Index   Back Top Print

[ ES  - IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
DELL'ECUADOR IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Martedì, 21 giugno 1994

 

Amatissimi Fratelli nell’Episcopato,

1. Siate i benvenuti in questo incontro con il quale culmina la vostra visita “ad limina Apostolorum”, che rinnova la gioia e l’impegno di unità ecclesiale tra i Pastori, il clero, e i fedeli della Chiesa in Ecuador e il Successore di Pietro. Saluto tutti voi con grande affetto e mediante voi saluto anche tutti i vostri diocesani, in particolare i più bisognosi, i poveri e i malati. In questo incontro di comunione fraterna ci sentiamo uniti in “un solo cuore e un’anima sola” per poter dare “testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4, 32-33).

Ringrazio Monsignor José Mario Ruiz Navas, Arcivescovo di Portoviejo e Presidente della Conferenza Episcopale per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti e con le quali ha voluto rinnovare la profonda comunione con la Sede Apostolica che anima il vostro generoso e devoto ministero. La vostra presenza qui mi ricorda la visita pastorale che nel 1985 il Signore mi ha concesso di effettuare in Ecuador, durante la quale ho potuto apprezzare i valori spirituali che distinguono il vostro popolo, segno delle sue autentiche radici cristiane.

2. Nei vostri resoconti quinquennali avete dimostrato il vostro fermo impegno nel portare a termine l’urgente compito della Nuova Evangelizzazione, promuovendo anche i valori dell’uomo e i suoi diritti e infondendo sempre più il Vangelo nella realtà ecuadoriana, secondo le direttive della IV Conferenza Generale dell’Episcopato latinoamericano. Per studiare le Conclusioni di detta Conferenza avete organizzato un’Assemblea a livello nazionale con la partecipazione di sacerdoti, religiosi, religiose e delegati laici di tutto il Paese, i cui lavori sono stati compendiati nel documento “Linee pastorali. Documento di applicazione di Santo Domingo alla Chiesa in Ecuador”.

In tale documento avete indicato la famiglia come tema prioritario della vostra azione pastorale in quest’anno dedicato in particolare ad essa. Vi esorto vivamente a perseverare nella vostra sollecitudine verso l’istituzione familiare e mi unisco spiritualmente alla vostra preoccupazione per questa cellula fondamentale della società che oggi deve affrontare innumerevoli sfide e che nessun potere umano ha il diritto di manipolare. La Chiesa rinnova la sua considerazione verso la famiglia e il suo impegno nell’annunciare e garantire questo “grande mistero” (cf. Ef 5, 32). In effetti, “la Chiesa professa che il matrimonio, come sacramento dell’alleanza degli sposi è un “grande mistero”, poiché in esso si esprime l’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 19).

3. La famiglia è il primo tempio in cui s’impara a pregare, il luogo privilegiato di formazione e di evangelizzazione, la prima scuola di solidarietà e di servizio reciproco, il punto di partenza delle nostre esperienze comunitarie (cf. Giovanni Poalo II, Familiaris consortio, 21). Essa è la Chiesa domestica in cui “si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno e il perdono generoso sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso al preghiera e l’offerta della propria vita” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657).

Alla famiglia e in particolare ai genitori è affidata, come prezioso diritto e sacro dovere, la missione educatrice. La famiglia è la principale responsabile e la protagonista dell’educazione dei figli e con essa devono collaborare sia lo Stato sia la Chiesa (cf. Dignitatis humanae, 5).

4. Dinanzi alla realtà dell’Ecuador, la vostra sollecitudine pastorale vi ha spinti a denunciare i mali che oggi affliggono l’istituzione familiare nel vostro Paese, come il divorzio, l’aborto, le campagne contro la vita - che non tengono conto dell’autentica paternità responsabile (cf. Gaudium et spes, 50-51) - così come le unioni di fatto non santificate dalla grazia sacramentale. A tutto ciò si aggiungono i gravi condizionamenti sull’unità e la stabilità della famiglia, e anche sull’autentica paternità responsabile, provocati da una situazione di estremo bisogno materiale e di povertà culturale in cui vivono molte famiglie. Dinanzi a questa preoccupante realtà, è necessario unire gli sforzi affinché la famiglia possa uscire indenne dai pericoli che la minacciano e possa rafforzare la sua identità come cellula fondamentale della società e come comunità di persone al servizio della trasmissione della vita e della fede.

