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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II DURANTE
LA VISITA AL PONTIFICIO SEMINARIO ROMANO MAGGIORE

Sabato, 24 febbraio 1990

 

Ci sono certamente molti motivi in questo “Mosè”, ma tra tutti si deve scegliere quello più adatto alla festa di oggi: ed è il motivo vocazionale. Possiamo dire che, dopo Abramo, Mosè è il più grande paradigma di vocazione nella rivelazione divina, nella Sacra Scrittura; dopo di lui sono venuti tanti altri grandi in Israele: profeti e re. Poi sono venuti gli apostoli. Questo paradigma di vocazione, questo motivo vocazionale, è certamente uno di quelli fondamentali nella storia della salvezza per l’economia divina, per l’identità del popolo di Dio: per l’identità del popolo di Dio nell’Antico Testamento e del popolo di Dio nel Nuovo Testamento, cioè della Chiesa.

Ecco, io penso che questo tema è il più vicino alla celebrazione liturgica odierna perché, oggi, è la festa del vostro seminario, cioè di quella realtà che continuamente esprime, evoca questo paradigma, questo motivo vocazionale nella vita del popolo di Dio. Popolo di Dio vuol dire Chiesa come insieme; e Chiesa come ciascuno di noi. Sappiamo bene che la Chiesa ha questa doppia dimensione: di comunità ma anche di interiorità. Ciascuno di noi è un tempio e lo Spirito Santo abita in noi. Il seminario come comunità, come istituzione, e anche come edificio, come struttura, è tutto quello che serve a far presente un motivo vocazionale. In questo senso più ovvio, più semplice, il seminario rappresenta il luogo ove si entra quando si sente la vocazione a diventare sacerdote, al fine di provare questa vocazione e di confermarla fino al momento - se la grazia ci accompagna - dell’ordinazione sacerdotale. Questo è il senso, il significato, l’interpretazione più semplice. Ma il seminario non è solamente questo. L’esistenza dei seminari, l’esistenza del Seminario Romano nella nostra città, parla a tutti noi, alla comunità della Chiesa, ai cristiani, ai credenti - forse anche ai non credenti e ai non sicuramente credenti - parla della vocazione che è propria di ciascuno di noi. Ogni uomo, ogni donna ha una vocazione: la vita così modellata, così strutturata da Dio. Dio ci chiama. Noi siamo tutti - tutti senza eccezione - chiamati in Gesù Cristo. Questa è la grande visione, la grande sintesi vocazionale che ci viene soprattutto da san Paolo: siamo tutti eternamente chiamati da Dio in Cristo. In questa chiamata universale ciascuno è chiamato alla santità. Ciascuno ha la propria chiamata, ciascuno ha una propria “particola”. Il seminario diocesano, il Seminario Romano ci parla - parla a tutti - di questa vocazione, di questa particolare chiamata divina, che non è necessariamente chiamata a diventare seminarista e poi sacerdote, ma chiamata ad essere cristiano e, come cristiano, ad essere, per esempio, buon artista, buon cantante, buon ingegnere, buon medico. Sono diversi e numerosi i significati di questa vocazione, che a ciascuno di noi proviene da Dio in Cristo. Il Concilio Vaticano II ha certamente confermato questo paradigma vocazionale, questa visione vocazionale della vita umana, della teologia e dell’antropologia, e ciò costituisce anche una ricchezza essenziale dell’insegnamento, del magistero del Vaticano II.

È conforme a questa visione conciliare anche il modo in cui la vostra comunità seminaristica celebra il giorno della Madonna della Fiducia, che è uno dei giorni patronali del vostro seminario. In questo giorno il seminario apre la Cappella a tutti coloro che vogliono venire, e che frequentano questa Cappella spesso, non solamente oggi; si tratta di persone che non si trovano qui per la prima volta, ma persone che ritornano e che ritorneranno, come hanno fatto oggi. Sono tutti coloro che, attraverso il fatto stesso, attraverso l’esistenza stessa di questo seminario, sono interrogati, sono interpellati sulla loro vocazione: una vocazione che hanno da Dio, vocazione cristiana, vocazione - chissà - anche sacerdotale, religiosa, ma anche vocazione laicale, diversa come sono diverse le possibilità di essere cristiano e di essere cristiano laico nella Chiesa e nel mondo.

Vi ringrazio per la nuova ispirazione che ci avete dato con la vostra realizzazione artistica e musicale. Vi ringrazio cordialmente e vi auguro che questa opera artistica, questa ispirazione artistica sia fruttuosa per ciascuno di noi, per ciascuno dei presenti, per riscoprire più profondamente la propria vocazione, per confermarla e per approfondirla; per ciascuno di noi, lo dico anche per me, e che sia di ispirazione anche per il cardinale vicario, per il rettore, per tutti. Auguro che questa ispirazione sia buona e fruttuosa, perché la vocazione divina non è una cosa che si risolve e si realizza in una volta: essa si realizza sempre, nel corso di tutta la vita, si realizza sempre più profondamente. O cresce o si perde, o aumenta o diminuisce.

Questa ispirazione è anche molto opportuna se prendiamo in considerazione la preparazione di tutta la Chiesa al Sinodo sulla formazione sacerdotale, che avrà luogo quest’anno in ottobre. Forse i padri sinodali dovrebbero ascoltare il vostro oratorio per essere ispirati, come ne sono stato ispirato io.

 

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