Index   Back Top Print

[ IT  - PT ]

VIAGGIO APOSTOLICO IN ZIMBABWE,
BOTSWANA, LESOTHO, SWAZILAND, MOZAMBICO

CERIMONIA DI CONGEDO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Aeroporto Internazionale di Maputo (Mozambico)
Lunedì, 19 settembre 1988

 

Eccellentissimo signor Presidente,
miei cari fratelli nell’episcopato,
eccellenze,
cari fratelli e sorelle,
e amici del Mozambico.

1. Vorrei, nel momento in cui mi congedo da voi, esprimere tutta la gratitudine che sento, per la cordiale accoglienza che ho avuto nella vostra terra, sia qui a Maputo sia a Beira e a Nampula, nonostante le circostanze, non facili, in cui si trova il vostro Paese. Ringrazio vivamente e di cuore, tramite i presenti, tutto il popolo mozambicano: grazie!

Mi sento in dovere di esprimere la mia profonda gratitudine a sua eccellenza il signor Presidente della Repubblica, ai miei fratelli Vescovi, ai membri del governo, alle altre autorità e ai responsabili del destino di questo Paese. È impossibile nominare, anche soltanto sommariamente, tutti - persone e gruppi - coloro che ho incontrato in questi giorni; d’altra parte non vorrei dimenticare nessuno. Il mio ringraziamento va a tutti. Nessuno deve sentirsi trascurato o meno apprezzato!

La mia riconoscenza va anche a coloro i cui sentimenti religiosi o umanitari non si esprimono nella fede cattolica, ma che hanno voluto comunque incontrarmi sapendo che tutti, in fondo, ci prodighiamo per il bene dell’uomo.

2. Mi sia concesso di esprimere qui il mio compiacimento per il ruolo che ha avuto la Chiesa nel Mozambico nella preparazione e nello svolgimento di questa visita. Per questo, nel ringraziare i Vescovi, ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici, ed infine tutti coloro che hanno dato generosamente il loro tempo, il proprio talento, i loro sforzi e le loro prove di amore affinché gli incontri fossero il più possibile fruttuosi. Ho avuto la grande consolazione di sentire il fervore e di vedere l’entusiasta compostezza dei partecipanti negli incontri e nelle celebrazioni, preparati con tanta cura, per fare “Chiesa con Pietro” in queste memorabili giornate. Non dimentico i rifugiati e gli esiliati, i poveri, gli infermi, i minorati fisici e tutti coloro che soffrono e non hanno potuto prendere parte ai nostri incontri. Sono certo che hanno offerto il loro sacrificio e le loro sofferenze perché tutto andasse bene. Che Dio sia il loro conforto!

3. Mi sembra di avere appena iniziato la mia visita pastorale nella vostra amata patria. Non so se la divina Provvidenza mi concederà di tornare. Ma una cosa è certa: porto con me un buon ricordo della vitalità della Chiesa in questa terra. È stata mia intenzione stimolare tutti gli operatori dell’evangelizzazione e tutti gli uomini di buona volontà a contribuire all’“opera buona” qui iniziata da Dio (cf. Fil 1, 6). E continuerò a pregare affinché quest’“opera buona” sia portata avanti per il benessere di tutti i mozambicani.

Avendo già ricevuto la fede cristiana, è ora necessario approfondirla ed essere coerenti con essa al fine di edificare una civiltà cristiana autentica che abbracci il meglio delle tradizioni di questo popolo e che realizzi al tempo stesso l’universalità della Chiesa. Non è il Vangelo che deve cambiare; sono le culture che debbono integrarlo, sforzandosi di assimilare i semi di vita e di salvezza, portati da nostro Signore Gesù Cristo con destinazione universale.

Vado via pienamente fiducioso che la buona novella di amore di Dio Padre, che si è rivelata in suo Figlio Gesù Cristo, attraverso una evangelizzazione autentica e globale, continuerà a chiamare gli uomini alla fede, alla fratellanza e alla vita eterna; e attraverso l’azione continua dello Spirito Santo, dovrà penetrare nel cuore delle masse, poiché la “gioia” della salvezza è il fermento destinato a fare lievitare anche “tutta la massa” dell’amato popolo mozambicano.

4. Porto via, nei miei occhi e nel mio cuore, molte immagini della vita e della bellezza della vostra terra. E desidererei che fossero solo queste. Purtroppo la realtà mi obbliga a confessare che porto con me altre meno liete immagini dell’uomo mozambicano, dell’uomo concreto, che è “cammino della Chiesa” e che in questo momento è protagonista della storia da costruire; e non tutte sono immagini di felicità. Porto con me anche immagini di sofferenza. Questa si riflette nello sguardo inquieto di molti bambini, nello sguardo incerto di molti giovani, nello sguardo stanco di molti adulti e nello sguardo triste degli anziani.

Ma nel Mozambico c’è anche la speranza ed è proprio con viva speranza che mi congedo da questo benevolo popolo, chiedendo a Dio che la mia breve visita pastorale possa contribuire al bene della società nazionale e la rafforzi affinché questa offra a tutti condizioni migliori di vita e diventi una grande famiglia dove regnino la fratellanza e l’amore, come frutto della pace e della giustizia.

5. Non ignoro i molti e difficili problemi che il Mozambico deve risolvere, come anche tanti altri Paesi di questa regione africana. Adesso, dopo aver concluso la visita a quattro di questi Paesi ed essendo prossimo a lasciare il vostro, posso dire che sono stato guidato dalla preoccupazione di insistere su temi che i Vescovi di questi Paesi, recentemente riuniti ad Harare, mi hanno voluto sottoporre: la giustizia, la pace e la dignità della persona umana, ovviamente in una prospettiva cristiana.

