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VISITA PASTORALE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I RAPPRESENTANTI DEL MONDO DELLA CULTURA DI TRIESTE

Aula Magna dell'Università di Trieste - Sabato, 2 maggio 1992

 

1. Ringrazio il Magnifico Rettore per i sentimenti espressi nel nobile indirizzo che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Ho seguito con interesse la descrizione, da lui fatta, delle specificità che caratterizzano quest’area culturale, con le conseguenti opportunità di confronto e di dialogo, offerte sia dalla ubicazione geografica sia dalla presenza di numerose istituzioni scientifiche internazionali. Di queste ultime s’è fatto interprete il Prof. Abdus Salam, il quale ha voluto rendere omaggio alla città di Trieste per la gentilezza dei suoi abitanti e per la qualità delle strutture messe a disposizione dei ricercatori che qui convengono da ogni parte del mondo. A lui pure vada un ringraziamento cordiale. Sono lieto di sostare in questa sede universitaria per porgere uno speciale saluto a tutti voi, illustri membri delle Università di Trieste e di Udine, del Centro Internazionale di Fisica teorica, dell’Osservatorio Astronomico e delle varie Istituzioni di alta cultura situate nell’area di ricerca scientifica e tecnologica di Padriciano. Saluto anche le molte migliaia di giovani che fanno capo a questa Città per compiervi gli studi universitari. Qui convivono pacificamente civiltà diverse: qui confinano popoli che hanno una precisa identità nazionale e vivono, anzi convivono, in rispettosa e pacifica cooperazione. Qui, dove viene a chiudersi nel magnifico Golfo il mare Adriatico, che non separa ma congiunge la penisola italiana, santificata dall’evangelizzazione e dal martirio degli Apostoli Pietro e Paolo e la penisola Balcanica nella quale fiorì la santità sapiente dei fratelli Cirillo e Metodio, qui sono lieto d’incontrarvi, illustri Signori e cari Amici, sia per testimoniare direttamente i sentimenti di alta stima che la Chiesa cattolica nutre nei confronti del sapere scientifico e del mondo degli studi in genere, sia per rivolgervi una parola d’augurio e d’incoraggiamento.

2. Entro e fuori dello specifico ambito universitario, gli studi superiori e la ricerca scientifica sono caratterizzati dalla nota dell’universalità. La nozione stessa di Università, ho sottolineato il 21 maggio 1985 a Lovanio, comporta un’esigenza di universalità. L’uomo e il suo mondo, anzi l’intero universo, si propongono all’indagine del ricercatore e dello scienziato con caratteri razionalmente leggibili e universalmente comunicabili. Il linguaggio scientifico è oggi tale che, superando frontiere e barriere d’ogni genere, trasmette parole ed immagini, comunica concetti e progetti, teorie e dimostrazioni a un numero sempre più grande di persone, mettendole in grado di crescere in cultura ed umanità e di avvalersi delle risultanze e delle applicazioni positive dell’attività scientifica. Si può a ragione affermare che, mai come oggi, l’universalità della metodologia, del linguaggio e della mentalità scientifica ha contribuito a cambiare il mondo dell’uomo. L’universalità del sapere consegue, per un verso, dall’incoercibile inclinazione che gli esseri umani provano verso la conoscenza della verità e, per l’altro, dal bisogno che essi hanno di comunicare fra loro sia per trasmettersi le acquisizioni raggiunte, sia per utilizzarle a beneficio di un numero sempre più grande di loro simili. Nonostante l’ampia messe di risultati raggiunti e le meravigliose conquiste attuate nel micro e nel macrocosmo, necessità gravissime attendono di essere superate, problemi nuovi esigono di venire affrontati e risolti. Pensiamo, ad esempio, ad alcune malattie che, pur fatte oggetto di profondi studi, continuano a mietere incessantemente vittime d’ogni età e in ogni luogo. Pensiamo, pure, alla problematica connessa con lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse naturali, a cui la scienza ha dato meravigliosi impulsi, ma che l’egoismo umano continua a sottrarre alla destinazione universale, chiaramente indicata dalla natura. Come non auspicare che intese sempre più larghe, sincere ed efficaci, promosse fra ricercatori, scienziati e responsabili politici delle Organizzazioni internazionali, aiutino ad affrontare risolutamente problemi secolari, come quello delle malattie, della fame, o dell’iponutrizione, che angustiano o minacciano tanta parte dell’umanità?

3. Questa regione dell’Italia, così felicemente situata là dove il Settentrione si collega col Mezzogiorno, l’Occidente con la zona Centro-Orientale dell’Europa, è stimolata dalla natura e invitata dalla storia a far da tramite o cerniera di congiunzione tra popoli, flussi migratori e patrimoni culturali differenti. La stessa diversità, che distingue la costiera dalle Alpi orientali, la pianura dalle colline friulane e dalla Carnia, e le varie popolazioni con una loro propria lingua e cultura, già soggette a drammatiche vicissitudini storiche, può e deve tradursi in forme d’integrazione reciproca e di solidarietà tali, che diventino benefiche per questo Territorio ed esemplari per le comunità etniche dei Paesi confinanti. A ciò può dare un contributo insostituibile la convergente unità degli studi, delle ricerche, dei progetti volti al futuro. La ricerca scientifica, le applicazioni tecniche e tecnologiche, la formazione della gioventù studiosa all’esercizio di professioni consacrate dalla tradizione o richieste dalla costante innovazione, possono determinare in misura notevole il consolidamento della pacifica convivenza e della cooperazione interna e internazionale. Madre e maestra delle popolazioni che risiedono in questi territori e in quelli circostanti, la Chiesa ritiene di avere, a questo proposito, la missione di sostenere e incoraggiare gli intenti e gli sforzi di chiunque si proponga come obiettivo il raggiungimento, il rafforzamento e la salvaguardia della pace. Non sussistono, in questo senso, motivi di divergenza fra ciò che il mondo del sapere accademico e scientifico, da un lato, e la Chiesa, dall’altro, possono e debbono fare. I conflitti che a lungo divisero, e talora contrapposero alcuni versanti e settori delle scienze naturali ad altri del sapere teologico, appaiono oggi in gran parte superati. Mentre sembra entrata in crisi irreversibile, come dicevo nell’Università di Friburgo, “l’ideologia scientista che persiste nell’affermare l’autosufficienza del progetto scientifico, come se da se stesso potesse soddisfare tutte le domande essenziali che l’uomo si pone” (Insegnamenti, vol. VII/1, 1984, p. 1707), la Chiesa fa propria la bella dichiarazione di Galileo, secondo il quale procedono “di pari dal Verbo divino la Scrittura Santa e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio” (Opere, ediz. naz., V, p. 282, r. 30-35): la scienza e la fede s’incontrano nel rispetto delle reciproche competenze, degli ambiti specifici.

4. Noi crediamo che non soltanto la natura sia opera di Dio. Riteniamo anche, con l’apostolo Paolo, che “dalla creazione del mondo in poi, le sue (di Dio) perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelligenza nelle opere da Lui compiute” (Rm 1, 20). La ricerca e la pratica del sapere scientifico, tuttavia, possono di fatto spingere la mente indagatrice a confinare il vero entro il recinto di ciò che è sensibilmente oppure matematicamente verificabile. Ma anche quando non incontra, per debolezza o disattenzione, o per pregiudiziale negazione, il mistero dell’Assoluto trascendente, chi si consacra alla scienza non può non imbattersi, durante il percorso dei suoi studi, nel problema e nel mistero dell’uomo, della sua origine e del suo ultimo destino, delle sue mirabili forze e dei suoi invalicabili limiti, il più oscuro dei quali, ove non sia illuminato dalla fede, resta la morte. Il sapere scientifico non ha in sé il proprio fine. Esso è a servizio dell’uomo: dell’uomo-persona, come dell’umanità tutta intera, dell’uomo inteso come genere umano nella sua differenza specifica, caratterizzata dalla presenza dello spirito - conoscenza, coscienza, volontà - e dalla sua attività consapevole e libera. Nei confronti dell’uomo la scienza non può dirsi o sentirsi neutrale: essa è insieme dono che viene dall’Alto, e conquista incessante dello spirito che cerca e trova, interpreta e organizza. Essa svolge una funzione liberatrice ed elevante, ove non sia esercitata - come avviene nel caso dell’invenzione e dell’uso di armi micidiali - a servizio della morte anziché della vita, a vantaggio del prepotere di pochi anziché a servizio dei diritti di tutti.

5. Quanto è grande, in questo senso, la responsabilità dell’uomo di scienza, quanto nobile la sua missione! Meglio di tanti altri esseri umani, egli può aprire nuovi varchi, tracciare sentieri nuovi nella sfera sempre immensa del conoscibile tuttora ignorato. Egli non può rassegnarsi alla constatazione scettica e agnostica, che faceva dire a qualcuno “Ignoramus, et ignorabimus!”, “Non sappiamo e non sapremo mai”. Anche nella conoscenza di se stesso, l’uomo continua a progredire: oggi, grazie all’ampliarsi degli orizzonti scientifici, delle scienze di osservazione come di quelle che si dicono “umane”, l’uomo conosce se stesso e i propri simili, sotto aspetti diversi, meglio che in qualsiasi epoca passata. Eppure i massimi problemi dell’umanità, quelli che riguardano il valore e il fine dell’esistenza, rimangono insoluti, se dal piano delle conquiste scientifiche non si passa a una visione superiore, superando eventuali condizionamenti culturali o inveterati pregiudizi. Uno dei pregiudizi di cui si può ancora trovar traccia in certi modi di fare scienza riguarda la religione, la pratica della fede, la morale che il Vangelo propone, anzi esige: quasi che l’essere sinceramente credenti possa costituire ostacolo all’esercizio e al cammino del pensiero. Può essere utile ricordare, a questo proposito, due brevi passaggi dei Pensieri di Blaise Pascal. Scrive il grande scienziato e pensatore religioso: “Toute notre dignité consiste... en la pensée. C’est de là qu’il faut nous relever et non de l’espace et de la durée, que nous ne saurions remplir. Travaillons donc à bien penser: voilà le principe de la morale” (Ed. Des Granges, n. 347); “Or, l’ordre de la pensée est de commencer par soi, et par son Auteur, et sa fin” (n. 146). Corretto è dunque l’ordine del pensiero quando non nega lo spazio appropriato alla considerazione dell’uomo, del suo Autore, del suo fine. Corretta e benefica ne è l’applicazione, quando va a beneficio dell’uomo: di tutto l’uomo, di ogni uomo, secondo quei criteri di universalità, d’interdipendenza e di solidarietà che la stessa scienza moderna ha contribuito a dimostrare non solo validi ma indispensabili per il mondo intero.

Affinché ciò avvenga anche mediante le vostre illustri persone e attraverso l’attività scientifica che le nobilita, io elevo al Datore di ogni bene una fervida preghiera e invoco su di voi, sulle iniziative scientifiche a cui attendete e su coloro che vi sono cari la sua benedizione.

 



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