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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL' ASSEMBLEA PLENARIA
DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

Sabato, 26 gennaio 1991

 

1. Le sono particolarmente grato, Signor Cardinale, per le cordiali parole che ha voluto rivolgermi a nome di tutti i partecipanti alla prima Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nella sua rinnovata configurazione. Saluto e ringrazio i Signori Cardinali e i venerati fratelli nell’Episcopato che vi hanno preso parte arricchendola con il contributo quanto mai prezioso della loro diretta esperienza pastorale. Un grazie sentito, inoltre, ai membri del Dicastero che hanno attivamente preparato l’incontro e che con la loro presenza ne hanno assicurato il proficuo svolgimento.

Come Ella ha ben sottolineato, quest’importante assemblea ha permesso a tutti voi di fare esperienza diretta di quali siano le competenze della vostra Congregazione e di avere la prospettiva generale del lavoro che le è proprio, così come si trova delineato nella Costituzione apostolica Pastor Bonus (Ioannis Pauli PP. II, Pastor Bonus, 62-70, nn. 62-70).

2. La nuova denominazione esprime bene la competenza del vostro Dicastero, in conformità alla dottrina conciliare e in riferimento al Codice di Diritto Canonico del 1983. Il Sacrificio eucaristico e i Sacramenti circa “quae tota actio liturgica vertit” (Sacrosanctum Concilium, 6) sono le componenti fondamentali della “Iesu Christi sacerdotalis muneris exercitatio” (Ivi, 7) che è la Liturgia. Attraverso le azioni liturgiche si realizza il “munus sanctificandi”: “Munus sanctificandi Ecclesia peculiari modo adimplet per sacram liturgiam” (Codice di diritto canonico, can. 384). Parlare di Liturgia significa riferirsi innanzitutto ai Sacramenti, e non si può parlare dei Sacramenti senza tener conto della loro condizione rituale-celebrativa, dato che si tratta di azioni, e non di entità astratte. I Sacramenti sono celebrazioni della Chiesa, atti di culto, strumenti della grazia per la gloria che scaturisce dal mistero pasquale di Cristo, segni di espressione dell’autentica fede ecclesiale.

D’altra parte è coerente il fare menzione speciale della disciplina dei Sacramenti, dal momento che è uno dei punti segnalati dalla Costituzione conciliare come parte integrante della formazione liturgica. Più ancora, occorre dire che esiste una grande disciplina dei Sacramenti, ossia quella con cui la Chiesa conserva fedelmente quanto Cristo, suo Sposo, le ha affidato nello Spirito Santo, e che chiamiamo sostanza dei Sacramenti. A tal fine, infatti, questi sono regolati dalla suprema Autorità della Chiesa, e in nessun modo vengono lasciati all’iniziativa delle comunità particolari e ancor meno dei singoli.

In tale contesto ritengo che i temi allo studio nella vostra Plenaria possono costituire una buona esperienza per l’attività della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: specialmente il progetto di Istruzione sull’adattamento della Liturgia romana alle diverse culture e il progetto della Institutio generalis Ritualis Romani.

3. L’Istruzione sull’adattamento è giunta in Plenaria dopo un lungo itinerario di riflessione, iniziato con la stessa Costituzione Sacrosanctum Concilium. Si tratta di un tema importante ed insieme delicato. Importante in quanto tiene conto della dimensione culturale di chi prende parte all’azione liturgica; delicato, perché suppone una saggia conoscenza della celebrazione del culto della Chiesa, trasmesso insieme alla fede cristiana.

Nella Lettera apostolica Vicesimus quintus annus (Ioannis Pauli PP. II, Vicesimus quintus annus, n. 16), ho indicato tra gli attuali compiti della Chiesa quello dell’adattamento della Liturgia. Il senso di tale indicazione non è di proporre alle Chiese particolari l’inizio di un nuovo lavoro, successivo all’applicazione della riforma liturgica, che sarebbe appunto l’adattamento o l’inculturazione. E neppure è da intendersi l’inculturazione come creazione di riti alternativi. L’Istruzione, che avete studiato, indica chiaramente che il lavoro consiste nel procedere correttamente all’applicazione di quanto previsto dalla Costituzione conciliare (Sacrosanctum Concilium, 37-40), ed insieme che esso deve svolgersi all’interno del rito romano. In effetti, non è questione di parlare in generale dell’inculturazione della liturgia cristiana, bensì di indicare come si concretizzino i principi generali in riferimento al caso per il quale si legifera.