Questa regione dell’Africa, purtroppo, conosce inoltre le contraddizioni evidenti anche nelle altre regioni del mondo: accanto alla ricchezza di risorse che ci sono a disposizione - mai come oggi così evidente - sussiste una povertà estrema, che rispecchia fedelmente la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro (cf. Lc 16, 20); e accanto all’aspirazione reale e ampiamente condivisa a promuovere la persona umana, ancora persistono dolorose violazioni dei diritti fondamentali di ogni uomo. In fondo, se vogliamo analizzare questo duplice ordine di contrasti, non sarà difficile scoprire quello che nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis, veniva indicato come la assolutizzazione di atteggiamenti umani in un cedimento più o meno forte alla brama di possesso con tutte le possibili conseguenze (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 37).

6. Non sono solo le singole persone che diventano vittime di tale aberrazione; possono esserlo anche le nazioni e persino i blocchi di nazioni. In ultima analisi, si tratta delle conseguenze di un male morale, del frutto di molti peccati, che creano le “strutture di peccato” spesso conniventi con varie forme di idolatria: idolatria del denaro, dell’ideologia, della classe o della tecnologia.

Ora, la diagnosi del male è soltanto l’inizio, che deve essere accompagnato dalla prognosi e dalla conseguente applicazione di rimedi e infine dall’eliminazione delle cause di questo male; in questo caso, di un male morale, che si trova a livello dei comportamenti umani. Il cammino da percorrere sarà necessariamente quello del cambiamento delle attitudini spirituali, come ho più volte affermato fin dalla mia prima enciclica: “una vera conversione della mente, della volontà e del cuore” a favore dell’uomo illuminata dal principio di solidarietà in senso lato, che porti alla ricerca efficace di istituzioni e meccanismi appropriati per salvaguardare e promuovere la dignità autentica della persona umana (cf. Redemptor Hominis, 16).

Lasciando questa terra africana, vorrei esprimere una parola di fiducia e di speranza a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, sociali e culturali, affinché intraprendano coraggiosamente il cammino di una nuova civiltà: la “civiltà dell’amore”, basata su valori spirituali e morali, come ho ripetuto in tutte le latitudini del globo, sorretto dalla forza di Dio e dalla Chiesa che rappresento.

7. Sì! Senza amore non si costruisce una vita sociale giusta e duratura, senza amore le famiglie si disgregano. Senza amore i gruppi sociali si annullano gli uni gli altri. Senza amore i popoli perdono il senso della solidarietà, perfino della regola più elementare di “non fare agli altri quello che non vorrebbero fosse fatto a loro”. Senza amore il mondo si disumanizza. Ai violenti dominati dal disamore, bisogna rispondere con amore, nella certezza che l’amore è l’unico argomento in grado di portarli alla “conversione”, e di elevare la piattaforma d’incontro ad un livello autenticamente umano.

Una civiltà di giustizia, di pace e di amore significa il riconoscimento della dignità di ogni persona umana; significa che questa può esercitare i suoi diritti fondamentali senza restrizioni né limitazioni, pretestuosamente giustificate dalla segregazione razziale o dalla discriminazione sociale. Quanto più gli uomini e le donne dell’Africa Australe, senza distinzione di colore, di sesso o di convinzioni politiche e religiose, potranno contribuire e partecipare al bene comune, in una prospettiva futura, tanto più la pace sarà una realtà sicura e durevole. Questa regione dell’Africa è ricca di risorse economiche; e non lo è meno di risorse umane. Perché allora si presenta così lento il vero sviluppo sociale?

La risposta, urgente, spetta alle parti interessate. A ogni uomo che vive qui è necessario intraprendere il cammino della conversione alla causa dell’uomo: in questo sta, senza dubbio, la fonte della pace o il suo consolidamento. Qui, nell’Africa Australe, il futuro dell’uomo dipende in gran parte dalla volontà degli uomini.

8. Pertanto, da questa promettente e tormentata terra del Mozambico, voglio rivolgere un pressante appello affinché gli uomini e le donne di tutte le razze valutino quello che debbono modificare in se stessi; e, tutti insieme, considerino quello che hanno la possibilità di fare, perché nella loro patria e fra le nazioni dell’Africa regni finalmente la pace. È nell’esercizio del mio compito di Vicario di Cristo, Principe della Pace, che mi appello alla coscienza di tutti e di ciascuno.

Vado via, ma ciò che mi è stato concesso di vivere durante questi nove giorni di visita, trascorsi in terra africana, soprattutto qui nel Mozambico, rimarrà nel mio spirito e nel mio cuore. Tutti coloro che soffrono nel corpo o nell’anima possono essere certi che, se già mi erano presenti in spirito, lo saranno ancora di più in avvenire, con l’amore di Cristo e con la preghiera.

Addio, terra del Mozambico! Attraverso le vie della concordia e di una solidarietà rispettosa della dignità delle persone, dei gruppi e delle comunità legittime, i tuoi figli possono vincere le sfide che tu presenti loro. Il tuo progresso, la giustizia, la pace e la felicità dei tuoi figli - ottenuti e condivisi da tutti, con la solidarietà internazionale - sono le condizioni per il tuo futuro prospero e sono anche gli auguri che formulo, nel chiedere a Dio Onnipotente di colmarti di benedizioni.

Addio Mozambico! Alla prossima volta!

“Hosi Katekisa Moçambique”!

“Hosi Katekisa Africa”!



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana