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VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI BARACCATI DELLA «FAVELA DO LIXÃO DE SÃO PEDRO»

Vitoria - Sabato, 19 ottobre 1991

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Voglio confidarvi che questo incontro con gli abitanti della favela di São Pedro, è un momento che aspettavo con un affetto tutto speciale, sin dall’inizio di questo mio secondo viaggio pastorale in Brasile.

Voi, “favelados”, siete molto vicini al cuore del Papa, poiché siete molto vicini al cuore di Cristo. I poveri sono i prediletti di Dio, ad essi Gesù ha dedicato un amore preferenziale, che la Chiesa desidera imitare.

Voi siete anche molto vicini al cuore del Papa, perché è soprattutto nei poveri, con i quali Egli si identifica, che Gesù vuole essere amato (cf. Mt 25, 40-45).

Nel volto di quelli che soffrono, sotto il peso di carenze spirituali, affettive e materiali, la Chiesa riconosce il volto di Cristo stesso. Sono stati i Vescovi latinoamericani che lo hanno ricordato a Puebla: volti di bambini, segnati dalla povertà ancor prima di nascere, bambini abbandonati e spesso sfruttati; volti di giovani disorientati perché non trovano il loro posto nella società, frustrati per mancanza di qualificazione e di lavoro; volti di lavoratori spesso mal retribuiti o con difficoltà ad organizzarsi e a difendere i loro diritti; volti di sottoccupati e disoccupati, licenziati a causa delle dure esigenze della crisi economica; volti delle madri di famiglia, angosciate poiché non hanno i mezzi per sostentare ed educare i figli; volti di mendicanti e di emarginati; volti di anziani abbandonati e dimenticati (cf. Puebla, 31-39; Ioannis Pauli PP. II, Messa a Chalco, Messico, 7 maggio 1990: Insegnamenti Ioannis Pauli PP. II, XIII, 1 (1990) 1137 s.).

2. Contemplando le enormi moltitudini di questo amato Brasile, che portano su di sé i tratti dolorosi di Cristo, mi tornano in mente le parole di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

La Chiesa vuole servire i poveri nello spirito del Vangelo e per questo non ha mai smesso di impegnarsi per confortarli, difenderli e liberarli, attraverso innumerevoli iniziative e opere di beneficenza, che continuano ad essere, sempre e dovunque indispensabili (cf. S. Congr. pro Doctr. Fidei, Libertatis conscientia, 68).

Allo stesso tempo, nel quadro di una prospettiva più ampia, la Chiesa ha collaborato e collabora senza sosta affinché vengano sanate alle radici le cause della povertà e della miseria, per mezzo della sua dottrina sociale, che essa si impegna a far mettere in pratica, orientando le coscienze e promuovendo profonde riforme nell’organizzazione della società, affinché tutti possano raggiungere condizioni di vita degne della persona umana (Ivi).

Quando Gesù ha chiamato beati i poveri di spirito (cf. Mt 5, 3), annunciava una felicità, basata sull’amore, che Egli voleva stabilire in ogni cuore umano. Si riferiva a uno spirito di povertà e di libertà che, in qualsiasi situazione di vita, è fatto di rinuncia, di fiducia in Dio, di fede nella vera ricchezza, che si trova nella comunione con Dio, di sobrietà e di disponibilità alla condivisione (cf. Ivi, 66).

Quante volte voi, cari fratelli “favelados”, che soffrite delle maggiori carenze, siete un esempio meraviglioso di questo spirito cristiano! Vi vedo aiutare, condividere quel poco che possedete, accogliere un bambino abbandonato, unire i vostri sforzi, come nei “muitiroes”, per risolvere i problemi di abitazione, o per organizzare e portare avanti, senza odio né violenza, che sono incompatibili con lo spirito cristiano, le vostre giuste rivendicazioni.

3. Ma ben diversa da questa povertà, che Cristo proclamava beata, è un’altra povertà, che colpisce una moltitudine di nostri fratelli e ostacola il loro integrale sviluppo come persone. Di fronte a tale povertà, che è la carenza e la privazione dei beni materiali necessari, la Chiesa fa sentire la sua voce, chiamando e suscitando la solidarietà di tutti per debellarla (cf. Ioannis Pauli PP. II, Messa a Chalco, Messico, 7 maggio 1990: Insegnamenti Ioannis Pauli PP. II, XIII, 1 (1990) 1137 s).

La Chiesa è la promotrice della civiltà dell’amore. Non può fare a meno di parlare quando, nelle folle impoverite, vede i segni di una civiltà dell’egoismo.

È per questo che si sente in dovere di dichiarare ingiusti, come ha già fatto, cento anni fa, Papa Leone XIII, “l’accumulo della ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria della moltitudine” (Leonis XIII, Rerum novarum, 97 e Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 5), lo scandalo dell’ostentazione e del lusso, accanto alla sofferenza causata dalla mancanza dei beni più necessari.

Tutte le situazioni di ingiustizia sociale, sono, innanzitutto, “il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali. Si tratta di personalissimi peccati di chi genera o favorisce l’iniquità o la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o eliminare, o almeno limitare certi mali sociali, ammette di farlo per pigrizia, per paura e omertà, per mascherata complicità o per indifferenza” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et paenitentia, 16).

Per questo, la Chiesa sa, e predica, che tutte e ciascuna trasformazione sociale deve passare necessariamente attraverso la conversione degli uomini. Questa è la prima e principale missione della Chiesa.

4. Ma la civiltà dell’amore presuppone necessariamente la pratica della giustizia. “L’amore per l’uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 58).

Occorre un forte risveglio della coscienza morale di tutti gli uomini di questo Paese, che li renda sensibili alle esigenze della giustizia e li porti a corrispondere in maniera effettiva ad essa.