In ogni Paese, la connessione iniziale esistente tra l’evangelizzazione e i riti, con cui vengono celebrati i santi misteri, è un fatto che merita la massima attenzione. In conseguenza, non si possono proporre dei cambiamenti senza un’attenta riflessione interdisciplinare, evitando le improvvisazioni e adattando soltanto quando ciò sia utile o necessario (Sacrosanctum Concilium, 40).

D’altra parte l’appartenenza al rito romano comporta che la Liturgia celebrata nelle diverse Chiese particolari possa essere riconosciuta mutuamente come la medesima liturgia romana. A questo si riferisce la Costituzione Sacrosanctum Concilium (Sacrosanctum Conciliumn. 38), quando dice “servata substantiali unitate ritus romani”. Ciò giustifica inoltre la stretta collaborazione tra le Conferenze Episcopali e la Santa Sede per quanto concerne l’intero processo di inculturazione. Si tratta, pertanto, di collaborare affinché il rito romano, pur mantenendo la propria identità, possa accogliere gli opportuni adattamenti, in modo da permettere ai fedeli di quelle comunità cristiane, nelle quali a causa della cultura alcuni aspetti rituali non riescono a trovare adeguata espressione, di sentirsi pienamente partecipi nelle celebrazioni liturgiche.

Tale collaborazione è necessaria, e l’inosservanza di una corretta procedura in questa materia creerebbe un serio disagio. Il processo di attuazione della riforma liturgica conciliare è, infatti, ancora in corso, e non può essere compromesso da interventi repentini o poco attenti alla sensibilità religiosa dei fedeli. Al popolo cristiano vanno offerte la possibilità e la garanzia di prendere parte autenticamente al culto della Chiesa.

4. Quanto al progetto dell’Institutio generalis Ritualis Romani, si è in presenza di un testo teologico con orientamento pastorale. E non potrebbe essere diversamente poiché i Sacramenti non appartengono alla categoria degli strumenti provvisori, bensì alle realtà fondamentali, essendo la Chiesa edificata dalla fede e dai Sacramenti della fede. Il motivo di questa peculiarità proviene dal fatto che i Sacramenti sono azioni del Cristo glorioso, assiso alla destra del Padre ed insieme presente tra i suoi discepoli nel mondo, per mezzo dello Spirito; azioni di Cristo che si rendono visibili attraverso i gesti sacramentali compiuti dalla Chiesa che celebra il mistero pasquale del Signore così come Egli stesso ha comandato. E attraverso segni differenti, a seconda delle diverse situazioni, il cristiano viene santificato nella Chiesa, per il culto in Spirito e verità.

Occorre insistere sul carattere eminentemente cristologico e trinitario dei segni sacramentali. Certo, è la Comunità dei battezzati a celebrarli, ma ciò avviene in rendimento di grazie al Padre per l’opera della nostra salvezza, compiuta una volta per sempre nel suo Unigenito Figlio – “opus Christi” – e in quanto riceve dal Signore della gloria la forza dello Spirito, che la Chiesa non cessa mai di invocare.

Per queste ragioni, i Sacramenti sono fondamentalmente atti di culto, in quanto si attualizza in essi il culto santificante che Gesù Cristo ha offerto al Padre sulla croce e continua perennemente ad offrire per la nostra salvezza. In essi l’azione di Cristo precede sempre l’azione della Chiesa: è la grazia del Redentore che ci è comunicata, è la comunione proveniente dal mistero pasquale che riceviamo. È lo stesso Signore Gesù il celebrante principale dei Sacramenti.

