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VIAGGIO APOSTOLICO IN MADAGASCAR, LA RÉUNION, ZAMBIA E MALAWI

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO
NEL CENTRO CONGRESSI «MULUNGUSHI HALL»*

Lusaka (Zambia) - Mercoledì, 3 maggio 1989

 

Eccellenze,signore e signori.

1. Sono molto lieto di avere l’occasione di incontrare gli illustri capi missione ed il personale diplomatico accreditato presso il governo dello Zambia. Per mezzo vostro saluto ciascuna delle nazioni e dei popoli che rappresentate. Estendo inoltre il mio saluto ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Tutti voi lavorate per il benessere ed il progresso pacifico dei popoli, consapevoli del fatto che la vera pace e l’autentico sviluppo debbono fondarsi sulla buona volontà, la giustizia e la cooperazione nei rapporti internazionali. Il vostro è un compito esigente, che richiede molto zelo e sensibilità. Esprimo la mia stima e il mio incoraggiamento a voi per il vostro servizio in questa parte dell’Africa.

2. Come sapete, la mia attuale visita è soprattutto una visita del Vescovo di Roma, il successore dell’apostolo Pietro, alle comunità cattoliche dello Zambia, del Malawi, del Madagascar e La Réunion. Allo stesso tempo, le mie visite ai diversi paesi mi permettono di manifestare la profonda solidarietà della Santa Sede con i popoli del mondo, mentre si sforzano di realizzare il proprio destino. Con immenso rispetto per le aspirazioni di tutti i popoli a vivere la propria identità in libertà e sicurezza, con profonda sollecitudine per il modo in cui la dignità ed i diritti umani vengono rispettati e promossi, la Santa Sede è presente nella comunità internazionale - non quale potere politico, economico o militare - ma allo scopo soprattutto di promuovere una riflessione e un dialogo morali ed etici sulle grandi questioni e i problemi che riguardano le vite degli uomini e delle donne del nostro tempo.

La persona - nella pienezza della dignità umana - è l’oggetto della missione e delle responsabilità della Chiesa. La Santa Sede è convinta che soltanto una prospettiva più alta di ideali morali e di principi di bontà, verità e giustizia nei rapporti umani, sia in grado di risolvere le complicate questioni che riguardano la comunità mondiale. Lo sviluppo integrale ed il benessere degli individui, e di tutti i popoli, devono diventare sempre di più l’obiettivo che pubbliche autorità, governi ed organizzazioni internazionali devono prefiggersi, se il mondo vuole superare le tensioni ed i conflitti che continuano a minacciare la pace. Con le parole del mio predecessore, Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (Populorum Progressio, 87).

3. La Santa Sede ha ripetutamente richiamato alla riflessione morale ed etica sui gravi problemi che affliggono la società, problemi che richiedono una più stretta cooperazione fra le nazioni industrializzate e quelle in via di sviluppo, fra il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest. Vorrei ricordare brevemente due recenti documenti: uno sul razzismo e l’altro sulla questione del debito internazionale.

Il razzismo e la sua espressione in sistemi di discriminazione sociale, economia e politica sono considerati dalla Chiesa assolutamente contrari alla fede e all’amore cristiani. Purtroppo le manifestazioni teoriche e pratiche di razzismo continuano ad esistere nel mondo su larga scala in molte forme e a vari livelli, anche se il sistema dell’apartheid ne rappresenta il caso più evidente e drammatico. Nel fronteggiare questo problema morale, la Chiesa incoraggia i necessari cambiamenti, ma soprattutto i cambiamenti costruttivi portati avanti con mezzi pacifici. La discriminazione non deve essere superata con il ricorso alla violenza, ma grazie alla riconciliazione.

È mia continua e fervente preghiera che Dio onnipotente ispiri tutti gli interessati affinché comprendano che il fondamento di un’autentica soluzione al razzismo in generale e all’apartheid in particolare è il convincimento dell’uguale dignità di ogni essere umano quale membro della famiglia umana e figlio di Dio.

4. Il problema del debito internazionale è un chiaro esempio dell’interdipendenza che caratterizza i rapporti fra i paesi e i continenti. È un problema che non può essere risolto senza una mutua comprensione ed un mutuo accordo fra nazioni debitrici e creditrici, senza sensibilità verso le situazioni reali dei paesi indebitati da parte delle agenzie creditrici, e senza una saggia ed impegnata politica di sviluppo da parte delle stesse nazioni industrializzate. È soltanto una domanda retorica chiedersi quanti fanciulli e neonati muoiono ogni giorno in Africa perché le risorse vengono impiegate per pagare i debiti? Non c’è tempo adesso per criticare le politiche del passato o quegli elementi del quadro finanziario ed economico internazionale che hanno portato alla situazione attuale. Adesso è tempo di una nuova e coraggiosa solidarietà internazionale, una solidarietà che non si basa sul proprio interesse egoistico, ma che è ispirata e guidata da un’autentica sollecitudine per gli esseri umani.

Recenti iniziative da parte dei paesi industrializzati e creditori per alleggerire il peso della restituzione dei debiti sulle economie delle nazioni debitrici sono naturalmente un passo nella giusta direzione. Tali iniziative debbono essere incoraggiate. Ma molto ancora resta da fare. È ai valori etici e morali coinvolti che la Chiesa rivolge soprattutto la sua attenzione. Il suo appello si rivolge alla coscienza e al cuore di quanti possono portare ad una giusta soluzione del problema, nel rispetto dell’uguale dignità di tutti i popoli. È suo compito, in obbedienza al Vangelo, sempre e ovunque, di sollecitare la giustizia, la riconciliazione e l’amore. E diventato sempre più evidente che le misure di solidarietà sono imperative perché la speranza possa essere restituita a tanti popoli duramente provati.

Prego affinché quanti sono in condizione di influenzare gli eventi esprimano veramente questa solidarietà in un nuovo e generoso approccio ai problemi del debito internazionale.

5. Dinanzi a questo illustre uditorio, non posso fare a meno di ricordare la tragica situazione di milioni di esseri umani, in Africa e altrove, costretti a fuggire dalle proprie case e dal loro paese natio a causa della carestia, della guerra e del terrorismo. Dobbiamo essere sensibili alle sofferenze di questi fratelli e sorelle. È enorme il numero di uomini e donne offesi nella loro inalienabile dignità umana, colpiti nel corpo e nella mente, condannati ad una esistenza miserabile senza alcuna colpa.

Come ho spesso affermato, il flagello di milioni di rifugiati nei diversi continenti è una ferita dolorosa che delinea e rivela gli squilibri e i conflitti del mondo moderno (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 24).

Vorrei cogliere questa opportunità per esprimere il mio apprezzamento ai governi dei due paesi dell’Africa continentale che sto visitando, per quanto stanno facendo nel dare ospitalità e venire incontro alle necessità dei molti rifugiati che risiedono nei loro territori. Lo Zambia sta offrendo un esempio di apertura e di solidarietà che fa onore ai suoi leaders e al suo popolo. Il Malawi è profondamente provato da un grande afflusso di rifugiati dal vicino Mozambico, e va lodato per i suoi sforzi eroici nel prendersi cura di loro, al punto di veder diminuite le sue risorse fondamentali. Vorrei rivolgere un appello a voi, quali diplomatici, affinché consideriate questa tragedia non soltanto in termini politici, ma come un dramma profondamente umano sul quale richiamare l’attenzione e chiedere l’assistenza delle vostre popolazioni e delle organizzazioni che rappresentate. La cura dei rifugiati non esige soltanto che si venga incontro alle loro immediate necessità, ma che li si aiuti a mantenere la loro identità sociale, culturale e religiosa. È proprio questa identità infatti che li sostiene nel loro travaglio ed offre loro la speranza di un nuovo e migliore futuro.

6. Negli ultimi mesi vi sono stati segni di progresso verso la pace e la riconciliazione nell’Africa del Sud. La stessa Lusaka è stata centro di incontri ufficiali e non ufficiali fra le parti in conflitto. In particolare, il mondo guarda con speranza ai passi intrapresi per rendere effettivi gli Accordi di New York, che porteranno all’indipendenza della Namibia e al ritiro delle forze straniere in Angola. È importante che questi processi siano promossi ed ulteriormente incrementati grazie al sostegno della comunità internazionale.

Anche qui vediamo la prova dell’interdipendenza delle nazioni del mondo. A quanti ascoltano la mia voce, rivolgo un appello affinché la Namibia, l’ultimo paese dell’Africa a conquistare l’indipendenza, sia accolta a pieno titolo nella famiglia delle nazioni, affinché venga sostenuta nella sua indipendenza e le sia data ogni assistenza sulla via dell’autonomia economica, sociale e politica.

La solidarietà internazionale esige che vengano abbandonate politiche egoistiche o ispirate da interessi che sono troppo di parte. L’autentica arte di governo implica una visione realistica e su scala mondiale del cammino che la famiglia umana sta intraprendendo nella sua ricerca di un’esistenza migliore e più degna.

È essenziale al progresso dell’umanità la convinzione che le differenze e le tensioni debbono essere risolte non con la forza o la minaccia della forza, bensì grazie a metodi leali e pacifici. In ciò la comunità diplomatica ha un ruolo fondamentale.

7. Cari amici: per quanti credono nella divina Provvidenza e nel piano di amore di Dio per la famiglia umana, la speranza di pace e di progresso diventa un’ardente preghiera, che sgorga dall’intimo del nostro cuore, grazie alla quale ci sentiamo legati a tutti gli esseri umani con i vincoli della fratellanza e della solidarietà.

“Ti benedica il Signore e ti protegga. / Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. / Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6, 24-26).

Che Dio benedica ciascuno di voi e le vostre famiglie. Che effonda i suoi doni sui paesi e i popoli che rappresentate. Che ami e protegga il popolo dello Zambia, i nostri illustri ospiti ed amici.


*L'Osservatore Romano 5.5.1989 p.5.



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