malati e dei sofferenti. Alla luce di questa vostra altissima missione vorrei parteciparvi alcune riflessioni sulla natura etica della vostra vocazione.

Come anestesisti, voi cercate di alleviare il dolore delle persone ferite in qualche incidente o sottoposte a cure mediche. Nel vostro lavoro, voi collaborate sempre con altri specialisti, rendendo possibili gli interventi chirurgici o altri tipi di trattamenti medici. In ogni caso, voi ponete la vostra abilità ed esperienza al servizio dei malati e sofferenti.

Tuttavia, come ben sapete, per quanto il vostro impegno sia pieno di dedizione ed efficacia, non potete mai vincere completamente la realtà del dolore e della sofferenza. Potete sospenderla per un certo lasso di tempo; in molti casi, potete ridurre la sua intensità fino a un grado sopportabile, ma la sofferenza e il dolore restano una parte inevitabile dell’esperienza terrena di ogni essere umano. Ciò significa che il vostro lavoro professionale vi costringe sempre a guardare in faccia il mistero della sofferenza umana.

3. Nella mia lettera apostolica sul significato cristiano della sofferenza umana, ho scritto di come Cristo, diventando uomo e soprattutto assumendo su di sé la sofferenza, ha dato un significato e un valore redentivo al dolore e alla sofferenza della vita umana. Infatti proprio attraverso la sua personale sofferenza Cristo ha compiuto la nostra eterna salvezza. La sofferenza è stato il mezzo scelto da Dio per esprimere il suo eterno amore per noi e per offrirci il dono della redenzione.

Attraverso il suo esempio, Gesù ci ha insegnato a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle che soffrono; e ha detto ai suoi discepoli, inviandoli davanti a sé, “curate i malati . . . e dite loro «Si è avvicinato a voi il regno di Dio»” (Lc 10, 9). Alleviare il dolore, dunque, e curare i malati è una professione di grande valore morale. Nello stesso tempo, è una professione che esige elevati valori morali e una condotta etica coraggiosa, specialmente in un periodo storico in cui le verità morali fondamentali vengono messe in questione. Per esempio, alcuni tra i nostri contemporanei propugnano la messa a termine della vita umana attraverso l’eutanasia, come soluzione cosiddetta pietosa al problema dell’umana sofferenza.

4. Voi che lavorate nel campo dell’anestesia siete forse particolarmente sensibili alle richieste di coloro che invocano la cosiddetta soluzione pietosa dell’eutanasia, proprio perché la vostra professione mira a ridurre il dolore degli altri. Questo è vero proprio nei casi di intensa e prolungata sofferenza. Pur comprendendo le intenzioni soggettive di quanti richiedono l’eutanasia, non dovete perdere di vista i fatti oggettivi e la realtà ultima implicati nella questione.

A questo proposito, vorrei richiamare la vostra attenzione sui principi fondamentali espressi nella Dichiarazione sull’eutanasia, enunciata con la mia approvazione dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. In questo documento, la questione viene enunciata in termini molto chiari. Esso dichiara: “Può accadere che, a causa di una sofferenza prolungata ed intollerabile, per profonde ragioni personali o di altri, alcuni possono essere portati a credere di poter legittimamente richiedere la morte o ottenerla per altri. Sebbene in questi casi la colpa individuale sia leggera o addirittura assente, ciononostante l’errore di giudizio in cui cade la coscienza, forse in buona fede, non cambia la natura di questo atto di uccidere che sarà sempre in sé da respingere. La richiesta di persone gravemente ammalate che talvolta chiedono di morire non deve essere accolta come un reale desiderio di eutanasia; in realtà si tratta quasi sempre di una richiesta angosciata di aiuto e di amore” (Congr. pro Doctr. Fidei “Declaratio de Euthanasia”, II).

Confrontando questo grave male morale e altre serie minacce alla dignità della persona umana, dobbiamo restare fermi nella convinzione che non può esserci nessuna soluzione medica pietosa che violi la legge naturale e sia in opposizione con la verità rivelata della parola di Dio. Alla fine, dobbiamo ricordare che nessun dottore, nessuna infermiera, nessun operatore medico, nessun essere umano insomma è l’arbitro finale della vita umana, né della propria né di quella di un’altra persona. Questo ambito appartiene soltanto a Dio, creatore e redentore di tutti noi.

5. Ci sono molte altre difficili questioni etiche cui vi trovate di fronte, inevitabilmente, nella vostra nobile professione, questioni che richiedono giudizi ponderati di coscienza insieme alla vostra competenza medica. Questo perché c’è una sempre più evidente necessità di una seria informazione etica per tutte le persone impegnate nel campo medico.

Una tale formazione è appropriata e necessaria per il fatto che il vostro desiderio è non solo di servire ciascun paziente con diligenza e competenza professionale, ma anche di provvedere una cura “pienamente umana” che affronti i bisogni della persona nella sua interezza. In questo campo, desidero assicurarvi l’interesse e la preoccupazione della Chiesa, che desidera offrirvi assistenza attraverso la guida del suo insegnamento morale e la ricchezza del suo patrimonio spirituale. Nella reciproca collaborazione possiamo servire meglio i sofferenti.

In questa linea desidero richiamare un punto da me sottolineato alcuni anni fa, in un discorso all’Associazione Medica mondiale: “Non si può che rendere omaggio all’immenso progresso compiuto . . . dalla medicina del diciannovesimo e ventesimo secolo. Ma, come vedete, è più che mai necessario superare la divisione tra scienza ed etica, ritrovare la loro profonda unità. Voi avete a che fare con l’uomo, la cui dignità è proprio dell’etica salvaguardare” (“Allocutio ad eos qui XXXV coetui Consociationis medicorum ab omnibus nationibus interfuerunt coram admissos”, die 29 oct. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 [1983] 917 ss).

Le mie parole di oggi, cari amici, vogliono essere anzitutto espressione di stima ed incoraggiamento nel vostro generoso impegno per l’assistenza dei sofferenti. Affido di cuore voi e il vostro lavoro al Signore della vita, Dio e Padre di tutti. Egli ricolmi di abbondanti benedizioni voi e i vostri cari.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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