In questo spirito ho chiamato i Sacramenti “umili e preziosi” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et paenitentia, 31), mentre i testi eucologici della liturgia romana li chiamano “ineffabili” (Colletta del Lunedì della IV settimana di Quaresima) e “celestiali” (Preghiera sulle offerte, Martedì del Tempo di Natale). In verità, in essi si rinnova nel presente quello che accadeva nell’incontro con Gesù di Nazaret (cf. Lc 4, 22ss.). Quanti vi vedono solamente dei semplici gesti rituali non potranno mai giungere a sperimentare i “gloriosa commercia” (Preghiera sulle offerte, Venerdì del Tempo di Natale) che attraverso le celebrazioni sacramentali si realizzano in favore degli uomini; in modo simile agli abitanti di Nazaret che, vedendo solamente il “fabri filius”, erano incapaci di contemplare le meraviglie del Salvatore.

5. Eccoci di fronte a una delle cause che rendono difficile la pastorale sacramentale dei nostri giorni, contraddistinti dal marchio dell’efficacia visibile e operativa. Solo nella fede è possibile comprendere i Sacramenti. Lo stesso dobbiamo dire della loro celebrazione: solo nella convinzione di celebrare un mistero che ci supera, in qualità di ministri dei Sacramenti potremo agire come “alieni beneficii dispensatores” (cf. Concilio di Trento, sessione XVI, cap. 6: Denz.-S., 1685). , consapevoli di trovarci nell’assemblea dei fedeli quali “vicarii” di Cristo, “in persona eius”, come suoi strumenti e, nel contempo, come segni della dipendenza della Chiesa dal suo Signore.

La pastorale sacramentale e liturgica ha il compito di introdurre i partecipanti alla celebrazione nel mistero della gratuità di Dio manifestato in Cristo, e continuamente comunicato nei Sacramenti della Chiesa: da qui deriva il suo carattere necessariamente mistagogico “per visibilia ad invisibilia”. Inoltre, l’intera azione pastorale e la stessa vita cristiana di ciascun fedele, a cominciare dai ministri, ha bisogno del suo centro di unità e del suo culmine, in modo che possa essere vissuta sotto l’influsso dello Spirito, in armonia con il mistero celebrato.

Dopo il Concilio Vaticano II, si è registrato un grande sviluppo in ordine alla predicazione della Parola di Dio, sforzo questo da mantenere e rafforzare. Tuttavia non possiamo dimenticare quanto proclamiamo nella fede cristiana: “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1, 14)! Ciò significa che la Parola annunciata conduce naturalmente alla celebrazione del Sacramento. Non siamo semplicemente degli ascoltatori o seguaci di Gesù: siamo membra del suo Corpo, in comunione vitale con Lui! Orbene, “la vita di Cristo è infusa nei credenti che sono uniti dai Sacramenti, in modo misterioso ma reale, al Cristo morto e risorto” (Lumen Gentium, 7).

6. Riprendendo quanto ho indicato nella citata Lettera apostolica Vicesimus quintus annus (Ioannis Pauli PP. II, Vicesimus quintus annus, n. 14), non si tratta oggi, come 25 anni fa, di organizzare la riforma liturgica, ma di approfondire e interiorizzare la celebrazione liturgica quale realtà eminentemente spirituale. È per questo indispensabile conoscere i testi pubblicati dopo il Concilio Vaticano II, e ogni valida iniziativa di formazione in questo campo sarà sempre benvenuta.

Auspico che l’attuale Plenaria contribuisca a far progredire un tale programma nelle Chiese particolari. E a questo fine si rivela quanto mai preziosa la diaconia della Curia Romana, che a sua volta è collaborazione e servizio al ministero petrino e aiuto alle diverse Comunità ecclesiali sparse in tutto il mondo.

Iddio benedica il vostro impegno e Maria, “Mater Ecclesiae”, accompagni con la sua materna protezione il vostro lavoro e lo renda fecondo. Con animo riconoscente imparto a tutti volentieri l’apostolica benedizione.

 

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