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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA DI
SAN MICHELE ARCANGELO A PIETRALATA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 10 novembre 1991

 

Carissimi fratelli e sorelle, in questo anno la Chiesa universale celebra il IV centenario di San Giovanni della Croce. Queste celebrazioni stanno già per terminare. Ma io vorrei citare una frase di questo Santo spagnolo, grande mistico e dottore della Chiesa. Egli diceva: dove non c’è l’amore, tu devi introdurre l’amore e troverai l’amore. Io penso che queste parole sono molto adeguate e vere dovunque. Ma vorrei applicarle alla vostra comunità, al vostro quartiere Pietralata e a questa parrocchia, specialmente dopo le parole del vostro parroco, perché mi è venuta in mente questa espressione di San Giovanni della Croce ascoltandolo. Si deve trovare l’amore nel proprio cuore e poi introdurlo tra gli altri, nell’ambiente, nelle vicinanze, nella vita parrocchiale, e si troverà l’amore. Così si potrà realizzare quella che è la vera finalità della nostra vita umana e cristiana.

Allora, salutando tutti i presenti e tutta la vostra comunità civile, la comunità cristiana, parrocchiale, io auguro a voi di seguire questo principio evangelico con cui la vita, ve lo assicuro, diventa veramente sempre più umana e profondamente cristiana.

Ai bambini del catechismo e della Prima Comunione

Vorrei domandarvi perché il Papa è venuto qui, nella vostra parrocchia di Pietralata... Per benedirvi, certo, tutto questo è vero. Ma io direi che il Papa è venuto soprattutto per vedervi. C’è una parola interessante nelle Lettere di San Paolo, quando egli racconta di essere andato a Gerusalemme per vedere Pietro. Era così importante per questo apostolo convertito miracolosamente da Gesù, vedere Pietro. Ci sono ancora quelli che vogliono vedere Pietro e per questo vengono a Roma. Ma, d’altra parte, Pietro, il Successore di Pietro, ha sempre la necessità di vedere tutti quelli che vogliono vederlo, che lo vedono. È per questo che egli deve tanto girare attraverso il mondo. Ultimamente è andato in Brasile. Voi sapete dov’è il Brasile? Forse qualcuno di voi è stato in Brasile, forse ci andrà...

Ma soprattutto il Papa va girando attraverso Roma, attraverso le diverse parrocchie, per vedere la Chiesa di Roma, per vedere i romani, per vedere gli adulti, gli anziani, ma in primo luogo per vedere i bambini. Allora io sono venuto qui per vedervi, per guardarvi, per vedere come si presenta ciascuno di voi. E con questo “vedere” si fa un incontro. Il primo incontro si fa sempre col “vedere”, con gli occhi. Qualche volta l’incontro si deve fare non soltanto con gli occhi del nostro corpo, ma con gli occhi della nostra mente, del nostro spirito.

Per esempio, noi non vediamo Gesù. È vero, c’era il tempo in cui Gesù stava in questo mondo. Allora l’hanno visto gli apostoli, i discepoli. L’hanno visto durante la sua missione messianica, quando insegnava, quando operava i miracoli, l’hanno visto crocifisso, sul Golgota, e alla fine l’hanno visto risuscitato, risorto, fra quelli a cui ha voluto rivelarsi. Ma noi, tutti noi, anche il Papa, il Cardinale Vicario, Monsignor Boccaccio, il vostro parroco, tutti noi vediamo Gesù soprattutto spiritualmente, con gli occhi della nostra fede, con gli occhi del nostro cuore.

Io mi rivolgo a voi, a tutti i giovani, ai ragazzi, agli scout, e a voi piccoli bambini. Tutti voi cercate di vedere Gesù e imparate a vederlo attraverso tutta la vostra vita. Questo è il filo conduttore della nostra vita cristiana: vedere Gesù con gli occhi del nostro cuore, con gli occhi della nostra mente, con gli occhi della nostra coscienza, e così prepararci alla visione di Gesù nei cieli, nella vita eterna.

Siamo nel mese di novembre, mese dei defunti. Noi preghiamo per loro ogni giorno e specialmente in questo mese preghiamo per la pace eterna, soprattutto perché possano vedere Gesù, possano vedere Dio con gli occhi spirituali, con questa “vista” spirituale con la quale è possibile vedere Dio, vedere Gesù. Io vorrei augurare a tutti voi di prepararvi bene attraverso la vostra vita, attraverso tutti gli anni della catechesi, della scuola, della frequentazione di questa parrocchia, di prepararvi bene all’incontro con Gesù, a questo incontro definitivo, e di non perdere mai di vista nella vostra vita questa prospettiva, anche quando sarete più grandi.

E auguro ai vostri insegnanti, ai catechisti, alle suore, ai sacerdoti, ai genitori, ai vostri maestri, di accompagnarvi su questa strada con cui ciascuno di noi, sin dalla fanciullezza, si prepara a vedere Gesù, a vedere finalmente Dio e così trovare in Lui la sua eterna felicità.

Ai gruppi parrocchiali

Vorrei ringraziarvi soprattutto per questi doni che devo prendere con me e poi contemplare a casa. Durante la Santissima Eucaristia, il momento principale, ci siamo già incontrati e durante l’omelia ho anche salutato non solamente tutta la comunità parrocchiale ma anche le diverse comunità particolari in questa parrocchia. Qui vorrei aggiungere un pensiero che forse aiuterà ciascuno di noi e noi tutti.

La Chiesa ha tante dimensioni. Ha la sua dimensione mondiale, perché è diffusa su tutta la terra; poi ha le sue dimensioni circoscritte ai diversi Paesi, alle diverse Nazioni, ha la sua dimensione diocesana, ha la sua dimensione parrocchiale. In tutte queste dimensioni è sempre la stessa Chiesa, la stessa realtà, la stessa identità. E questa identità della Chiesa, dappertutto e dovunque, si esprime con un grande “noi”. Siamo “noi”, per esempio, la comunità delle suore, siamo “noi” il Consiglio pastorale, siamo “noi” il gruppo apostolico che si prepara al matrimonio o che cerca di approfondire la spiritualità matrimoniale: siamo “noi”, parrocchia di San Michele.

Io mi congratulo con voi per questo Patrono. È un Patrono che trascende un po’ le dimensioni della storia umana, le anticipa. Vorrei riprendere il significato di questo nome: “quis ut Deus”, chi è come Dio. Allora, veramente egli anticipa e trascende.

La Chiesa è sempre una comunità, un “noi”, cominciando dalla famiglia, Chiesa domestica. Ma la Chiesa è nello stesso tempo sempre un solo “io”, un solo Dio. E questo “io” è Gesù, questo Dio è Cristo, in tutte le dimensioni storiche, geografiche, sociali, parrocchiali, diocesane, epocali. È sempre, da una parte, un “noi”, la Chiesa comunità. Ma è un solo “io”, un solo Dio, e questo “io” è Gesù Cristo, nostra vittoria. Oggi l’abbiamo contemplato come mediatore, come sacerdote unico che porta il suo sacerdozio nel sacrificio di se stesso. Solamente lui poteva offrire un tale sacrificio adeguato alla sua maestà e all’amore, alla sua misericordia.

Vi auguro, carissimi, di creare sempre una comunità parrocchiale, un “noi” in questa parrocchia di San Michele, ma basandovi, radicandovi sempre più in questo “io” di Gesù Cristo.

Alla comunità dei giovani

Sin dall’inizio di questo incontro i giovani erano presenti attraverso il canto e per tutti i partecipanti all’Eucaristia hanno “duplicato” la preghiera, perché Sant’Agostino ha detto che chi canta “bis orat”. Allora è una preghiera duplice.

Vorrei ancora soffermarmi su questa canzone che avete cantato adesso. Non è la prima volta che la sento. Ma quando la ascolto rimango sempre profondamente convinto e commosso. Questo canto, con le sue parole, con il suo testo, con il suo contenuto, esprime il programma del cristiano di tutti i tempi, dagli inizi. Così hanno pensato, così potevano pregare e cantare i primi cristiani, i primi discepoli di Gesù, e poi i discepoli di tutte le epoche, di tutti i secoli.

Io volevo augurare a voi giovani di mantenere questo canto, di non dimenticarlo mai e di andare con questo canto attraverso la vostra vita. Perché è un canto commovente e nello stesso tempo programmatico e ci dice, ci spiega, ci sintetizza tutto quello che significa essere cristiani, essere discepoli di Cristo: “perché” nel senso causale, ma anche “perché” nel senso finale.

Grazie a Dio siete in molti qui presenti e so che avete tante cose da dire; ma io parlo prima, anticipando quello che vorreste dirmi . . . Ancora una cosa vorrei augurarvi. Avete un Patrono, in questa parrocchia, il cui nome significa una cosa stupenda. Il nome Michele, naturalmente orientale, ebraico, semitico, nella nostra lingua latina vuol dire “quis ut Deus”, colui che è come Dio. Nessuno è paragonabile a Dio. Naturalmente Michele non appartiene alla storia della salvezza umana, ma anticipa questa storia, come anticipa tutto il mondo spirituale, tutto il mondo angelico. Egli era creato prima. E noi sappiamo molto poco di questo mondo spirituale, angelico, solo alcuni frammenti. Ma questi frammenti che conosciamo, specialmente di quello spirito “princeps”, principale, Michele, sono quasi esaustivi di tutto. Quando io rifletto sul nome Michele, “quis ut Deus”, vedo in questa unica parola tutto il Vangelo, anzi più del Vangelo, tutta la realtà divina, nella sua sostanza, possiamo dire, ma soprattutto nella sua comunicazione alle creature, in particolare alle creature create ad immagine di Dio, come sono gli spiriti, gli angeli, come siamo noi.

Allora io vi auguro di andare attraverso la vita sino all’ultimo giorno con questo nome, non dimenticando mai che siete o siete stati parrocchiani della parrocchia di San Michele Arcangelo. Mi congratulo con voi, mi congratulo col vostro parroco, e grazie per questo incontro. Probabilmente avreste voluto dire molte cose, ma mi avete parlato soprattutto attraverso quel canto, che è così ricco, così abbondante.

 

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