Di fronte a voi, cari fratelli e sorelle della favela di São Pedro, voglio rinnovare il mio appello a tutti i protagonisti della vita economica e sociale del Brasile, lavoratori, imprenditori e governanti, affinché uniscano i loro sforzi, solidalmente, nella promozione di riforme coraggiose e profonde che possano portare quanto prima al superamento delle ingiuste disuguaglianze che affliggono il popolo di questa amata Nazione.

La Dottrina sociale cattolica ha sempre rifiutato l’organizzazione della società basata su un determinato modello di capitalismo liberale, giustamente definito “capitalismo selvaggio”, che ha come tratti dominanti la sfrenata ricerca del guadagno unita al mancato rispetto per i valori primari del lavoro e della dignità dei lavoratori. Questa ricerca è spesso “accompagnata dalla corruzione dei poteri pubblici e dalla diffusione di fonti improprie di ricchezze e di facili guadagni, fondati su attività illegali”. È un sistema economico e sociale che fa del guadagno un fine assoluto e degrada il lavoro umano con un iniquo sfruttamento (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 33-48).

La Chiesa ha rifiutato ugualmente le soluzioni perverse del collettivismo marxista, che soffoca la libertà, reprime l’iniziativa, riduce la persona umana alla condizione di semplice pezzo di un ingranaggio, fomenta l’odio e finisce nell’impoverimento, che voleva superare, e nella più degradante schiavitù. La recente esperienza dell’Est europeo è abbastanza eloquente in tal senso.

5. È nella fedeltà a Cristo, suo Fondatore, che la Chiesa, senza proporre modelli concreti di organizzazione politico sociale, offre, “come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 43).

Alla luce del Vangelo, la Chiesa esorta i lavoratori alla pratica della solidarietà nella sua “lotta per la giustizia sociale” (Ivi, 14), cioè a unire i loro sforzi senza violenze gratuite o ideologiche e aperti all’intesa, determinati a conquistare la garanzia del lavoro, il salario sufficiente per il mantenimento della famiglia, la soluzione dei problemi dell’alloggio e dell’educazione, la previdenza sociale per la vecchiaia, la malattia e la disoccupazione.

Alla luce del Vangelo, la Chiesa ricorda agli imprenditori la loro grave responsabilità nel creare nelle aziende autentiche “comunità di lavoro” in cui il lavoro stesso occupi una “posizione centrale”, senza mai vedersi ridotto “al livello di una semplice merce” (Ivi, 32,33,34). Non si può dimenticare che, se la dottrina della Chiesa riconosce il valore della libera iniziativa, come una delle spinte del progresso sociale non cessa di ricordare vivamente che su ogni proprietà pesa una “ipoteca sociale”. “L’uso dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione comune di beni creati” (Ivi, 30.31).

Alla luce del Vangelo, la Chiesa rivolge un pressante appello morale ai poteri pubblici e afferma che “è stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano” (Ivi, 34). In questo senso, essa riafferma il “principio di sussidiarietà”, che giustifica e in molti casi esige l’opportuno intervento dello Stato affinché, senza estendere oltre i limiti necessari tale intervento, si creino le condizioni che garantiscano la possibilità di lavoro, la giusta retribuzione e l’attenzione per tutti i diritti e le necessità dei lavoratori (cf. Ivi, 48).

È ancora alla luce del Vangelo che la Chiesa lancia anche il suo appello alla collaborazione internazionale. “Occorre che le Nazioni più forti sappiano offrire a quelle più deboli occasioni di inserimento nella vita internazionale, e che quelle più deboli sappiano cogliere tale occasione, facendo gli sforzi e i sacrifici necessari, assicurando la stabilità del quadro politico ed economico, la certezza di prospettive per il futuro, la crescita delle capacità dei propri lavoratori, la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli delle loro responsabilità” (cf. Ioannis Pauli PP. II, Laborem exercens, 8 e Centesimus annus, 35). All’interno di questo contesto di cooperazione internazionale, come affermavo recentemente, “Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati con insopportabili sacrifici”, ma è necessario trovare soluzioni “compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso” (cf. Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 35).

6. Cari “favelados” del “Lixão de São Pedro”, il Papa, il Successore di Pietro ha voluto essere fra voi, il portavoce del messaggio di amore e di giustizia del nostro Salvatore, Gesù Cristo. Egli non dimenticherà le parole di benvenuto della professoressa María da Graça Andreatta e Silva, che ha parlato a nome di tutti quelli che abitano qui, per esporre ciò che ogni abitante, uomo, donna o bambino farebbe, se potesse. Molte grazie! Molte grazie a tutti voi che vivete nei quartieri di Nova Palestina, Conquista, Nossa Senhora das Graças e Resistência! Il Papa vi abbraccia e vuole aggiungere: La Chiesa è messaggera del “Dio della speranza” (Rm 15, 13). Per questo essa vi chiede di aprire i vostri cuori a Dio. “Aprite le porte a Cristo!” che vuole camminare con voi, rendendo santa e feconda la croce che portate. Solo in Cristo si trovano la luce e la vita. Nessun bene umano, per quanto necessario possa essere, potrà mai riempire il vuoto lasciato nell’anima dalla mancanza di Dio. Solo quando incontriamo Cristo come il nostro più grande tesoro (cf. Mt 13, 34), possiamo condividere il suo amore, “dare la vita” per i nostri fratelli (cf. Gv 15, 13), e collaborare con Lui alla costruzione del suo “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Prefazione alla solennità di Cristo Re).

Che il Dio dell’amore e della pace vi benedica, come io in Suo nome vi benedico di tutto cuore.

 



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