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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SANTA MARIA DELL'OLIVO A SETTECAMINI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 5 maggio 1991

 

Il vostro parroco ha parlato della trepidazione. Ma devo dire che il primo a trepidare è stato Pietro e noi sappiamo della triplice domanda di Gesù dopo la Risurrezione, quando Gesù Risorto ha chiesto tre volte a Pietro: “Mi ami tu?”. E lui, Pietro, tre volte ha risposto: “Tu lo sai Signore, io ti amo”. Ma lo diceva con una trepidazione di cuore, perché si ricordava dell’altra domanda di una donna, quando lui, Pietro, non ha confessato ma ha rinnegato il suo Signore. Poi dopo le lacrime, pentito, ha ottenuto questa grazia di incontrare Gesù Risorto e di essere interrogato da lui tre volte sull’amore, amore a Dio. Allora, noi trepidiamo sempre quando l’amore non è abbastanza forte, quando non vince. Quando vince l’amore troviamo la pace: amore e giustizia.

Io, carissimi fratelli e sorelle, auguro alla vostra comunità questa sacra trepidazione delle coscienze, della coscienza personale e anche comunitaria davanti alle nostre debolezze, alle nostre mancanze, alle ingiustizie, perché possa vincere l’amore. Giustizia e amore: questo lo dico pensando anche al campo del lavoro, perché abbiamo vissuto in questi giorni la festa legata nella Chiesa alla memoria di San Giuseppe operaio, padre di famiglia e operaio, lavoratore. E tutte queste circostanze ci portano quasi al centro dei problemi umani di sempre e di oggi, non meno oggi che prima, tre secoli fa, ma oggi ancora di più. Allora, carissimi, io saluto tutti i presenti, tutta la vostra comunità, la parrocchia dedicata alla Madonna dell’Olivo: è una bella dedicazione. Poi saluto tutte le vostre famiglie, questi nuclei fondamentali di ogni comunità umana e cristiana, saluto le generazioni, dai più anziani ai più giovani, ai più piccoli. Saluto anche questa banda molto energica che ci ha accompagnati all’inizio di questo nostro incontro. A tutti auguro di stare sempre vicino a Gesù con trepidazione, di avvicinarsi a lui specialmente quando sentiamo questa interna trepidazione delle coscienze, per cercare da Lui la grazia e la forza per poter rispondere sempre: io ti amo, io ti amo, perché l’amore possa vincere.

Ai bambini

Saluto tutta la comunità scolastica qui riunita, saluto l’Oratorio che lavora in questa parrocchia insieme con la scuola di Sant’Anna e anche altre scuole rappresentate dai giovani parrocchiani. Siete presenti qui, rappresentanti delle diverse età, a cominciare da quelli più piccoli, dell’asilo; poi ci sono le scuole elementari, le scuole medie. Allora io vorrei trasferire tutta questa comunità scolastica, giovanile, della vostra parrocchia, nella casa di Nazaret. Perché nella casa di Nazaret? All’inizio del mese di maggio la liturgia ci ricorda questa casa di Nazaret dove vivevano Gesù, Maria e San Giuseppe: ci ricorda questa casa come luogo di lavoro. Certamente le vostre case dove abitate sono anche comunità di lavoro, ma normalmente i genitori, specialmente i padri, vanno a lavorare fuori di casa, hanno un altro campo di lavoro: dalle istituzioni al lavoro industriale, o altro. Ma voi ragazzi, piccoli e grandi, voi non andate a lavorare fuori casa ma andate a scuola, andate anche nell’Oratorio. Ma nella scuola si va a lavorare? Si lavora nella scuola? E anche nell’asilo si lavora? Sì, si lavora. È un altro lavoro, non ancora professionale, ma preparatorio, per poi esercitare una professione da adulti. Ci vuole prima una preparazione scolastica, anche prescolastica, nei diversi gradi. E si lavora.

Allora, io vi conduco in questa casa di Nazaret dove si viveva insieme come famiglia e dove si lavorava. E Gesù imparava l’arte da San Giuseppe e anche dalla sua mamma imparava i diversi lavori umani. Imparava anche quello che nel suo ambiente si insegnava sulla storia, sulle tradizioni, sui costumi e sulla sacra religione del suo popolo. Dice il Vangelo di San Luca che Gesù cresceva negli anni, cresceva anche nella sapienza e nella grazia. Io vorrei affidare i più giovani della parrocchia alla protezione della Sacra Famiglia, specialmente di San Giuseppe, perché tutti noi dobbiamo crescere come Gesù, negli anni ma anche nella sapienza e nella grazia di Dio. È questo l’augurio che vi faccio, ringraziandovi per la vostra accoglienza molto cordiale e calorosa, e ringraziando per i diversi doni che mi avete offerto. Che il Signore benedica le vostre famiglie, i vostri genitori, tutti i vostri fratelli e sorelle, benedica le suore della vostra scuola, gli insegnanti e tutti quelli che si occupano della vostra educazione e della vostra crescita spirituale. Vi auguro di essere buona parte della parrocchia dedicata alla Madonna dell’Olivo. Buona parte: è una speranza per un futuro sempre migliore.

