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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 7 gennaio 1970

 

La Fede è il cardine del rinnovamento promosso dal Concilio

Diletti Figli e Figlie!

Pare a noi doveroso ricercare ancora nello spirito e nell’insegnamento del recente Concilio il tema di questo familiare colloquio. Noi supponiamo che voi, cari visitatori, abbiate in cuore una ovvia e legittima curiosità: che cosa sta pensando il Papa? qual è il filo delle sue riflessioni? Ecco la Nostra risposta: Noi continuiamo a pensare al Concilio. Questo avvenimento non si è concluso al termine dei suoi lavori, come un fatto storico, chiuso nel tempo; esso è stato un principio d’un rinnovamento della Chiesa, il quale deve svolgersi successivamente e attingere la vita della grande e intera comunità ecclesiale. Il Concilio ha lasciato un corpo d’insegnamenti, che non dobbiamo dimenticare; dobbiamo ricordarli, conoscerli, applicarli. Il Concilio deve continuare nella meditazione della Chiesa, infonderle una nuova mentalità, imprimerle un nuovo comportamento, rinnovarla, diffonderla, santificarla.

RINNOVAMENTO PERSONALE

Sappiamo bene che un’intera letteratura è scaturita dal Concilio e continua a offrirci opere nuove. Sappiamo parimente bene che opere ed istituzioni sono sorte dopo il Concilio, ed in virtù delle sue prescrizioni; e tutti sanno quanti e quali sviluppi dottrinali derivano dal Concilio ed alimentino gli studi e la cultura. Invochiamo lo Spirito Santo affinché questo processo dottrinale e canonico proceda felicemente. Ma qui ora Noi ci domandiamo: che cosa può fare e deve fare il singolo fedele in ordine al Concilio? Che cosa la singola comunità ecclesiale ? La risposta ci porta a considerare, in modo speciale, le esigenze morali derivanti dagli insegnamenti e dalla celebrazione stessa del Concilio. Cioè, dobbiamo tutti riflettere quale applicazione coerente, sia nel modo di pensare, sia in quello di agire, noi dobbiamo promuovere in ordine al Concilio, ammesso che ciascuno di noi voglia attribuire a questo grande fatto un’importanza pratica e benefica, non solo per tutta la Chiesa, ma altresì per la nostra vita morale, per il rinnovamento della nostra concreta e personale professione cristiana.

Sarà bene iniziare questa riflessione tracciandole subito una via retta per evitare due eventuali e pericolose deviazioni. La prima deviazione è quella di credere che il Concilio ha aperto un’era talmente nuova da autorizzare una svalutazione, un distacco, un’intolleranza verso la tradizione della Chiesa. Esiste in molti uno stato d’animo di radicale insofferenza verso lo «ieri» della Chiesa: uomini, istituzioni, costumi, dottrine, tutto è senz’altro accantonato, se porta l’impronta del passato. È così che uno spirito critico implacabile condanna in questi irrefrenabili innovatori tutto il «sistema» ecclesiastico di ieri: essi non vedono più che colpe e difetti, inabilità e inefficienza nelle espressioni della vita cattolica degli anni trascorsi; con conseguenze che si presterebbero a molte e gravi considerazioni, e che oscurano quel senso storico della vita della Chiesa, ch’è pur preziosa caratteristica della nostra cultura. Esso è sostituito da una facile simpatia a tutto ciò ch’è fuori della Chiesa; l’avversario diventa simpatico ed esemplare, l’amico invece diventa antipatico e intollerabile. Se questo processo non è moderato, esso dà luogo perfino alla persuasione che sia lecito prospettare l’ipotesi d’una Chiesa del tutto diversa da quella odierna e nostra; una Chiesa inventata, si dice, per i tempi nuovi, dove sia abolito ogni vincolo di obbedienza molesta, ogni limite alla libertà personale, ogni forma d’impegnativa sacralità. Questa deviazione è pur troppo possibile; ma è da sperare che la sua stessa evidente eccessiva misura ne denunci l’errore: non certo a questa disintegrazione della realtà storica, istituzionale e collaudata vuol tendere l’aggiornamento», cioè il rinnovamento della Chiesa, patrocinato dal Concilio.

Altra deviazione sarebbe data dal confondere la consuetudine con la tradizione, e dal credere perciò che il Concilio sia ormai da considerarsi chiuso e inefficiente, e che i veri nemici della Chiesa promuovono e accolgono le novità derivanti dal Concilio stesso. La tradizione, cioè la consuetudine, dicono, deve prevalere. Anch’essi questi difensori dell’immobilismo formale del costume ecclesiastico, forse per eccesso d’amore, finiscono per esprimerlo questo amore in polemiche con gli amici di casa, quasi questi, più che altri, fossero infedeli e pericolosi.

LA VOCE DEI PASTORI

E allora la retta via qual è? È quella che l’autorità responsabile dei Pastori della Chiesa, e nostra, traccia davanti alla comunità ecclesiale. La voce pastorale non tace. I buoni la ascoltano. Non la ignorano, non la trascurano. Siamo fermamente persuasi, nel Signore, che la Chiesa possa non solo conservare i suoi quadri efficienti e compiere la sua missione di salvezza e di pace, in quest’ora critica della sua storia e grave per quella del mondo, se la funzione pastorale avrà libero, chiaro, forte ed amoroso il suo esercizio e se la comunità del Clero e dei Fedeli lo capirà e lo asseconderà.
E dove si dirige questa via?
La domanda entra nell’ordine di idee, che Noi proponevamo all’inizio di queste parole, cioè tende a sapere quale linea morale e spirituale (fermiamoci a questa, per ora) offre il Concilio alla Chiesa; perché è appunto su questa linea che si muovono i passi della guida pastorale.

CRISTO AL VERTICE DELLA NOSTRA VITA

Accenniamo appena, per concludere, ad alcuni criteri preliminari. Questo, ad esempio, che è di tutta evidenza e di tutta necessità: la coerenza. Il cristiano deve ricomporre la sua unità spirituale e morale; non basta chiamarsi cristiani, bisogna vivere da cristiani. È l’antica massima fondamentale dell’Apostolo: Iustus ex fide vivit, l’uomo giusto, il cristiano autentico, deriva la norma, lo stile, la forza della sua vita dalla fede. Non vive solo con la fede, ma secondo la fede. Questo è un principio basilare. Se ne potrà parlare altre volte. Questo è il cardine del rinnovamento voluto dal Concilio.
Potremmo aggiungere due altri criteri fondamentali; li enunciamo appena, per non tediarvi più a lungo con questo discorso. Eccoli: bisogna mettere Cristo al vertice, al centro, alla sorgente della nostra vita; cioè del nostro pensiero, del nostro costume. Egli deve essere il Maestro, l’esempio, il pane della nostra vita personale. E bisogna entrare nella concezione comunitaria della vita cristiana, anche di quella interiore e personale; cioè bisogna entrare nell’ordine della carità. La carità è il distintivo di coloro che seguono Cristo; ricordiamolo sempre (Cfr. Io. 13, 35).
Renda fecondi in voi questi accenni fugaci la Nostra Benedizione Apostolica.

                       



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