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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE
DEL CODICE DEI CANONI DELLE CHIESE ORIENTALI

Giovedì, 25 ottobre 1990

 

Venerati fratelli, Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi,
Chiarissimi Rettori e Decani delle Università Pontificie
e degli altri Istituti di Studi superiori ecclesiastici
e delle Facoltà di Diritto Canonico dell’Urbe,
Carissimi figli e figlie,

1. Con profonda gratitudine e vera gioia ringrazio Dio, datore di ogni bene e di ogni grazia celeste, per avermi concesso la particolare occasione odierna di solennizzare con questo incontro, da me tanto desiderato, la presentazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, che, con la Costituzione apostolica “Sacri Canones” di giovedì scorso, 18 ottobre, festa di San Luca Evangelista, ho promulgato nella fiduciosa speranza che con esso le Chiese orientali cattoliche, con l’aiuto di Dio e sotto la materna protezione della Beatissima Vergine Maria, proseguano un cammino ancor più luminoso per instaurare nei cuori di tutti i fedeli, appartenenti ad esse, il Regno di Dio la cui venuta impetriamo ogni qualvolta recitiamo la preghiera del “Padre Nostro” insegnataci dal Nostro Signore Gesù Cristo. “Adveniat regnum tuum”, Signore Gesù, e che ne sia un degno strumento il Codice comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, per la prima volta nella storia della Chiesa promulgato dal tuo Vicario, servo dei Tuoi servi.

2. Mi è sommamente gradito di aver potuto promulgare questo Codice in occasione della celebrazione di un Sinodo dei Vescovi e di poterlo presentare nel corso di una delle sue Congregazioni Generali, dinanzi a voi venerati Fratelli, che rappresentate, veramente, anche se in modo particolare, tutte le Chiese d’Oriente e d’Occidente, le quali, godendo di pari dignità, sono affidate in egual modo al governo pastorale del Sommo Pontefice (cf. Orientalium Ecclesiarum, 3); dinanzi a voi che siete chiamati a darmi aiuto con il vostro consiglio non solo nella “salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi” ma anche “nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica” (CIC, can. 342).

3. Il carattere della rappresentatività della Chiesa universale, di cui gode questa veneranda Assemblea, mi dà la certezza che, presentando il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium in una delle sue Congregazioni Generali, sia esaudito il mio ardente desiderio che esso venga bene accolto da tutta la Chiesa cattolica, sia dalle Chiese orientali per le quali avrà valore di legge dal 1° ottobre dell’anno prossimo, sia da tutto l’episcopato della Chiesa latina nel mondo intero, e venga considerato come appartenente al patrimonio disciplinare della Chiesa universale al pari del Codex iuris canonici che è stato promulgato nel non lontano 1983 e che ha valore di legge per la Chiesa latina. Infatti entrambi i Codici traggono la loro forza dalla stessa sollecitudine del Vicario di Cristo, tutta volta ad instaurare nella Chiesa universale quella “tranquillitas ordinis” che, come ho voluto esprimermi di proposito, in entrambe le Costituzioni apostoliche promulgative dei due Codici, “assegnando il primato all’amore, alla grazia ed al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono”.

4. Quando ho promulgato il Codice di Diritto Canonico per la Chiesa latina ero consapevole che non tutto era stato fatto per instaurare nella Chiesa universale un tale ordine. Mancava un riordinamento della Curia Romana e mancava, si può dire da molti secoli, un Codice contenente il diritto comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, un Codice che non solo ne rispecchiasse il patrimonio rituale e ne garantisse la salvaguardia, ma che anche, e primariamente, ne tutelasse, assicurasse e promuovesse la vitalità, crescita e vigore nell’adempiere la missione loro affidata (cf. Orientalium Ecclesiarum, 1). Si è messo tutto l’impegno e si è fatto ogni sforzo per colmare al più presto queste due lacune. Al riordinamento della Curia Romana si è provveduto con la Costituzione apostolica Pastor bonus del 28 giugno 1988, che, come già deciso, deve essere aggiunta alle edizioni ufficiali di entrambi i Codici, essendo una legge riguardante la Chiesa universale. Per quanto riguarda il Codice comune alle Chiese orientali cattoliche si è pervenuti in porto durante questa ottava Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Solo ora invero, l’aggiornamento dell’intera disciplina della Chiesa cattolica, iniziato dal Concilio Vaticano II, è stato portato a termine e Dio ne sia ringraziato. È però anche vero che la promulgazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium segna l’inizio di un cammino il quale, nella nostra fiduciosa speranza, ci auguriamo luminoso e fecondo. Formuliamo altresì l’auspicio, già espresso nel mese di giugno 1986, che nel Codice or ora promulgato le venerande Chiese d’Oriente “possano riconoscere non solo le loro tradizioni e discipline, ma anche e soprattutto il loro ruolo e la loro missione nel futuro della Chiesa universale e nell’ampliamento della dimensione del Regno di Cristo Pantocrator” (AAS 79 [1987] 195-196) e che esso possa essere davvero “vehiculum caritatis” al servizio della Chiesa.

5. A scrutare profondamente nella sostanza delle cose non mi sembra fuori luogo sottolineare che anche i Codici regolanti la disciplina ecclesiastica, seppure articolati in numerosi canoni e paragrafi, sono da considerarsi come una particolare espressione del precetto dell’amore che Gesù, Nostro Signore, ci ha lasciato nell’Ultima Cena, e che il Concilio Vaticano II, parlando del popolo messianico che ha per Capo Cristo, per condizione la libertà e dignità dei figli di Dio, per fine il Regno di Dio, afferma di essere, per lo stesso popolo, in fondo la sola Legge (cf. Lumen gentium, 9). È alla luce e sul fondamento di questa Legge che i tre summenzionati “Corpi di leggi” sono stati elaborati, sotto la costante cura di colui, che come Vescovo della Chiesa di Roma “presiede alla carità”, per usare l’espressione di Sant’Ignazio di Antiochia, alla “carità” che unisce tutte le Chiese nell’Amore.

6. Mi è gradito presentare il nuovo Codice comune alle Chiese orientali cattoliche a questa veneranda Assemblea anche per il motivo che fu essa stessa, nella nostra comune sollecitudine per il bene della Chiesa universale, a formulare nella relazione finale del Sinodo straordinario del 1985, oltre all’auspicio di preparare un compendio di tutta la dottrina cattolica al quale dovranno far riferimento i catechismi o compendi di tutte le Chiese particolari e all’auspicio di approfondire lo studio della natura delle Conferenze Episcopali, anche il “desiderium celeriter perficiendi Codicem Iuris Canonici pro Ecclesiis orientalibus secundum traditionem earundem Ecclesiarum et normas Concilii Vaticani II”. Accolsi volentieri questo “desiderium” del Sinodo dei Vescovi e anche lo sottolineai “peculiari modo” nella mia Allocuzione conclusiva al predetto Sinodo, perché, infatti, mi stava nel profondo del cuore.

7. Possiamo essere grati a Dio che una delle tre “priorità” allora indicate ha avuto il suo compimento in questi giorni. È difficile invece ringraziare tutti coloro che hanno collaborato all’elaborazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, dato il lungo cammino, iniziato da quando Pio XI, nell’udienza del 3 agosto 1927, concessa al Cardinale Luigi Sincero, riconobbe l’urgenza della codificazione canonica orientale. Da allora sono trascorsi oltre 63 anni e l’iter del Codice è stato lungo come è descritto nella “Praefatio”. Elevo comunque in questa sede un memore pensiero di gratitudine ai venerati Cardinali Pietro Gasparri, Luigi Sincero, Massimo Massimi e Pietro Agagianian che si succedettero nella direzione della codificazione orientale fino alla metà del 1972 ed al Cardinale Acacio Coussa, che prima della sua promozione al cardinalato, per lunghi anni vi prestò “a secretis” la sua solerte e preziosa opera; ricordo con lo stesso memore pensiero di gratitudine il Cardinale Giuseppe Parecattil che presiedette fino al suo decesso la revisione del Codice orientale e Mons. Ignazio Clemente Mansourati che fu vicepresidente nella prima fase dei lavori. Ringrazio i due successivi vicepresidenti, molto benemeriti: Mons. Miroslav Stefano Marusyn che diede il suo contributo a tale opera nella fase intermedia dei lavori e Mons. Emilio Eid che ha avuto l’onere e l’onore di portare a felice compimento tale impresa. Ricordo con gratitudine il P. Ivan Zuzek S. J., che ha svolto nella revisione del Codice dall’inizio fino ad oggi la mansione di Segretario. Ringrazio anche tutti i Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi, che hanno contribuito, con uno spirito veramente collegiale al buon esito dell’opera, tutti i Consultori, esperti e componenti degli uffici della Commissione che hanno cooperato con grande dedizione a ciò. Per quanto riguarda i Consultori, ringrazio in modo particolare quelli appartenenti al Collegio dei Professori della Facoltà di Diritto Canonico del Pontificio Istituto Orientale, che anche come tale ha dato una preziosa collaborazione, e il chiarissimo Prof. dott. Carl Gerold Furst insieme all’“Institut für Kirchenrecht” dell’Università di Freiburg im Breisgau, da lui diretto, per il prezioso contributo dato alla “coordinatio” dell’intero Codice.