Per questo incoraggiate i vostri sacerdoti affinché dedichino una speciale attenzione alla pastorale familiare. “Essi devono sostenere la famiglia nelle sue difficoltà e sofferenze, affiancandosi ai membri di essa, aiutandoli a vedere la loro vita alla luce del vangelo”, con la convinzione che da tale compito trarranno “nuovi stimoli ed energie spirituali anche per la propria vocazione e per l’esercizio stesso del ministero” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 73).

5. Quest’attenzione privilegiata verso le famiglie porterà senza dubbio a un potenziamento della pastorale vocazionale e farà sì che nascano nei focolari cristiani numerose vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. A questo proposito desidero unirmi al vostro rendimento di grazie a Dio per l’aumento del numero di seminaristi e di ordinazioni sacerdotali nel corso di quest’ultimo quinquennio in Ecuador. Al momento i vostri seminari maggiori sono otto, opportunamente distribuiti in tutto il Paese. Vi incoraggio vivamente a continuare con costanza questa azione pastorale così importante per il presente e il futuro della Chiesa nel vostro Paese. In modo particolare desidero esortarvi affinché prestiate una particolare attenzione alla formazione dei futuri sacerdoti. Come indicano ripetutamente le istruzioni emanate dalla Sede Apostolica, i seminari devono essere centri di preparazione integrale della persona, partendo da una solida base umana, spirituale, intellettuale e pastorale, nei quali non manchi un’adeguata disciplina e lo spirito di sacrificio. Solo così si potranno soddisfare i bisogni dei fedeli che si aspettano che i loro sacerdoti siano innanzitutto uomini di Dio, maestri della fede e testimoni dell’amore verso il prossimo.

Preoccupatevi pertanto di dotare i seminari di formatori e di professori virtuosi e competenti nelle scienze ecclesiastiche e umanistiche che diano sempre testimonianza di fede profonda e di un autentico amore per la Chiesa. A questo proposito vi esorto anche a continuare a realizzare il piano preparato dal Dipartimento competente della Conferenza Episcopale sulla formazione permanente del clero, mettendo a disposizione i mezzi adeguati per portare a termine i programmi di studio, i ritiri spirituali e le altre iniziative volte ad aiutare maggiormente i presbiteri nella loro vita e nel loro ministero.

6. Nel sollecito e devoto servizio pastorale verso tutto il Popolo di Dio, constato con soddisfazione che i sacerdoti e gli altri agenti di pastorale dedicano una particolare attenzione ai settori più indifesi della popolazione come gli indigeni, gli afro-ecuadoriani e gli abitanti dei sobborghi delle grandi città. Come ho indicato nell’apertura della Conferenza di Santo Domingo: “Voi Pastori della Chiesa osservate la difficile e delicata realtà sociale che attraversa oggi l’America Latina, ove grandi settori della popolazione vivono nella povertà e nell’emarginazione. Per questo, solidali con il grido dei poveri, vi sentite chiamati ad assumere il ruolo del Buon Samaritano (cf. Lc 10, 25-37), poiché l’amore di Dio si dimostra attraverso l’amore per la persona umana” (Discorso inaugurale del 12 ottobre 1992, 13).

Conosco bene la sollecitudine pastorale con la quale avete assunto l’impegno evangelizzatore di rendere presente Gesù fra le comunità indigene. A ciò stanno contribuendo la creazione di centri di formazione, con formatori nativi, così come l’Istituto Nazionale di Pastorale Indigena. Sono inoltre lieto di sapere che l’invito che vi ho rivolto, durante l’indimenticabile incontro a Latacunga affinché promuoveste le vocazioni autoctone per la vita sacerdotale e religiosa nelle comunità indigene, si sta trasformando in una gioiosa realtà. In segno di sollecitudine verso i più indifesi, non avete cessato di far udire la vostra voce, affrontando la complessa questione del possesso delle terre ed esortando alla solidarietà come cammino che conduce alla giustizia.

7. Uno dei miei più cari ricordi dell’Ecuador è la sua profonda religiosità popolare, in particolare nei Santuari mariani. È consolante vedere tante famiglie, tanti giovani e persone di ogni classe sociale recarsi in questi luoghi di culto per pregare e per incontrarsi più intimamente con Gesù Cristo, nato da Maria.

Il Documento di Santo Domingo, seguendo le direttive già date in precedenza da Papa Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi e dal Documento di Puebla, ha insistito sui valori della religiosità popolare, dalla prospettiva della Nuova Evangelizzazione, sulla promozione umana e sulla cultura cristiana. “La religiosità popolare è un’espressione privilegiata dell’inculturazione della fede. Non si tratta solo di espressioni religiose, ma di valori, di criteri, di comportamenti e di atteggiamenti che nascono dal dogma cattolico, che costituiscono il sapere del nostro popolo e che formano la sua matrice culturale” (Giovanni Paolo II, Apertura dei lavori della IV Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano, 13, 12 ott. 1992: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 2 (1992) 324).

8. Siate consapevoli del fatto che, oltre alla considerazione per la religiosità popolare, si rendono necessari anche la sua adeguata purificazione e il suo perfezionamento, prestando soprattutto una grande attenzione alla catechesi, alla liturgia eucaristica e penitenziale, agli impegni di carità e di giustizia sociale, affinché “purificate dalle loro eventuali limitazioni e deviazioni, riescano a trovare una giusta collocazione all’interno delle nostre Chiese locali e della loro azione pastorale” (Ivi 36).

Non bisogna dimenticare che l’azione proselitista delle sette, così come il pericolo del secolarismo, trovano punti di appoggio nella scomparsa di quelle espressioni culturali e religiose che, pur nella loro semplicità e limitatezza, assicuravano alla gente semplice le esperienze della religiosità, della fraternità e della convivenza familiare e sociale.

Che la religiosità popolare sia quindi, come lo è stata nel passato per molti Vescovi e sacerdoti del vostro Paese, un punto di appoggio efficace per il rinnovamento delle comunità ecclesiali, mediante l’ascolto della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza della carità e l’impegno apostolico. Perseverate quindi nella catechesi a tutti i livelli, annunciando Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, che ci invita alla conversione e che infonde in noi una nuova vita.

9. Nel contesto di questo irrinunciabile compito di annunciare Gesù Cristo e di diffondere il Vangelo, anche i laici cristiani devono svolgere la missione che è stata affidata loro. Essi, in virtù della loro condizione secolare, sono chiamati ad animare e a perfezionare “con lo spirito evangelico l’ordine delle realtà temporali” (Apostolicam actuositatem, 2).

Mentre la Chiesa ha la missione di aiutare gli uomini a orientare tutto l’ordine temporale secondo i piani salvifici di Dio in Cristo, ai laici spetta “un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo come segno e fonte di speranza e di amore” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 7). Oggi spetta proprio ai laici contribuire alla promozione della persona in tutte le sue dimensioni, poiché, in una società in cui domina l’ansia di guadagno e di piacere, è la dignità personale ad essere più minacciata. Se i laici vogliono partecipare “alla missione di servire la persona e la società” (Ivi, 36), devono impegnarsi a perseguire “il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana” (Ivi, 38).

È inoltre necessario che siano presenti nell’ambito della cultura, dove nasce il pensiero, così come nei mezzi di comunicazione sociale, che sono tanto importanti per la trasmissione del messaggio e che tanto influenzano i costumi e gli stili di vita. Illuminati dal Vangelo e incoraggiati dalla dottrina sociale della Chiesa, i secolari cristiani, uomini e donne, devono sempre sentirsi chiamati a contribuire al bene comune, promuovendo la giustizia e la solidarietà, e dimostrando la loro condizione di credenti nell’ambito dell’attività politica ed economica, culturale ed educativa.

10. Nel far riferimento all’azione educativa, desidero sottolineare ancora una volta l’importanza della scuola cattolica, così come la presenza formativa ed evangelizzatrice della Chiesa negli istituti statali di istruzione. Vi incoraggio e vi sono accanto nel vostro impegno a favore dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche affinché i bambini e i giovani, i cui genitori nell’esercizio dei propri diritti lo richiedono, possano essere istruiti secondo le verità della religione cattolica.

La Chiesa deve fare tutto il possibile affinché i giovani si avvicinino a Cristo. È necessario stare con i giovani, trasmettere loro ideali alti e nobili, far sentire loro che il Signore può placare l’ansia dei loro cuori.

Al termine di questo colloquio fraterno, vi prego di portare il mio saluto affettuoso ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e ai cristiani impegnati nell’apostolato, ai giovani e ai genitori, alle comunità indigene, agli anziani, ai malati e a coloro che soffrono.

Nel ringraziarvi nel nome del Signore Gesù per la vostra dedizione e sollecitudine pastorale verso il gregge che vi è stato assegnato, affido voi e le vostre comunità ecclesiali alla materna intercessione della Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione e vi imparto con grande affetto la mia benedizione apostolica.

 

© Copyright 1994 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana