Index   Back Top Print

[ IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D'AOSTA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 16 febbraio 1991

 

Carissimi Arcivescovi e Vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta!

1. Dopo i colloqui che ho avuto con ciascuno di voi, sono lieto di questo incontro collegiale, che mi consente di riflettere ancora con voi intorno alle principali indicazioni emerse e di tratteggiare alcune linee d’azione, sulle quali converrà orientare nel prossimo futuro l’impegno pastorale delle comunità delle due Regioni. Ma permettete che io esprima, innanzitutto, viva riconoscenza a Monsignor Giovanni Saldarini per i sentimenti manifestati a nome di tutti. Nell’allargare poi il mio saluto cordiale a voi, Pastori, desidero ringraziare il Signore per la ricchezza delle tradizioni cristiane e per i tanti segni di vitalità religiosa che si ritrovano nelle vostre terre. Penso ai sacerdoti, missionari e missionarie che, usciti dalle vostre Comunità, servono operosamente la Chiesa nelle varie parti del mondo o prestano una speciale collaborazione alla Santa Sede, a cominciare dal carissimo Monsignor Angelo Sodano, che ho recentemente chiamato al delicato incarico di Pro-Segretario di Stato. E ringrazio il Signore anche per l’esperienza di comunione che Egli ci concede stamane a reciproco conforto nella quotidiana fatica dell’annuncio evangelico.

Proprio questa è, infatti, la preoccupazione dominante in ciascuno di noi: come portare con rinnovata efficacia l’annuncio di Cristo al mondo contemporaneo, profondamente segnato dal secolarismo e dall’indifferentismo? Come riproporre in particolare ai giovani il radicale messaggio del Vangelo, nel quale soltanto è offerta la risposta pienamente appagante al loro cuore inquieto?

Sono due questioni -una di ordine generale e l’altra specifica -tra loro connesse: questioni non facili, in considerazione anche delle differenze esistenti nell’area geografica e culturale, alla quale si volge il vostro ministero. Area non omogenea, in cui notevole è la differenza tra i grandi agglomerati urbani e le piccole, numerose comunità di montagna, di collina o di pianura. Mentre nella grande e media parrocchia non mancano gruppi giovanili con i quali è possibile avviare un sicuro cammino di fede, nelle piccole parrocchie con un forte tasso di spopolamento e di invecchiamento mancano spesso i presupposti stessi per tentare esperienze di aggregazione giovanile. Sembra, inoltre, che oggi si profili un passaggio dalla vita di fede, un tempo intensa tra i giovani delle parrocchie di campagna, ad una promettente vitalità delle comunità giovanili dei centri urbani. Ne è conferma il fatto che proprio da queste provengono non poche vocazioni sia maschili che femminili.

2. Tenendo davanti agli occhi tale diversa situazione, voi vi siete chiesti come imprimere uno slancio vigoroso all’evangelizzazione del mondo giovanile e col mondo giovanile.

Non ignorate, infatti, che una parte dell’odierna gioventù finisce col trasformare lo slancio che le è proprio in atteggiamenti di passività e di frustrazione, perché non riesce a superare con la desiderata “produzione attiva” della propria vita l’esperienza di vederla, invece, come “prodotta” da altri: dalla società che li condiziona, dalle reali prospettive offerte dal mercato del lavoro, dalle decisioni di chi sta in alto, dai rigidi meccanismi competitivi, ecc. Non pochi giovani, allora, cercano di evadere da simili costrizioni affidandosi a quella sorta di ideologia che è l’ottimismo tecnologico, in ciò favoriti dal grande sviluppo industriale della regione.