8. Nel presentare a questa Assemblea, così rappresentativa della Chiesa universale, il Codice, che regola la disciplina ecclesiastica comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, lo considero come parte integrante dell’unico “Corpus iuris canonici”, costituito dai tre summenzionati documenti promulgati nell’arco di sette anni. Dinanzi a questo “Corpus” viene spontaneo il suggerimento che nelle Facoltà di Diritto Canonico si promuova un appropriato studio comparativo di entrambi i Codici anche se esse, a seconda dei loro statuti, hanno per loro principale oggetto lo studio di uno o l’altro di essi. Infatti la scienza canonica pienamente corrispondente ai titoli di studio che queste Facoltà conferiscono, non può prescindere da un tale studio. Anche per quanto riguarda la formazione sacerdotale in genere sono da lodarsi le iniziative, come per esempio, corsi informativi o giornate di studio, che favoriscono una maggiore conoscenza di tutto ciò che costituisce la legittima “in unum conspirans varietas” del patrimonio rituale della Chiesa cattolica.

9. Quanto or ora auspicato è dettato anche dalla sollecita cura che ho, come Supremo Pastore nella Chiesa di Cristo, in modo particolare di quei fedeli delle Chiese orientali che sono residenti fuori dal territorio entro il quale i Patriarchi, gli Arcivescovi maggiori, i Metropoliti e gli altri Capi di Chiese “sui iuris” possono validamente esercitare la potestà conferita loro a norma del diritto stabilito dalla suprema autorità della Chiesa e come una partecipazione di essa. Per molti di questi fedeli si è provveduto con l’istituzione di proprie circoscrizioni ecclesiastiche, come eparchie ed esarchie, rette da Vescovi e altri Gerarchi nominati dalla Santa Sede e direttamente responsabili verso di essa; altri invece sono affidati alla cura di Ordinari latini. È stato sempre ed ovunque pressante desiderio dei Sommi Pontefici che tutti questi fedeli, per usare le parole del Concilio Vaticano II, “mantengano dovunque il loro proprio rito, lo onorino e, secondo le proprie forze lo osservino” (Decr. Orientalium Ecclesiarum, 4).

La Santa Sede, specie tramite la assidua opera della Congregazione per le Chiese Orientali, tanto benemerita, ha fatto e farà tutto il possibile, perché questi fedeli trovino ovunque nel mondo circostanze favorevoli ad assecondare il desiderio or ora espresso, ed essa è fiduciosa che anche tutti gli Ordinari, alla cui cura pastorale essi sono affidati, saranno partecipi di questa sollecitudine nella consapevolezza che con ciò rendono un essenziale servizio alla Chiesa universale e danno testimonianza della loro preoccupazione per ciò che all’uomo è più prezioso e congeniale, e cioè di poter vivere secondo quella cultura del cuore nella quale il Creatore lo ha posto sin dal seno materno, e che un tale agire è veramente conforme a quanto esige la “salus animarum”.

10. Se ogni legge, secondo il noto detto di San Tommaso d’Aquino, è “ordinatio rationis ad bonum commune et ab eo, qui curam communitatis habet, promulgata” (Summa theologiae, I-II, q. 110, a. 4, ad 1), questo è vero soprattutto e in maniera eminente per i canoni che regolano la disciplina ecclesiastica. Si tratta, nel vero senso del termine, di “sacri canones”, come tutto l’Oriente li ha sempre chiamati nella indubbia fede che è sacro tutto ciò che stabiliscono i Sacri Pastori, rivestiti del potere, conferito loro da Cristo ed esercitato sotto la guida dello Spirito Santo, per il bene delle anime di tutti coloro, che santificati dal battesimo costituiscono la Chiesa una e santa. Seppure nei Codici vi sono molte “leges mere ecclesiasticae”, come si esprime un canone in entrambi i Codici (can. 1490; CIC, can. 11), pertanto sostituibili con altre dal Legislatore legittimo, la ragion d’essere di esse è tutta “sacra”, e anche se esse appartengono alla “ordinatio rationis” umana, sono state formulate non solo dopo molto pensare, ma anche nella incessante preghiera di tutta la Chiesa. Grande saggezza si deve supporre in ognuna delle norme del Codice. Esse, infatti, sono state studiate a lungo e da ogni punto di vista, con la cooperazione di tutta la gerarchia delle Chiese orientali e alla luce della quasi bimillenaria tradizione, sancita dai primi “sacri canones” fino ai decreti del Concilio Vaticano II.