Al gruppo “Donne di Sant’Anna”
e al gruppo uomini

Voglio congratularmi con il vostro parroco, perché con tutte le sue preoccupazioni che può e deve avere - non è possibile vivere questa vita senza preoccupazioni e anche senza sofferenze - con tutte queste preoccupazioni e sofferenze ha una consolazione: non è solo, è affiancato da un gruppo numeroso di donne e di uomini. Le donne sono specialmente devote a Sant’Anna, vedono in lei il modello, attraverso cui si vede anche il modello supremo di noi tutti che è la Vergine, Madre di Cristo. Vedono nella figura di Sant’Anna anche un modello pratico per creare un’atmosfera di casa, di famiglia in questa parrocchia? Questo è il carisma della donna, il suo compito: l’ho detto anche nella Lettera Mulieris dignitatem. Questa Lettera ha avuto un’accoglienza abbastanza buona anche fra le donne che si dicono “femministe”; anche loro hanno trovato che c’è qualche cosa in questa Lettera, e in questo “Vangelo della donna”.

Poi, il vostro parroco è anche affiancato da un gruppo abbastanza numeroso di uomini che devono portare la loro energia, soprattutto la forza della loro fede e delle loro convinzioni al suo apostolato; così facendolo insieme, è un apostolato non solamente di una persona ma di una comunità. Come Cristo ha trasmesso il suo apostolato ai dodici, così anche per il vostro apostolato nella parrocchia ci vuole una comunità. Allora, mi congratulo col vostro parroco, mi congratulo anche con voi per questa comunione di impegni, questa comunione di intenzioni, nell’apostolato che vi unisce. È un bel titolo quello della parrocchia Santa Maria dell’Olivo: olivo vuol dire pace, è simbolo della pace fra tante altre cose. Allora mi auguro che sia un buon segno per la vostra parrocchia, per le vostre famiglie, per le vostre persone questo simbolo dell’olivo, la Madonna dell’Olivo: che sia anche fruttuoso nei vostri cuori, fruttuoso nelle vostre famiglie, fruttuoso nella nostra comunità parrocchiale tutta intera. Vi offro anche una benedizione, a voi qui presenti e alle persone che vi sono care.

Ai catechisti e ai collaboratori parrocchiali

Nostro Signore Gesù Cristo ha parlato di “lievito”. Era una parabola tra tante, e tutte sono molto suggestive perché ci spiegano in modo possibilmente migliore quello che è il Regno di Dio. Il Regno di Dio certamente è già in questo mondo ma d’altra parte appartiene ancora al futuro escatologico. Noi dobbiamo impegnarci per far crescere questo Regno di Dio. E appunto qui entra il simbolo del lievito che fa crescere la massa, e poi, da questa massa cresciuta, diventa un cibo, pane con cui si nutrono gli altri. Allora, io auguro a voi, carissimi signore e signori che costituite questo gruppo e il Consiglio pastorale - consiglio per consigliare e consultare, ma anche consiglio per collaborare - auguro una buona animazione, perché questa massa che si chiama comunità, che si chiama quartiere, comunità della parrocchia, questa massa ha bisogno di essere animata per crescere umanamente e per crescere cristianamente.

Una parola molto usata oggi è la parola “promozione”. Penso che il vostro gruppo e ciascuno di voi ha un compito “promozionale”. Ma tutte queste parole valgono molto meno che la Parola di Gesù, la parola evangelica del lievito. Con questa parola, vi auguro di essere il lievito nella massa, il lievito per l’animazione cristiana del vostro ambiente. Animazione cristiana vuol dire portare questa comunità umana alla dimensione del Regno di Dio. E con questo augurio che faccio a ciascuno di voi e alla vostra comunità, al vostro gruppo, voglio anche offrire un augurio più personale a ciascuno, una benedizione per le vostre famiglie, per i vostri figli, nipotini, per tutti i vostri cari. Che il Signore vi benedica nelle diverse dimensioni della vostra vita, del vostro lavoro professionale; che vi benedica anche nelle vostre speranze e desideri che nutrite e che volete portare avanti. Tutto questo appartiene alla crescita del Regno di Dio. E per questo la vostra preghiera quotidiana è “adveniat Regnum tuum”. Vi benedico tutti e ciascuno di coloro che portate nei vostri cuori.

Ai lavoratori, agli immigrati del Terzo Mondo e ai giovani

Sono molti i temi, ma cominciamo con i giovani, per terminare anche con i giovani. È vero che non c’era un loro discorso: erano molti altri i discorsi e i giovani hanno un po’ ceduto la parola ai più adulti. Ma essi si sono espressi durante tutta la visita, soprattutto con la banda musicale e molti di questi musicisti sono qui. Sappiamo bene che chi canta prega due volte, secondo la dottrina di Sant’Agostino, grande Padre della Chiesa. Se questo è vero per uno che canta per uno che suona forse si deve ancora moltiplicare questo “criterio” dell’orazione, della preghiera. Allora, ringrazio tutti i giovani che sono qui e che appartengono alla comunità della vostra parrocchia, che prendono parte al cammino cristiano di questa parrocchia.

Ma è chiaro che oggi, all’inizio del mese di maggio, non poteva mancare la tematica della Rerum novarum, di cui celebriamo in questo mese il centenario, il Centesimus annus. Si parla molto, anche sulla stampa, della nuova Enciclica Centesimus annus, per il centenario della Rerum novarum. Questo centenario lo abbiamo celebrato piuttosto con l’esempio che con le parole, e questo è bello. Si vede che i problemi di una volta, di cento anni fa, sono anche i problemi dei nostri tempi, dopo cento anni. Non si può negare che molte cose siano cambiate, siano migliorate. Per esempio, io penso che oggi la realtà sindacale è già una grande forza del mondo del lavoro, dei lavoratori. Ieri ho avuto un incontro con i sindacati per il centenario della Rerum novarum, con i sindacati italiani, soprattutto con quelli cristiani. Ma la realtà sindacale è già una forza dei lavoratori, i quali non sono così indifesi come nell’epoca di Leone XIII, e prima di lui ancora di più. Allora, possiamo sperare che questi problemi di oggi, di cui si è parlato qui oggi, troveranno una soluzione: devono trovarla. Certamente la Chiesa non è l’istanza diretta per risolvere questi problemi; ma la Chiesa, la Chiesa di Roma, è sempre e comunque impegnata in questi problemi con le sue persone, con la sua pastorale e anche con le istanze sue proprie. È bene che questo caso penoso, questa preoccupazione degli uomini e dei lavoratori della parrocchia siano portati qui, durante la visita del Papa. Io penso che insieme con i collaboratori, con il Pro-Vicario di Roma, con il Vescovo Ausiliare di zona, cercheremo di fare il possibile.

Ma se questa realtà dei lavoratori licenziati ingiustamente o minacciati di essere licenziati ha portato qui un aspetto di ombra, ci sono anche alcuni aspetti, possiamo dire, di luce. Questo aspetto di luce si è manifestato attraverso la presenza dei rappresentanti del Terzo Mondo che appartengono al Centro Francescano per il Terzo Mondo, quello che è chiamato Terzo Mondo. Certamente, ai tempi di Leone XIII non esisteva come oggi questo problema degli abitanti del Terzo Mondo nei nostri Paesi. C’era il problema del proletariato locale, europeo, dei concittadini che si trovavano in situazioni socialmente ingiuste. Oggi sono i nostri immigrati venuti da diversi Paesi dell’Africa e anche da altri Paesi del Terzo Mondo che qui trovano lavoro, studi, comprensione e vogliono anche essere aiutati. È bene che esista questo Centro Francescano per il Terzo Mondo, che corrisponde certamente all’identità, al carisma di San Francesco. Ma San Francesco viveva in un secolo abbastanza lontano, nel secolo XIII; noi viviamo alla fine del secolo XX, e certamente i problemi sono nuovi: la Rerum novarum, la novità dei problemi. E questo problema del Terzo Mondo in genere, nella sua pluralità, e del Terzo Mondo a Roma, in Europa, è problema nuovo. Anche qui noi dobbiamo trovare soluzioni secondo i principi della giustizia e della carità. Lo stesso si può dire per questo centro, occupato e impegnato nell’annuncio e nella presenza nell’ambiente delle carceri.

Io vedo in tutti questi elementi che trovano espressione nei diversi discorsi un ricco esempio delle problematiche tipiche della dottrina sociale, della pratica sociale, della tradizione sociale della Chiesa. Cambiano i tempi e le circostanze, anche i modi con cui questa pratica si deve esprimere; ma la pratica è evangelica, appartiene all’eredità lasciataci da Gesù Cristo, dalla prima comunità cristiana di Gerusalemme e poi da tante altre che si diffonderanno nel mondo in duemila anni. Oggi dobbiamo cercare e trovare soluzioni adeguate ai nostri tempi e, d’altra parte, soluzioni provenienti dagli stessi principi evangelici. Quella che si chiama Dottrina sociale della Chiesa non è altro che il Vangelo dei problemi sociali, il Vangelo del lavoro, il Vangelo della giustizia e della carità negli ambienti della società moderna, della società operaia, della società industriale, della società degli emigrati.

Allora, alla fine torniamo ancora ai giovani. I giovani appartengono all’oggi, ma appartengono anche al domani, appartengono al secolo ventesimo e appartengono anche al secolo prossimo che si avvicina. Auguro a questi giovani che quando saranno adulti, responsabili, questi problemi di cui si è parlato oggi e che hanno suscitato anche una nostra preoccupazione comune, questi problemi possano trovare soluzioni migliori, sempre migliori, perché si può migliorare sempre la vita, la giustizia sociale e anche questa “civiltà dell’amore” di cui parla la Chiesa. Che queste due realtà, “giustizia sociale” e “civiltà dell’amore”, siano due realtà quando voi giovani sarete già, non dico anziani, almeno adulti; ma anche anziani, come sono io.

 

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