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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
A
GLI OFFICIALI E AI PRELATI UDITORI
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Sala del Concistoro - Lunedì, 27 gennaio 1997

 

Monsignor Decano,
Illustri Prelati Uditori ed Officiali della Rota Romana!

1. Sono lieto di incontrarvi in questo annuale appuntamento, che esprime e consolida lo stretto legame che unisce il vostro lavoro al mio ministero apostolico.

Saluto cordialmente ciascuno di voi, Prelati Uditori, Officiali e quanti prestate servizio nel Tribunale della Rota Romana, componenti dello Studio Rotale, Avvocati Rotali. Ringrazio in particolare Lei, Monsignor Decano, per le gentili parole che mi ha rivolto e per le considerazioni che, pur in maniera concisa, ha or ora proposto.

2. Seguendo la consuetudine di offrire in questa circostanza delle riflessioni su un argomento attinente al diritto della Chiesa e, in modo particolare, all’esercizio della funzione giudiziaria, desidero intrattenermi sulla tematica, a voi ben nota, dei riflessi giuridici degli aspetti personalistici del matrimonio. Senza entrare in problemi particolari, relativi ai diversi capitoli di nullità matrimoniale, mi limito a ricordare alcuni capisaldi, da tenere ben presenti per un ulteriore approfondimento del tema.

Fin dai tempi del Concilio Vaticano II, ci si è chiesto quali conseguenze giuridiche derivassero dalla visione del matrimonio contenuta nella Costituzione pastorale Gaudium et spes (Gaudium et Spes, nn. 47-52). In effetti, la nuova codificazione canonica in questo campo ha ampiamente valorizzato la prospettiva conciliare, pur tenendosi lontana da alcune interpretazioni estreme che, ad esempio, consideravano la “intima communitas vitae et amoris coniugalis” (Gaudium et spes, n. 48) come una realtà non implicante un “vinculum sacrum” (Gaudium et spes, n. 48) con una specifica dimensione giuridica.

Nel Codice del 1983 si fondono armonicamente formulazioni di origine conciliare, come quella sull’oggetto del consenso (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1057 § 2), nonché sulla duplice ordinazione naturale del matrimonio (cfr Ibid., can. 1055 § 1), in cui sono poste direttamente in primo piano le persone dei nubenti, con principi della tradizione disciplinare, come quello del “favor matrimonii” (cfr Ibid., can. 1060)Ciò nonostante, vi sono sintomi che mostrano la tendenza a contrapporre, senza possibilità di una sintesi armoniosa, gli aspetti personalistici a quelli più propriamente giuridici: così, da un lato, la concezione del matrimonio quale dono reciproco delle persone parrebbe dover legittimare una indefinita tendenza dottrinale e giurisprudenziale all’allargamento dei requisiti di capacità o maturità psicologica e di libertà e consapevolezza necessari per contrarlo validamente; dall’altro, proprio certe applicazioni di questa tendenza, facendo emergere gli equivoci in essa presenti, vengono giustamente percepite come contrastanti con il principio dell’indissolubilità, non meno fermamente ribadito dal Magistero.

3. Per affrontare il problema in modo perspicuo ed equilibrato, occorre aver ben chiaro il principio che la valenza giuridica non si giustappone come un corpo estraneo alla realtà interpersonale del matrimonio, ma ne costituisce una dimensione veramente intrinseca. I rapporti tra i coniugi, infatti, come quelli tra i genitori ed i figli, sono anche costitutivamente rapporti di giustizia, e perciò sono realtà di per sé giuridicamente rilevanti. L’amore coniugale e paterno-filiale non è solo inclinazione dettata dall’istinto, né è scelta arbitraria e reversibile, ma è amore dovuto. Mettere, perciò, la persona al centro della civiltà dell’amore non esclude il diritto, ma piuttosto lo esige, portando ad una sua riscoperta quale realtà interpersonale e ad una visione delle istituzioni giuridiche che metta in risalto il loro costitutivo legame con le stesse persone, così essenziale nel caso del matrimonio e della famiglia.

Il Magistero su questi temi va ben oltre la sola dimensione giuridica, ma la tiene costantemente presente. Ne consegue che una fonte prioritaria per comprendere ed applicare rettamente il diritto matrimoniale canonico è lo stesso Magistero della Chiesa, al quale spetta l’interpretazione autentica della parola di Dio su queste realtà (cfr Dei verbum, n. 10), compresi i loro aspetti giuridici. Le norme canoniche non sono che l’espressione giuridica di una realtà antropologica e teologica sottostante, ed a questa occorre rifarsi anche per evitare il rischio di interpretazioni di comodo. La garanzia di certezza, nella struttura comunionale del Popolo di Dio, è offerta dal Magistero vivo dei Pastori.

4. In una prospettiva di autentico personalismo, l’insegnamento della Chiesa implica l’affermazione della possibilità della costituzione del matrimonio quale vincolo indissolubile tra le persone dei coniugi, essenzialmente indirizzato al bene dei coniugi stessi e dei figli. Di conseguenza, contrasterebbe con una vera dimensione personalistica quella concezione dell’unione coniugale che, mettendo in dubbio tale possibilità, portasse alla negazione dell’esistenza del matrimonio ogniqualvolta siano sorti dei problemi nella convivenza. Alla base di un siffatto atteggiamento emerge una cultura individualistica, che è in antitesi rispetto ad un vero personalismo. “L’individualismo suppone un uso della libertà nel quale il soggetto fa ciò che vuole, “stabilendo” egli stesso “la verità” di ciò che gli piace o gli torna utile. Non ammette che altri “voglia” o esiga qualcosa da lui nel nome di una verità oggettiva. Non vuole “dare” ad un altro sulla base della verità, non vuole diventare un “dono sincero”” (Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie, n. 14).

L’aspetto personalistico del matrimonio cristiano comporta una visione integrale dell’uomo che, alla luce della fede, assume e conferma quanto possiamo conoscere con le nostre forze naturali. Essa è caratterizzata da un sano realismo nella concezione della libertà della persona, posta tra i limiti e i condizionamenti della natura umana gravata dal peccato e l’aiuto mai insufficiente della grazia divina. In quest’ottica, propria dell’antropologia cristiana, entra anche la coscienza circa la necessità del sacrificio, dell’accettazione del dolore e della lotta come realtà indispensabili per essere fedeli ai propri doveri. Sarebbe perciò fuorviante, nella trattazione delle cause matrimoniali, una concezione, per così dire, troppo “idealizzata” del rapporto tra i coniugi, che spingesse ad interpretare come autentica incapacità ad assumere gli oneri del matrimonio la normale fatica che si può registrare nel cammino della coppia verso la piena e reciproca integrazione sentimentale.

5. Una corretta valutazione degli elementi personalistici esige, altresì, che si tenga conto dell’essere della persona e, concretamente, dell’essere della sua dimensione coniugale e della conseguente inclinazione naturale verso il matrimonio. Una concezione personalistica sostanziata di puro soggettivismo e, come tale, dimentica della natura della persona umana - assumendo ovviamente il termine “natura” in senso metafisico -, si presterebbe ad ogni sorta di equivoci, anche nell’ambito canonico. Vi è certamente un’essenza del matrimonio, descritta dal can. 1055, la quale permea l’intera disciplina matrimoniale, come appare dai concetti di “proprietà essenziale”, “elemento essenziale”, “diritti e doveri matrimoniali essenziali”, ecc. Questa realtà essenziale è una possibilità aperta in linea di principio ad ogni uomo e ad ogni donna; anzi, essa rappresenta un vero cammino vocazionale per la stragrande maggioranza dell’umanità. Ne consegue che, nella valutazione della capacità o dell’atto del consenso necessari alla celebrazione di un valido matrimonio, non si può esigere ciò che non è possibile richiedere alla generalità delle persone. Non si tratta di minimalismo pragmatico e di comodo, ma di una visione realistica della persona umana, quale realtà sempre in crescita, chiamata ad operare scelte responsabili con le sue potenzialità iniziali, arricchendole sempre di più con il proprio impegno e l’aiuto della grazia.

In quest’ottica il favor matrimonii e la conseguente presunzione di validità del matrimonio (cfr Codice di diritto canonico, can. 1060) appaiono non solo come l’applicazione di un principio generale del diritto, ma come conseguenze perfettamente consone con la realtà specifica del matrimonio. Resta, tuttavia, il difficile compito, a voi ben noto, di determinare, anche con l’aiuto della scienza umana, quel minimo al di sotto del quale non si potrebbe parlare di capacità e di consenso sufficiente per un vero matrimonio.

6. Da tutto ciò ben si vede quanto esigente ed impegnativo sia il compito affidato alla Rota Romana. Attraverso la sua qualificata attività giurisprudenziale, non soltanto si provvede ad assicurare la tutela dei diritti di singoli Christifideles, ma si dà, al tempo stesso, un contributo significativo all’accoglienza del disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia sia nella comunità ecclesiale che, indirettamente, nell’intera comunità umana.

Nell’esprimere, pertanto, la mia gratitudine a voi che, direttamente o indirettamente, collaborate in tale servizio e nell’esortarvi a perseverare con rinnovato slancio nella vostra mansione che tanta rilevanza riveste per la vita della Chiesa, di cuore vi imparto la mia Benedizione, che volentieri estendo a quanti operano nei Tribunali ecclesiastici di ogni parte del mondo.

 

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