11. Sia accolto quindi questo Codice nella sua globalità come in ogni suo canone da tutta la Chiesa con animo sereno e con la fiducia che la sua osservanza attirerà su tutte le Chiese orientali quelle grazie celesti che le faranno prosperare sempre di più in tutto il mondo. Questo è un appello che vale particolarmente per quelle norme contenute in esso che sono state ripetutamente al centro della mia attenzione e finalmente decise così come stanno nel Codice perché il Vicario di Cristo le ritiene necessarie per il bene della Chiesa universale e per salvaguardare il suo retto ordine e i diritti più fondamentali ed imprescindibili dell’uomo redento da Cristo.

12. Tra tali norme sono da annoverarsi quelle riguardanti il potere dei Capi delle Chiese orientali “sui iuris” circoscritto ad un determinato territorio e quelle riferentisi alla concorde volontà dei genitori per ciò che attiene al patrimonio rituale dei loro figli. Vogliate aver fede che il “Signore dei signori” e il “Re dei re” non permetterà mai che la diligente osservanza di tali leggi venga a nuocere al bene delle Chiese orientali. Ad ogni modo, per quanto riguarda il primo problema, ripeto quanto ho comunicato all’ultima Assemblea plenaria dei Membri della Commissione che ha preparato il Codice. Ora a Codice promulgato sarò lieto di considerare le proposte elaborate nei Sinodi, bene circostanziate e con chiaro riferimento alle norme del Codice, che si ritenesse opportuno specificare con uno “ius speciale” e “ad tempus”, per il quale del resto si indica la via in un relativo canone del codice con la clausola riferentesi allo “ius a Romano Pontifice approbatum”. Simile clausola è apposta anche al canone relativo alla concorde volontà dei coniugi nella scelta del patrimonio rituale dei loro figli, per indicare la via e porre in atto gli opportuni rimedi, qualora ciò si dimostrerà veramente necessario, per la tutela della fioritura delle Chiese orientali nelle regioni ove esse sono minoritarie. Ho però grande fiducia che in ogni regione gli organismi competenti, come le Conferenze Episcopali e le Assemblee interrituali, sapranno garantire non solo la pacifica convivenza tra fedeli di vari riti, ma creare, pur nella diversità pluriforme, un’unica famiglia di figli di Dio che si amano a vicenda come Gesù ci ha amato. E ho fiducia anche che tutte le Chiese “sui iuris” siano convinte che la loro sopravvivenza, la difesa della propria identità, la loro crescita, e la loro stessa immagine nel mondo contemporaneo, non saranno messe in pericolo se “i cuori, le coscienze, il comportamento ed i costumi” dei loro fedeli sono conformi ai valori più profondi, umani e cristiani e alla “reciproca sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo” (Lett. Ap. Mulieris dignitatem, 24, 4).

13. A conclusione di questa mia “presentazione” del Codice comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, non posso fare a meno di rivolgere il mio pensiero rispettoso a tutte le Chiese Ortodosse. Anche ad esse vorrei “presentare” il nuovo Codice, che fin dall’inizio, è stato concepito ed elaborato su princìpi di vero ecumenismo e prima di tutto nella grande stima che la Chiesa cattolica ha di esse come “Chiese sorelle” già in “quasi piena comunione” con la Chiesa di Roma, come si esprimeva Paolo VI, e dei loro Pastori come coloro a cui “è stata affidata una porzione del gregge di Cristo”. Non vi è norma nel Codice che non favorisca il cammino dell’unità tra tutti i cristiani e vi sono chiare norme per le Chiese orientali cattoliche su come promuovere questa unità “precibus imprimis, vitae exemplo, religiosa erga antiquas traditiones Ecclesiarum orientalium fidelitate, mutua et meliore cognitione, collaboratione ac fraterna rerum animorumque aestimatione” (can. 903). Queste norme non ammettono alcunché che possa avere anche solo il sentore di azioni od iniziative non congruenti con quanto la Chiesa cattolica proclama ad alta voce, nel nome del Redentore dell’uomo, circa i diritti fondamentali di ogni persona umana e di ogni battezzato ed i diritti di ogni Chiesa, non solo all’esistenza, ma anche al progresso, allo sviluppo e alla fioritura.

Mentre tutti i cattolici devono attenersi a queste norme, ho fiducia che si stabilisca ovunque una completa reciprocità nel rispetto di così fondamentali valori umani e cristiani e che il dialogo ecumenico possa essere fecondo tra fratelli che si amano in Cristo, fino al giorno, che speriamo prossimo, in cui potremo nella piena comunione di tutte le Chiese orientali, partecipare, sul medesimo altare, al Corpo e Sangue di Cristo, in quella unità per la quale Lui stesso ha pregato Suo Padre nell’Ultima Cena.

Possa il nuovo Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium essere un provvido ed efficace strumento di ordine nella vita delle Chiese orientali, affinché fioriscano per il bene delle anime e lo sviluppo del Regno di Cristo a maggior gloria di Dio.

 

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