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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(1°-9 GIUGNO 1991)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MALATI DELL'OSPEDALE PEDIATRICO DI OLSZTYN

Giovedì, 6 giugno 1991

 

Cari bambini!

1. Sono molto lieto di poter essere oggi in mezzo a voi. Sono sempre lieto di incontrare i bambini. Anche il Signore Gesù trovava la gioia in questo! “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio” (Mc 10, 14).

Il Signore Gesù diceva: “lasciate”, “non impedite”, quando gli apostoli, a motivo della stanchezza del loro Maestro, impedivano alle mamme l’accesso a Lui. Ed egli era davvero affaticato.

Quando dunque disse agli apostoli: “non glielo impedite”, fece capire con ciò che la vicinanza dei bambini, il contatto con loro, il colloquio, erano per lui piuttosto un riposo che una fatica. E piuttosto una gioia che una stanchezza. E veramente era così.

Il Signore Gesù quando era circondato dai bambini aveva particolari motivi di gioia. Ricordate che disse: “A chi è come loro appartiene il regno di Dio”. e altrove lo ha espresso in un altro modo ancora: “i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18, 10).

Il volto del Padre, che noi non vediamo qui in terra, è la gioia del regno dei cieli, è quella felicità definitiva, alla quale tendiamo mediante la fede in tutto il pellegrinaggio terreno. Anche voi camminate su questa via. Il regno di Dio è in voi per mezzo della grazia del Santo Battesimo. Appartiene a voi, se non permetterete che sia distrutto dentro di voi a causa del peccato. Mediante il peccato grave, mortale. I bambini difficilmente commettono tali peccati. Per questo il regno dei cieli è in loro.

E anche per questo il Signore Gesù trova una speciale gioia e un particolare riposo nei contatti con i bambini. E i bambini - da parte loro - anche essi cercano il contatto con il Signore Gesù. Sia quando egli stesso è ancora Bambino, come anche più tardi, mentre lo vedono agonizzante sulla croce per i peccati del mondo. E dopo, risorto.

2. Sono dunque lieto di poter essere oggi per un attimo con voi.

Quest’incontro ha luogo nell’ospedale. Certamente avrei preferito averlo, per esempio, durante una gita o in un piazzale di giochi. Però c’è bisogno anche di questo luogo. Ne hanno bisogno gli adulti ma a volte ne hanno bisogno i bambini. Sapete bene che all’ospedale si viene per la salute: per riacquistare la salute, per liberarsi da diverse malattie.

Sentiamo oggi nel Vangelo il grido dell’uomo cieco: “Rabbunì (cioè: Maestro), che io riabbia la vista” (Mc 10, 51). Così quel malato risponde alla domanda di Cristo: “Che vuoi che io faccia?” (Mc 10, 51). “Che io riabbia la vista”. Anche voi dite in simile modo al Signore Gesù: “che io riabbia la salute”, perché possa tornare a casa, a scuola, a giocare.

Nello stesso modo del resto chiedete per i vostri cari: “Dio, dà la salute alla mia mamma e al mio babbo . . . e a diverse altre persone care”.

3. Il Signore Gesù esaudisce la domanda del cieco. Pronuncia delle parole significative in quella circostanza: “la tua fede ti ha salvato” (Mc 10, 52). Il cieco sa che a guarirlo è stato Cristo con la sua divina potenza. E tuttavia lo stesso Cristo dice: “la tua fede ti ha salvato”.

Ciò vuol dire: la fede in un certo modo ha permesso la manifestazione della potenza che era nel Signore Gesù. Egli adoperava quella sua potenza soprannaturale sempre per destare la fede nell’onnipotenza divina e nell’amore divino. I miracoli di Cristo sono segni del regno di Dio.

4. Il regno di Dio è in voi mediante la fede. E anche se la fede “fa miracoli” - tuttavia esso stesso, il regno di Dio è un “miracolo” maggiore di tutte le guarigioni miracolose operate da Cristo e dai suoi apostoli - e di quelli che ancora oggi avvengono in diversi luoghi della terra.

Così dunque, amati bambini, molto cordialmente insieme a voi prego la salute per ognuno - specialmente per coloro che sono malati più gravemente - però ancora di più chiedo il dono della fede.

Chiedo questo dono per ognuno di voi ora e per tutta la vita.

E chiedo questo dono - insieme a voi - per i vostri cari. Lo chiedo per tutti gli uomini. Chiedetelo anche voi. Il Signore Gesù ascolta in modo particolare le vostre preghiere.

5. Spero che gli adulti qui presenti - gli altri Ammalati, i Medici, le Infermiere e tutti gli altri Operatori della Sanità - non se la prendano con me per il fatto che durante il nostro incontro ho privilegiato i bambini. La Parola di Dio che annunziamo ai bambini non è diversa da quella che viene rivolta agli adulti. È il gioioso messaggio che Dio ama l’uomo e che lo rende capace di un amore che raggiunge Lui stesso, il nostro Creatore. Ognuno di voi - anche se contasse ormai molti anni - ha bisogno di una fiducia infantile, per aprirsi a questo dono dall’altro, così che l’amore di Dio diventi la luce e la gioia della nostra vita. In questo momento penso a tutti gli ammalati, dovunque stanno.

La sofferenza è un mistero impenetrabile e perciò quanto spesso difficile da comprendere, da accettare da parte dell’uomo. L’uomo affetto da una malattia, o da un’altra qualsiasi sofferenza, sovente si domanda - perché io debbo sopportare il dolore? - e quasi immediatamente si pone un altro interrogativo: perché, qual è il senso della sofferenza che mi è toccata? E non trovando una risposta spesso si abbatte, perché la sofferenza diventa più forte di lui. La sofferenza non è una punizione per i peccati, né la risposta di Dio al male dell’uomo. Può essere compresa solo ed esclusivamente alla luce dell’amore di Dio, che è il senso definitivo di tutto ciò che esiste in questo mondo.

La sofferenza “è stata legata all’amore - così ho scritto nella Lettera apostolica Salvifici doloris - a quell’amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della sofferenza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo, e da essa costantemente prende il suo avvio . . . In essa dobbiamo anche riproporre l’interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la risposta a questo interrogativo” (Ioannis Pauli PP. II, Salvifici doloris, n. 18). Nella malattia, o in un’altra sofferenza bisogna dunque abbandonarsi all’amore di Dio, come un bambino che affida tutto ciò che ha di più caro a coloro che l’amano, specialmente ai propri genitori. Abbiamo dunque bisogno di quella capacità che hanno i bambini per affidarci a Colui che è amore (cf. 1 Gv 4, 8). Quale valore e senso profondo acquistano in questo contesto le parole di San Paolo “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4, 13).

6. Una persona sofferente e malata ha bisogno anche di un concreto aiuto professionale. Ha bisogno di una presenza presso di sé e con sé, e di una appropriata cura medica. Per questo mi rivolgo a voi, miei cari, che lavorate in questo ospedale, compiendo varie mansioni dipendentemente dalla preparazione e dalla professione. Penso ai medici, alle infermiere e a tutto il personale dell’ospedale, e anche a tutti coloro che compiono questo servizio samaritano nella nostra Patria.

Il vostro lavoro è un lavoro difficile pieno di responsabilità: si tratta infatti della vita dell’uomo. Però quanto esso è bello e quanto evangelico!

In ognuno di voi, in ognuno di noi la sofferenza deve richiamare l’amore e la solidarietà umana. Vi presento le espressioni di gratitudine e di un profondo riconoscimento perché con la vostra scienza e con le vostre capacità servite i bambini malati. Vi sono grato perché prestate aiuto all’uomo nella sofferenza. Le stesse parole di riconoscimento rivolgo a tutti i medici, alle infermiere e al servizio sanitario in Polonia. Tutta la società dovrebbe apprezzare la vostra fatica e il vostro sforzo e circondare di rispetto coloro che compiono questo servizio con spirito di sacrificio.

7. Cari partecipi delle sofferenze di Cristo! Ogni domenica e ogni festa vi viene rivolta una parola nella Santa Messa tramite la radio, specialmente a coloro che non possono recarsi nelle loro chiese. So che a questa Messa partecipa la maggioranza delle persone malate. In questo modo la sofferenza di migliaia dei nostri fratelli ricoverati negli ospedali, negli ospizi, nelle case di cura e dovunque siano i malati, si unisce come in un’unica partecipazione alla Croce di Cristo, alla Eucaristia di Cristo.

Vi prego di accogliere la parola che vi indirizzo, che accogliate ugualmente la benedizione, che vi offro. Ogni giorno in modo particolare prego per voi tutti, chiamati “a completare - con le vostre sofferenze - quello che manca alle sofferenze di Cristo” (cf. Col 1, 24). Vorrei aggiungere che lo faccio ogni giorno nel momento più toccante della Santa Messa, quando si avvicina il momento della Comunione.

Penso che proprio allora bisogna che tutti i malati siano vicini a Gesù in modo particolare e che Gesù sia particolarmente vicino a tutti i malati e i sofferenti, affinché siano abbracciati in modo particolare da questa comunione salvifica che è l’Eucaristia. Vorrei aggiungere inoltre che è molto bello qui. Tutta questa terra è molto bella. La conosco da molti anni, la conosco soprattutto per le sue acque. Ieri l’ho vista dall’elicottero: acque e boschi. Bellissima terra.

E questo posto ne fa parte. Ma esiste anche un’altra bellezza. Questa bellezza siete voi, bambini. Il bambino è la bellezza dell’umana esistenza. Proprio così. Il Signore Gesù lo ha confermato con i suoi atti; ne ho parlato all’inizio. Bellezza di un bambino! Noi adulti dobbiamo avere sempre lo sguardo fisso sulla bellezza del bambino. Non ci ha detto forse Gesù: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”? Noi abbiamo bisogno dei bambini perché ci guidano verso Dio, verso il Regno celeste. Vediamo qui la bellezza di tanti bambini, e per giunta bambini malati che sono particolarmente belli.

Ho potuto constatarlo mentre ero da loro. Abbiamo qui anche una terza dimensione della bellezza, dimensione invisibile: è la bellezza dell’amore, amore di buon samaritano, se vogliamo usare il linguaggio evangelico, e dell’amore che si esprime nella cura dei malati, di un bambino malato. Questa è la bellezza immediata, continua. Essa riempie tutta la vita di coloro che lo esercitano, che lo danno. Ma in questa bellezza esiste ancora un’altra dimensione, dimensione più grande, dimensione ultima: alla fine, infatti, Cristo dice: “Ero malato, e mi avete curato, siete venuti a trovarmi. Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me”.

Proprio come se parlasse di un ospedale infantile - l’avete fatto a me. Auguro a voi tutti che possiate sempre partecipare a queste tre dimensioni della bellezza che saltano con tanta evidenza agli occhi e al cuore, e che esse siano sempre un’ispirazione non solo per voi, ma anche per tutti quelli che vengono qui da tutta la Polonia e dall’estero.

Dio vi ricompensi per questo incontro. I bambini polacchi della Lituania hanno eseguito dei bellissimi canti. Vi ringrazio dei canti e della vostra presenza qui con noi. Che Dio ricompensi i bambini polacchi della Lituania, che Dio ricompensi tutti per tutto. Accogliete la mia benedizione.

Dopo la consegna di un dono per l’ospedale il Santo Padre così prosegue:

Devo aggiungere ancora che non è che il Papa sia così ricco; sono dei benefattori che danno al Papa perché lui possa donare. Bisogna ricordarsi, dunque, di tutti questi benefattori che forse non vogliono neanche farsi notare. Se preferiscono rimanere nascosti, lo facciano. Ciò è molto nobile: “che la tua sinistra non sappia quel che fa la tua destra”. Ma bisogna ringraziarli nella dimensione nota solo a Dio.



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