Proprio per questo occorrono coraggio e chiarezza nel porre i nostri giovani di fronte alla domanda cruciale: cioè se la “novità”, di cui sono alla ricerca, debba venire dalla macchina o non piuttosto dall’uomo. Al riguardo la Chiesa ha parole decisive e positive da proporre all’animo giovanile: andando al nucleo del messaggio cristiano, essa può e deve tornare ad annunciare la “notizia” inaudita di Gesù, Verbo di Dio, che s’è fatto uomo per offrire agli uomini la possibilità di vivere, già su questa terra, da figli di Dio. Ad una società spesso alienata e alienante Gesù è venuto a contrapporre la “famiglia” dei figli di Dio, che vivono con “un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32). È compito dei cristiani costruire una società che non appaia né sia esterna od estranea, ma al contrario intima e ben compaginata: una società che sia comunità, anzi comunione.

3. Anche in Piemonte dilaga, purtroppo, l’equivoco tra il “bene” e il “benessere”, e i giovani, mediamente benestanti, possono in genere permettersi un notevole livello consumistico. Inoltre, per la sopraddetta importanza che il tecnicismo riveste nell’odierna cultura, essi sono portati ad identificare il “bene” con un vantaggioso inserimento nella burocrazia del lavoro. Conseguenza di ciò è che molti giovani pongono la propria autorealizzazione nel successo professionale, nell’avanzamento di carriera, nella conquista di un alto grado nella scala sociale.

Tutto questo, però, non basta, e voi stessi siete testimoni della delusione profonda con cui spesso essi reagiscono a una tale “sistemazione” delle loro attese. Non sarà perché volevano conseguire un “bene” più autentico e lo cercavano nella condivisione dell’amicizia, nella solidarietà e anche, pur se in minor numero, nell’esperienza comunitaria della fede?

Ai giovani in ricerca occorre far capire che solo Gesù è in grado, grazie al “lievito” del suo Vangelo, di rendere pienamente attuabili i valori umani a cui aspirano. Ai giovani già inseriti nell’esperienza cristiana si dovrà far apprezzare l’importanza di riconoscersi e di operare comunitariamente, soprattutto quando sono a contatto con i loro coetanei, rimasti lontani o ai margini della vita e dell’esperienza cristiana.

4. Nella gioventù di oggi si riscontrano non poche forme di agonismo, che non devono essere sottovalutate: in esse infatti s’esprime la tendenza ad esigere il massimo da se stessi, e ciò è certo una prerogativa apprezzabile in chi sta costruendo il proprio futuro.

Tuttavia, non si può dimenticare che spesso la nostra cultura costringe i giovani ad una “quotidianità” piatta e insignificante perché è come una “convivenza col nulla”. E purtroppo il loro tentativo di reagire a tale situazione mediante qualcosa di “non quotidiano” e di significativo si rivela non di rado disastroso -è il caso dell’abbandono all’esperienza distruttiva della droga -o almeno illusorio e alienante. È quanto avviene quando si proietta la ricerca del “significativo” nelle cose che stanno fuori di sé: il “nuovo modello” di moto o di macchina, il “nuovo” lavoro, la “nuova” casa, ecc.

Bisogna avere il coraggio di proporre e riproporre ai giovani di oggi l’ideale cristiano nella sua integralità. L’esperienza insegna che il loro animo è aperto al richiamo dei valori autentici, per i quali essi sono disposti ad affrontare sacrifici anche gravosi, quando sono aiutati a comprenderne la ragione nella logica cristiana della Croce.

5. Si avverte oggi tra i giovani -come sapete bene -un senso di sfiducia e di sconforto. Ne è segno, ad esempio, la grande esitazione di fronte alla natalità e alla vita: non poche famiglie accettano “un” figlio più per appagare un loro bisogno affettivo che per esprimere un’autentica speranza nel futuro. Un altro segno di sconforto è la visione riduttiva e negativa della sessualità, che porta ad escluderne o ad ignorarne l’intrinseco ed ineliminabile collegamento con l’amore e con la vita.

C’è una duplice, innaturale frattura nei messaggi più disinvolti della cultura attuale: frattura tra sessualità e persona e frattura tra sessualità e progetto di vita. Nella coscienza di tanti giovani il sentimento dell’amore, alterato e stravolto dalla dilagante “cultura del piacere”, non è più visto come elemento costitutivo di una vocazione, nella quale uomo e donna sono chiamati a partecipare all’amore creativo di Dio. Esso è vissuto piuttosto come spinta dell’istinto, da soddisfare nel disimpegno e nell’evasione dell’erotismo.

Fortunatamente non è sempre così: molti giovani non dimostrano alcuna acquiescenza ad una simile e mortificante impostazione. Consci della vastità dei cambiamenti in atto, essi vogliono sentirsi protagonisti nell’instaurare con gli altri rapporti più ricchi di umanità. Sono perciò disponibili alle sfide che vengono da una proposta esigente, quando in essa riconoscono la possibilità di soddisfare le aspirazioni più profonde del loro animo.

Non dobbiamo quindi temere di metterli di fronte al radicalismo della proposta evangelica. Né dobbiamo temere di proporre loro la virtù della castità cristiana secondo l’insegnamento della Chiesa, avallato dall’esperienza dei Santi. San Domenico Savio e il Beato Pier Giorgio Frassati, figli della vostra terra, non sono forse esempi sempre validi da imitare?

6. Caduti certi “ideali” pseudo-rivoluzionari e venute meno le proposte ispirate ad un altruismo genericamente filantropico, si aprono oggi alla Chiesa nuovi spazi per offrire alla generosità giovanile il messaggio evangelico come solida base su cui costruire l’edificio di una fraternità, permeata di vero amore cristiano.

A questo fine occorre mettere i giovani a contatto con la Sacra Scrittura, raccomandando l’adesione all’insegnamento della religione cattolica nella scuola, la frequenza ai corsi di teologia e di cultura religiosa promossi nell’ambito della diocesi o della parrocchia, la partecipazione ad esperienze comunitarie di “lectio divina” e di preghiera, il ricorso ai tanti sussidi didattici e catechistici, che anche nella vostra terra trovano una ricca fonte di produzione e diffusione.

In questo mondo delle macchine, nel quale l’uomo rischia di smarrirsi, è necessario un “supplemento d’anima”. Solo la Sapienza, che viene dall’Alto, può dare senso pienamente umano alle prestazioni, pur mirabili, offerte dall’“intelligenza artificiale”, che sta acquistando tanta importanza nella nostra civiltà. Occorre giungere ad una fede matura, che diventi passione missionaria, come fu per tanti Santi e Beati della regione e come continua ad essere anche oggi in provvide iniziative ed istituzioni.

Per questa necessaria maturazione saranno di grande giovamento la “direzione spirituale”, il ricorso frequente al sacramento della confessione, la mediazione educativa di alcuni “luoghi pedagogici”, quali l’Azione Cattolica, i Movimenti ecclesiali e, in particolare, l’Oratorio, ambiente nel quale viene ricreato un clima favorevole per la prevenzione del male e viene proposto un progetto di educazione alla fede, in cui tutta la comunità, la famiglia e i giovani stessi possono essere protagonisti responsabili. Punto d’arrivo in questo impegno sarà la decisione gioiosa di andare ad annunciare Cristo come suoi testimoni, anche mediante la totale consacrazione al Regno di Dio nella scelta sacerdotale o religiosa.

7. Ecco, venerati fratelli, alcune linee di pastorale giovanile che i colloqui avuti con voi mi hanno suggerito e ho creduto bene parteciparvi, per confermare -se ce ne fosse bisogno -la profonda comunione che mi lega a voi e alle vostre Chiese. Prego il Signore che vi sia largo del suo conforto nelle quotidiane fatiche del ministero. Affido le vostre preoccupazioni e speranze alla materna sollecitudine della Vergine Santissima, che tanta devozione raccoglie tra i fedeli della vostra terra. La “Regina degli Apostoli” avvalori i generosi propositi che vi animano ed assicuri al vostro lavoro frutti copiosi di bene. Dal cielo vi assistano tutti i gloriosi Santi e Sante, che sono fioriti nelle vostre comunità cristiane.

Con questi sentimenti ed auspici di cuore vi benedico.

 

© Copyright 1991 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana