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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BENIN IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 22 agosto 1996

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. È con grande gioia che vi ricevo, Pastori della Chiesa nel Benin. Voi siete venuti a Roma per compiere il vostro pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli, per incontrare il Successore di Pietro e i suoi collaboratori, e per trovare qui un incoraggiamento nella vostra missione di rendere “testimonianza del vangelo della grazia di Dio” e svolgere “il servizio dello Spirito e della giustizia nella gloria” (Lumen gentium, 21). Attraverso di voi, saluto con affetto le vostre comunità diocesane e tutto il popolo del Benin, ricordando con piacere la calorosa accoglienza ricevuta durante il mio secondo soggiorno nel vostro Paese, più di tre anni fa. Ringrazio Monsignor Lucien Monsi Agboka, Vescovo d’Abomey, Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto a vostro nome. Esse rivelano il vigore spirituale e missionario delle vostre comunità e la loro fedeltà al Vangelo.

2. Dalla vostra ultima visita, per rispondere allo sviluppo e al dinamismo delle comunità cristiane, sono state costituite tre nuove diocesi; sono lieto di accogliere i loro Vescovi che vengono per la prima volta in visita “ad limina”. Auguro loro di essere Pastori pieni di entusiasmo apostolico sull’esempio di quanti si sono adoperati per il primo annuncio del Vangelo in mezzo al popolo che è stato affidato loro.

L’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che abbiamo celebrato poco tempo fa, ha voluto rispondere alla sete di Dio dei popoli dell’Africa (cf. Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 47), rappresentando per tutto il continente e per le vostre Chiese particolari l’occasione di un nuovo slancio nell’annuncio della Buona Novella del Vangelo agli uomini e alle donne delle vostre società. Durante il mio ultimo viaggio nella vostra regione, ho voluto promulgare l’Esortazione Ecclesia in Africa che offre a tutta la Chiesa i frutti di questa grande concertazione collegiale. Auspico che questo documento divenga la carta del vostro impegno nella missione evangelizzatrice che vi è stata affidata.

3. Di fatto, nel corso di questo Sinodo, i Vescovi hanno voluto rispondere a due interrogativi essenziali: “Come deve la Chiesa portare avanti la sua missione evangelizzatrice all’approssimarsi dell’anno 2000? Come i cristiani africani potranno divenire testimoni sempre più fedeli del Signore Gesù?” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 46). Queste domande trovano risposta nell’impegno effettivo di tutto il Popolo di Dio a vivere intensamente le esigenze del battesimo. Sono lieto di vedere gli sforzi realizzati nelle vostre Diocesi per la formazione dei fedeli alla loro responsabilità di discepoli di Cristo. I molteplici pericoli che i cristiani devono oggi affrontare, in particolare i momenti di grande sofferenza o di angoscia interiore, esigono che la loro fede sia solidamente fondata ed educata. Il ritorno a pratiche antiche che non sono state ancora trasformate dallo Spirito di Cristo o l’attrazione esercitata dalle sette che si stanno propagando ogni giorno di più sono tentazioni che devono essere considerate con grande attenzione; è importante sapere opporre loro la vera forza che fa vivere l’uomo e lo guarisce da ogni male, quella del Signore risorto presente nella sua Chiesa, che diffonde il suo Spirito che è all’opera in questo mondo. Come ho già scritto in Ecclesia in Africa, “Oggi in Africa, "la formazione alla fede . . . è rimasta troppo spesso allo stadio elementare, e le sette traggono facilmente vantaggio da questa ignoranza". È perciò urgente un serio approfondimento della fede” (n. 76). Ritroviamo qui l’impellente necessità di inculturare realmente la fede affinché i discepoli di Cristo assimilino pienamente il messaggio evangelico, restando al contempo fedeli ai valori africani autentici (cf. Ecclesia in Africa, 78).

La “pastorale dell’inculturazione” che volete sviluppare con gli agenti dell’evangelizzazione è un’opera di ampio respiro. Molti l’hanno già realizzata in diversi ambiti, come in quello della traduzione dei testi biblici o della liturgia, per facilitare la comprensione della Parola di Dio e per permettere una migliore recezione dei sacramenti. L’inculturazione deve raggiungere la parte più profonda dell’uomo. In effetti, “non si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l’inculturazione "significa l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture"” (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 52).

4. Le minacce che gravano oggi sulla famiglia sono una fonte di preoccupazione per il futuro delle comunità cristiane e della società stessa. Vorrei ricordare qui la dignità e il ruolo essenziale del matrimonio cristiano per i discepoli di Cristo. È vero che a volte è difficile soddisfare le sue esigenze. Esse sono tuttavia espressione della verità dell’unione dell’uomo e della donna agli occhi di Dio. “Il Matrimonio esige un amore indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli sposi” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 83). L’azione pastorale della Chiesa è più necessaria che mai per preparare i giovani al sacramento del matrimonio e agli impegni che esso comporta nella vita familiare. L’accompagnamento delle coppie e delle famiglie lungo il cammino della vita, in particolare durante i momenti più difficili dell’esistenza, è un’esigenza primordiale della pastorale della Chiesa. Ogni coppia dovrebbe poter contare sul sostegno delle altre famiglie cristiane per scoprire e per vivere in modo fecondo una vera comunione d’amore.

Vi esorto altrettanto vivamente a invitare le famiglie cristiane a essere la prima scuola della fede attraverso la parola e l’esempio. Che ogni famiglia divenga veramente un luogo privilegiato di testimonianza evangelica! Apprezzo gli sforzi compiuti dalla comunità cristiana per sostenere le famiglie poste dinanzi a gravi problemi di salute o a situazioni di precarietà.

5. La formazione umana e cristiana, che ha inizio con la prima educazione nelle famiglie, continua nella scuola. Conosco le vostre difficoltà a fare rivivere le scuole cattoliche e a offrire ai genitori cristiani e a coloro che lo desiderano i mezzi per impartire ai loro figli una formazione umana, culturale e religiosa di qualità, fondata sui principi del Vangelo. Si tratta di un vero diritto che spetta loro e che fa parte delle implicazioni della vera democrazia e del principio della libertà religiosa. Auspico dunque vivamente che un riconoscimento ufficiale dell’insegnamento cattolico permetta alle famiglie di svolgere la loro funzione educativa secondo le proprie convinzioni, in condizioni uguali a quelle dei genitori che compiono scelte diverse, soddisfacendo così le esigenze di uguaglianza e di giustizia fra tutti i cittadini.

Come ha ricordato il Concilio “la scuola cattolica, essendo in grado di contribuire moltissimo allo svolgimento della missione del popolo di Dio e di servire al dialogo tra la Chiesa e la comunità degli uomini con loro reciproco vantaggio, conserva la sua somma importanza nelle circostanze presenti” (Gravissimum educationis, 8).

6. Da molti anni nelle vostre Diocesi si sta compiendo un considerevole sforzo per la pastorale delle vocazioni. Molte case sono destinate a formare i giovani alla ricerca di vocazione e i seminaristi maggiori. Di recente avete anche aperto un nuovo seminario per il primo ciclo. Mi felicito con voi, e con voi rendo grazie a Dio per questo dono che Egli mette nel cuore dei giovani chiamati a partecipare al sacerdozio di Cristo per il servizio della Chiesa e degli uomini. La formazione dei futuri sacerdoti è una grande responsabilità del ministero del Vescovo. Spetta a lui, in ultima istanza, chiamare all’ordinazione. “Primo rappresentante di Cristo nella formazione sacerdotale è il Vescovo” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 65). Per compiere appieno questa missione il Vescovo deve poter contare su formatori che si sentano profondamente uniti a lui e che vivano fra di loro una vera comunione. Direttori spirituali in numero sufficiente devono poter seguire regolarmente i seminaristi per aiutarli a discernere. Vi invito a non esitare a destinare alcuni sacerdoti a questo importante ministero, anche se ciò comporta grandi sacrifici in altri ambiti della pastorale. Il futuro del sacerdozio e della missione della Chiesa esige che i seminaristi siano formati in modo “che acquisiscano una vera maturità affettiva ed abbiano idee chiare e un’intima convinzione sull’indissociabilità del celibato e della castità del sacerdote” e che inoltre “ricevano una adeguata formazione sul senso e il posto della consacrazione a Cristo nel sacerdozio” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 95).

Questa costituisce per me un’occasione per salutare l’opera realizzata nel vostro Paese dai sacerdoti, dai religiosi e dalle religiose, autoctoni o venuti dall’estero, che si dedicano con generosità e con ardore al servizio del Vangelo. Nel sostenerli nei loro sforzi apostolici, li invito a allargare sempre più gli orizzonti della loro vocazione al servizio di Cristo, pensando in particolare alle regioni del vostro Paese dove la presenza della Chiesa è recente e dove coloro che sono impegnati nella missione sono ancora poco numerosi. A tutti ribadisco la mia fiducia e il mio pensiero affettuoso. Che la corresponsabiltà episcopale e la fraternità che vi uniscono vi aiutino anche a vivere una solidarietà e una collaborazione sempre più grandi fra voi e fra le vostre Chiese particolari!

7. La formazione dei catechisti e dei capi delle comunità rappresenta a giusto titolo una delle vostre principali preoccupazioni. I catechisti, in effetti, svolgono un ruolo importante per la vitalità e il dinamismo della Chiesa. La loro qualità personale di veri testimoni della fede in mezzo ai propri fratelli costituisce la forza e la coerenza del loro insegnamento della Parola di Dio e dell’animazione della preghiera della comunità. Incoraggiateli nel loro servizio evangelico. Gli sforzi importanti che avete già compiuto e che desiderate sviluppare per la loro formazione dottrinale e pedagogica e per il loro costante ritorno alle fonti spirituali permetteranno loro di essere guide che operano con i propri fratelli per rendere le comunità ecclesiali vitali, in stretta collaborazione con i propri Pastori.

8. La messa in pratica della vocazione cristiana nel mondo esige anche un atteggiamento di dialogo con quanti non condividono la nostra fede. “L’atteggiamento di dialogo è il modo d’essere del cristiano all’interno della sua comunità, come nei confronti degli altri credenti e degli uomini e donne di buona volontà” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 65). Il comportamento del cristiano nei confronti di quanti non condividono la sua fede è fatto di rispetto e di stima. Certo, è una realtà difficile da vivere, soprattutto quando pregiudizi e atteggiamenti di sfiducia impediscono un incontro nella verità fra persone o fra gruppi umani. L’educazione alla libertà religiosa nel rispetto di ognuno deve essere una priorità. Perché la pace civile e religiosa si mantenga nel futuro, è necessario che la dignità di tutti gli uomini venga riconosciuta e che ognuno possa esercitare i propri diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di religione.

9. Al termine del nostro incontro, vorrei incoraggiare vivamente i cristiani del Benin ad occupare il proprio posto nell’edificazione della nazione. Essi sono chiamati ad essere coloro che risvegliano al senso del bene comune, alla solidarietà che supera l’ambito familiare o regionale, sforzandosi di “vivere l’amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù, o di altri gruppi di interesse” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 89). L’unione fra tutti i cittadini senza distinzione di origine o di credo, fondata sull’amore della patria comune, deve essere ricercata con ardore per lavorare insieme allo sviluppo integrale della nazione, nella concordia e nella giustizia. Che i giovani non abbiano paura di impegnarsi per il futuro del loro Paese, per l’avvento di una civiltà dell’amore che integri ogni persona al suo giusto posto!

Cari Fratelli nell’Episcopato, la Chiesa che è nel Benin possiede già solide fondamenta, ma desidera anche far sbocciare il proprio futuro. Alle soglie del terzo millennio, lo Spirito di Cristo ci esorta a crescere nella speranza. Che la preparazione del grande Giubileo sia per la Chiesa nel vostro Paese un momento privilegiato di approfondimento della fede e della testimonianza cristiana! Affido alla Vergine Maria il futuro delle vostre comunità, chiedendole di vegliare in modo materno su di esse. Vi imparto di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica che estendo ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli delle vostre Diocesi.

 

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