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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI DEGENTI DELL'OSPEDALE OFTALMICO DI ROMA

Domenica, 10 marzo 1991

 

Sia lodato Gesù Cristo!

1. Ringrazio il Dottor Muzzi, Direttore Sanitario, per le gentili parole di accoglienza che mi ha rivolto. Ringrazio anche per l’indirizzo di benvenuto che a nome di tutti è stato pronunciato da uno dei degenti dell’Ospedale.

Unitamente al Pro-Vicario, Arcivescovo Camillo Ruini, e al Vescovo Delegato per l’Assistenza Religiosa agli Ospedali, Monsignor Luca Brandolini, rivolgo un particolare saluto a voi qui presenti.

La visita pastorale del Vescovo di Roma in questo Ospedale avviene nell’ultimo scorcio del tempo quaresimale, quando cioè siamo proiettati verso la Pasqua, verso il grande evento della morte e risurrezione di Cristo. È un evento, questo, che conferisce un significato particolare al nostro incontro.

La liturgia di questi giorni, infatti, ripropone alla nostra fede e all’attenzione di tutti il mistero della Croce, che costituisce la piena e definitiva rivelazione dell’amore di Dio all’umanità e quindi il contenuto essenziale del messaggio cristiano.

La Croce di Cristo è il segno supremo dell’amore di Dio, per cui ognuno può dire con San Paolo: “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20)!

Questa professione di fede sia per tutti motivo di consolazione e fiducia, ma specialmente per quanti Dio chiama a unirsi alla Croce del Figlio, attraverso le innumerevoli sofferenze che segnano la carne e lo spirito dell’uomo. E voi, malati, siete tra questi!

2. La Croce di Gesù non è solo un “mistero” da contemplare e da adorare, è anche parola da accogliere e alla quale affidarsi; è un messaggio da annunciare, perché diventi per tutti fonte di salvezza.

L’ultima parola, infatti, che spiega la tremenda realtà del dolore, come pure ogni forma di ingiustizia e di violenza, di oppressione e di morte, è certamente quella della Croce!

Essa ha due facce: se da una parte dichiara l’innegabile realtà della sofferenza e della morte, denuncia la malvagità e la miseria che caratterizzano l’esistenza personale e le vicende umane; dall’altra proclama la vittoria sul male e sulla morte e quindi l’amore di Dio che perdona, redime e ridà la vita.

Qui, e non altrove, va cercata la risposta ai grandi interrogativi che l’uomo si pone riguardo al senso del vivere e del morire; del dolore e del destino ultimo del suo pellegrinaggio terreno; qui sono da ricercare gli sbocchi della speranza che non delude; come pure l’ultima ragione della vita, vissuta come dono d’amore a Dio e ai fratelli.

3. “La parola della Croce” (1 Cor 1, 18), per essere accolta nella fede e annunciata al mondo, comporta tuttavia una permanente conversione.

Esige, cioè, da parte di chi l’accetta e ad essa si sottomette, che ci si volga a Colui che hanno trafitto (cf. Gv 19, 37) e si creda all’amore di cui Egli ha dato prova suprema. Domanda ancora che, in un mondo segnato dall’egoismo, dalla superbia, dall’interesse e dalla brama insaziabile dell’avere, si entri nella “logica” di un amore capace di donarsi, interamente e gratuitamente, affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10, 10). Chiede, finalmente, da parte di coloro che attraverso il Vangelo della Croce si sono lasciati trasformare dallo Spirito, di conformare il proprio modo di vivere a quello di Cristo crocifisso e risorto, nella consapevolezza che dalla morte scaturisce la vita, dalla sofferenza offerta per amore può rinascere la speranza.

4. Carissimi fratelli e sorelle degenti in questo Ospedale, a voi, innanzitutto, voglio rivolgermi; e, attraverso di voi, a tutti i malati della Chiesa che è in Roma.

La “parola della Croce” è indirizzata particolarmente a voi, che siete chiamati a completare nella vostra carne ciò che manca alla passione di Cristo a favore del suo corpo, che è la Chiesa (cf. Col 1, 24).

Accoglietela nella fede e con speranza, testimoniatela con amore!

Voi ben conoscete la sofferenza che comporta il non vedere bene, a cui è legato spesso un senso di solitudine e di smarrimento. Perciò desiderate giustamente di riacquistare pienamente la vista e, con essa, la gioia di vivere e di sentirvi ancora utili alla famiglia e alla società. E quindi vi affidate alle premure e alla competenza di quanti vi curano.

Questo momento è un banco di prova per voi; esso vi fa sperimentare la terribile realtà della sofferenza. Ma se saprete accettarla con fede, potrete diventare collaboratori dell’opera della salvezza, realizzata da Cristo Signore con il suo mistero di passione, morte e risurrezione.

La Chiesa tutta, e in particolare quella che è in Roma, sollecitata con il Sinodo pastorale diocesano a rinnovarsi nella fede e a conformarsi sempre più a Cristo per annunciare a tutti il Vangelo della Croce, attende da coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, il contributo della loro preghiera e dell’offerta sacrificale della vita, per realizzare un programma tanto impegnativo.

Ci sono, infatti, tenebre da dissipare nel campo dello spirito ben più gravi di quelle legate alla mancanza della vista fisica. Sono le tenebre dell’incredulità e dell’indifferenza e quindi del rifiuto di Dio e del suo progetto d’amore. Chiunque fa il male è in queste tenebre e non viene alla luce (cf. Gv 3, 20).

5. Anche per voi, Operatori Sanitari, chiamati a curare e promuovere la salute integrale dell’uomo, la “parola della Croce” costituisce un messaggio esigente.

Sulla via che porta al Calvario e accanto al Crocifisso, il Vangelo ci fa incontrare alcune persone, prima fra tutte Maria, che sono solidali con Cristo, con parole e gesti di amore e di compassione.

Accanto ai malati, nei quali si prolunga in certo modo la passione di Gesù, voi siete chiamati a compiere la stessa missione. La vostra professione di medici, di infermieri, di tecnici e di volontari diventa, in questa ottica, carica di significato e ricca di prospettive. La vostra opera richiede non solo competenza professionale e tecnica, ma anche sensibilità umana, spirituale e morale; richiede generosa dedizione, anche per vincere le tentazioni dell’indifferenza, del disinteresse e dell’assenteismo e dare così testimonianza di un amore sempre pronto a farsi “dono”. Tanto più se l’impegno trae ispirazione e sostegno dalla fede.

Per assolvere compiti così urgenti e delicati nel mondo della malattia, accogliete le iniziative di formazione umana, cristiana ed etica che vi sono offerte. Cercate di realizzare un’azione concorde, superando le spinte al corporativismo e all’individualismo, che nuocciono al buon funzionamento dell’Istituto. A questo proposito, vi invito a vincere anche quelle forme di tensioni che possono nascere in una situazione di precarietà, non perdendo di vista la condizione dell’ammalato, che deve essere il destinatario principale del servizio sanitario.

Siate buoni testimoni di Cristo in tutto ciò che dite e fate. Sarà più facile, così, trasformare l’Ospedale da casa di dolore a “luogo di speranza”.

Il Signore vi sostenga tutti e interceda per voi Maria, “salute degli infermi”!

Alle suore che prestano assistenza nell’Ospedale Oftalmico

Prima di concludere la visita all’Ospedale il Santo Padre si intrattiene brevemente con le Suore che assicurano la loro opera al servizio dei degenti dell’Oftalmico. Nella Cappella dell’Ospedale oltre alle sei suore “residenti” si sono raccolte anche tutte le altre religiose che svolgono la stessa attività assistenziale negli Istituti di ricovero e cura della zona ovest della città. Sono presenti anche numerosi volontari dell’Associazione ARVAS i quali danno un contributo notevole all’assistenza dei degenti. Dopo alcune parole introduttive del Vescovo Luca Brandolini il Santo Padre pronuncia il seguente discorso. Care sorelle, Il Dio della consolazione vi riempia di gioia e di pace nello Spirito Santo (cf. 2 Cor 1, 3)!

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Alle suore che prestano assistenza nell’Ospedale Oftalmico

Care sorelle, Il Dio della consolazione vi riempia di gioia e di pace nello Spirito Santo (cf. 2 Cor 1, 3)!

1. Vi saluto con particolare affetto e, attraverso voi, voglio salutare e ringraziare tutte le Religiose che in questa Città di Roma prestano il loro servizio nel mondo della sofferenza, testimoniando l’amore di predilezione che Dio nutre per i malati, gli emarginati e i poveri.

A ciò, infatti, siete chiamate per il particolare “carisma di misericordia” ricevuto dal Signore nella consacrazione religiosa, ma anche in ragione dell’obbedienza ai Superiori che vi hanno affidato un compito tanto delicato, quale è quello dell’assistenza ai malati.

Attraverso la vostra opera e la testimonianza della vita, Cristo Gesù vuole continuare a “farsi prossimo” ad ogni uomo ferito nel corpo e nello spirito, per consolarlo, curarlo e sollevarlo.

La carità di Cristo (cf. 2 Cor 5, 14) vi spinge a prodigarvi per la salute fisica e spirituale dell’uomo con un servizio qualificato e generoso che miri alla promozione e difesa della vita, al rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona.

Con tali caratteristiche la vostra carità diventerà “perfetta”, riflesso e irradiazione di quella del Signore, quale si è manifestata in tutta la sua vita e soprattutto nel supremo e totale dono di Sé, nella morte di croce; non è, quindi, soltanto espressione di umanità, ma anche attuazione della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Nel mondo della malattia e dell’emarginazione ce n’è oggi particolare bisogno a causa delle innumerevoli spinte in senso contrario che è dato di costatare per l’affermarsi di una mentalità e di una prassi di vita, ispirate al consumismo, all’interesse personale e immediato, all’indifferenza, che rimettono in discussione i grandi valori umani e cristiani che hanno permeato la cultura del passato.

In tale prospettiva il settore della pastorale della salute è da considerare una vera frontiera e un campo tra i più importanti, nel quale si gioca non solo il presente e il futuro dell’uomo, ma la credibilità della testimonianza cristiana e dello stesso “Vangelo della carità”.

È questo il contributo che a voi, in modo speciale, care sorelle, viene richiesto dal Sinodo pastorale diocesano, che intende rilanciare tutta la Chiesa di Roma sui sentieri della “nuova evangelizzazione”.

2. Nel giorno della vostra professione religiosa vi è stato consegnato il Crocifisso, segno della vostra totale dedizione a Dio e al suo progetto salvifico e dell’impegno della “sequela di Cristo”. Esso deve essere per voi anche un “libro aperto” dal quale apprendere la “sapienza della croce” e l’originalità della vostra totale dedizione ai fratelli sofferenti.

Nella contemplazione della Croce, che non mancherete di realizzare quotidianamente attraverso la preghiera personale e comunitaria, Cristo Gesù vi comunicherà la forza dello Spirito per amare, come Egli ha amato, fino cioè al sacrificio totale della vita.

Nel progressivo cammino di assimilazione a Lui vi saranno di sostegno la comunione fraterna, il reciproco aiuto, lo scambio vicendevole, che restano cardini fondamentali della vita religiosa e vie privilegiate per una testimonianza più incisiva ed efficace; come pure le numerose iniziative di formazione che vi sono proposte dal Vescovo, a livello diocesano.

3. Come persone consacrate dovrete anche saper leggere nel Crocifisso il dolore di tutti coloro che soffrono e nei quali si rivela e nasconde simultaneamente il volto di Cristo e verso i quali si indirizza il vostro lavoro e il vostro apostolato.

Sulla “via Crucis” la tradizione popolare religiosa ha collocato una donna pietosa e buona: la Veronica, che asciugò il volto di Cristo, confortandolo con un gesto semplice, ma eloquente di compassione, riconosciuto e premiato da Gesù.

Nella fedeltà alla vocazione ricevuta, fate anche voi lo stesso, ben consapevoli che nel servizio a chi soffre è molto più ciò che ricevete di quanto riuscite a dare.

Il Dio della consolazione e della pace sia sempre con voi!

 

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