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CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL «CORPUS DOMINI» AD OSTIA LIDO

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità del «Corpus Domini»
Lido di Ostia - Giovedì, 13 giugno 1968

 

I VOTI DEL PADRE DALL'ALTARE DI CRISTO

Salute a Voi, nel nome del Signore, Figli e Fratelli tutti dimoranti nella zona di Ostiamare! ed a voi tutti, che da Roma siete venuti per celebrare con Noi la festa del Corpus Domini in questa circoscrizione civile ed ecclesiastica, che ormai è aggregata alla città e alla diocesi di Roma.

Salute a tutti e benedizione! Qua Noi personalmente siamo venuti per dimostrarvi come voi Ci siate Figli e Fratelli, non solo come cattolici e credenti, ma altresì come fedeli della Nostra Diocesi, e perciò a Noi cari anche per questo titolo di speciale comunione: siete Nostri diocesani! e come tali vi consideriamo in quel rapporto speciale d’interesse, di cura e d’amore, che la Chiesa stabilisce promovendo e determinando il suo ministero pastorale.

Noi vogliamo esprimere i Nostri voti, pieni di riverenza e di affezione, in modo particolare al Nostro Cardinale Vicario, assente da Roma; poi a Mons. Cunial, Vice Gerente e a Monsignor Trabalzini, Vescovo Ausiliare del Nostro Cardinale Vicario e qui dimorante; e poi al Parroco di questa chiesa dedicata a Maria «Regina Pacis», il P. Colafranceschi, e con lui ai suoi Confratelli, agli altri cinque Parroci di Ostia, ai Sacerdoti che vi esercitano il sacro ministero, ai Religiosi e alle Religiose, che hanno qui dimora e campo di apostolato, ai Laici carissimi delle associazioni cattoliche, a tutti i Fedeli, con un ricordo speciale ai giovani, ai malati ed ai poveri. Cosi vogliamo esprimere la Nostra devota riconoscenza a tutte le Autorità civili e militari, che assistono questa moderna e vasta e varia parte di Roma, e dire a tutte il Nostro cordiale augurio per le funzioni, che qui esercitano per il bene di tutta la popolazione.

Salute a tutti, diciamo, convinti come siamo che la celebrazione, a cui insieme ora partecipiamo, possa godere di maggiore pienezza spirituale mediante questa Nostra doverosa introduzione, intesa a rendere tutti consapevoli della carità, che oggi qui ci unisce intorno all’altare di Cristo.

ARDENTE ATTO DI FEDE NEL SIGNORE NOSTRA GUIDA INDIVIDUALE E SOCIALE

Fratelli e Figli carissimi!

Che cosa vuol dire il rito insolito e solenne che stiamo compiendo?

Vi avete pensato? Noi togliamo dal segreto silenzio dei nostri Tabernacoli, al quale solo gli iniziati, vogliamo dire i fedeli credenti e devoti, educati ai misteri della nostra religione, possono accedere coscientemente, la santissima Eucaristia; e la portiamo fuori, in faccia alla società laica e profana, in mezzo alle piazze, alle vie, alle case, dove si svolge la vita terrena, affannata nelle sue faccende temporali, arrestiamo per un momento il ritmo febbrile della circolazione civile, e professiamo con un certo sforzo e con un certo sfarzo di pubblicità questa straordinaria e quasi impensabile verità: Egli è qui! Gesù è fra noi! Cristo è presente! E proclamiamo con enfasi e con gaudio questa misteriosa realtà, per portare fino all’entusiasmo e all’ebbrezza il nostro atto di fede, con gesti e con canti che sembrano non solo diffondersi dall’interno all’esterno delle nostre chiese, ma traboccare piuttosto dai nostri animi, invasi da una incontenibile pienezza interiore, che vuole, sì, una volta, annunciarsi al mondo.

«VENITE A ME TUTTI ED IO VI CONSOLERÒ»

Se così è, due significati, due scopi ha questa celebrazione. Il primo quello di scuotere certa nostra abituale assuefazione, certa nostra intollerabile insensibilità davanti al fatto eucaristico, misterioso fin che si vuole, ma reale, ma vicino, ma presente, ma urgente per una qualche nostra migliore comprensione, per un qualche nostro più aperto e più cordiale incontro con quel Gesù, che, mediante a questo sacramento, a noi, a ciascuno di noi si offre, si dona, per noi si immola, per comunicarsi, per essere ricevuto, per diventare in noi principio di vita nuova, di vita sua, divina, comunicata anche al corpo destinato alla risurrezione e all’eternità. Egli così ci aspetta, così ci invita, così ci parla, con un suo dialogo tutto interiore, tutto tessuto della sua Parola, che s’intreccia nella nostra umana esperienza, e tutto sgorgante di grazie e di verità.

Per conseguire questo primo scopo sarà necessario che il nostro culto eucaristico, pieno di inni festanti ed espresso in forma quanto mai comunitaria e pubblica, non si concluda con la fine di questa cerimonia, ma perseveri, e da esterno ritorni interno, da sociale diventi personale, da esuberante ed attivo si faccia più intensamente adorante, quasi estatico, tutto assorbito dal senso profondo del mistero eucaristico.

Ed è ciò che noi tutti dobbiamo fare.

Scossi e svegliati da questa celebrazione solenne, dobbiamo poi subito dedicarci al culto contemplativo dell’Eucaristia, esplorarne in qualche modo l’arcana ricchezza, collegare la forma sacramentale, che la racchiude, con la forma concreta della nostra vita presente e con la confermata speranza di quella futura, abbandonarci all’amore, ch’essa, l’Eucaristia, mediante la fede, infinitamente ci offre. L’invito è per tutti. Non è esoterico. È l’invito alla mensa domestica di Gesù. I piccoli sono i primi invitati. I sapienti sono attesi e quasi sfidati a pensare, a comprendere. Ma tutti i credenti sono chiamati; i poveri, gli affamati ed assetati, i sofferenti e i tribolati. Gesù chiama ancora dal suo umile nascondiglio eucaristico: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi; ed io vi consolerò» (Matth. 11, 28). Questo è il primo scopo.

L’altro scopo della festa del Corpus Domini vuole effondere un’irradiazione luminosa sulla vita sociale in quanto tale, comprenda o non comprenda essa la sorgente donde tale luce le viene.

LA LUCE DEL SACRAMENTO ATTINGE OGNI ASPIRAZIONE DEGLI UOMINI

Intende forse questa celebrazione costituire una dimostrazione, un confronto nei riguardi delle altrui differenti opinioni? No, certo, perché il velo stesso sacramentale, che contiene e nasconde la divina presenza, non si apre che a coloro che vogliono, a coloro che credono; l’accesso è riservato e insieme libero; la fede si presenta, non si impone; e ciò che essa oggi presenta è simpatia umana, è amore. Noi dobbiamo riflettere un istante a questo riverbero eucaristico sul mondo, alla cui attenzione mostriamo il nostro pane misterioso, ed osservare come l’unica luce che emana da esso, la presenza sacramentale di Gesù, si rifranga, posandosi sulla scena umana circostante, in tanti colori, cioè in tanti aspetti quante sono le virtualità, cioè le possibilità di sviluppo, le aspirazioni, i bisogni dell’umanità. A voler descrivere questa iridescenza dell’Eucaristia sul quadro della nostra vita, le lezioni cioè di verità e di amore che essa ci proietta, sarebbe lungo il discorso. Ci basti ora un brevissimo accenno al più ovvio e immediato di questi riflessi: l’unità.

L’EUCARISTIA SEGNO PERFETTO DI UNITA

Non vi pare, gente che Ci ascoltate, che una prima, una somma e indiscutibile lezione di unità offra l’Eucaristia alla massa anonima e priva di compagine interiore, di cui si compone la città moderna; di unità, se volete, alla folla compatta e cosciente, si, d’essere popolo, ma sempre in se stessa divisa da irriducibili antagonismi? Noi dovremmo qui ricordare ciò che questo sacramento simboleggia e produce. Parola di San Paolo: «Noi formiamo un unico corpo, pur essendo molti, perché tutti partecipiamo dell’unico pane», che è «comunione del corpo di Cristo» (1 Cor. 10, 17 e 16). Parola dell’antica Dottrina apostolica: «Come questo grano ora macinato era disperso nei campi, sui monti, poi raccolto diventò una cosa sola, così si raccoglie la Chiesa dalle estremità della terra» celebrando l’Eucaristia (cfr. Didachè, 9, 1). Parola del teologo, dottore e cantore della Eucaristia: «La realtà, la grazia propria cioè, di questo sacramento, è l’unità del Corpo mistico», che è la Chiesa (S. Th. III, 73, 3). Non è forse perciò l’Eucaristia un segno a cui il mondo, il nostro mondo moderno dovrebbe guardare con assoluta simpatia, se l’unità, che essa va cercando e producendo, poi talora frazionando e scompigliando, ma sempre quasi fatalmente bramando e ricomponendo, l’unità, diciamo, è il vertice delle sue aspirazioni? Se la fratellanza degli uomini, se la loro organica collaborazione, se la pace finalmente è bene supremo nell’ordine temporale e sociale, non dovrebbe il mondo scoprire nell’Eucaristia la formula più semplice e più chiara che lo interpreta, lo definisce e lo guida? E se il mondo disperasse di sé, d’essere cioè capace di fare dell’umanità una vera famiglia (e quante sinistre prove possono generare in lui questa disperazione!), non potrebbe il mondo ascoltare il messaggio eucaristico, che annuncia non essere questo sacramento soltanto un segno, un simbolo, ma un alimento altresì, una forza, una grazia, che produce ciò che esso rappresenta?

IL MASSIMO DONO DI GESÙ AI PROPRI SEGUACI

Figli e Fratelli, raccogliamo, noi almeno credenti e devoti di questo operante mistero, il suo invito ad essere, come Gesù si espresse (cfr. Io. 17, 21) una cosa sola, a cercare fra noi la concordia e l’unione, a promuovere ciò che insieme ci affratella, non ciò che ci divide e gli uni agli altri ci oppone, a «costruire la Chiesa», ch’è quel mistico Corpo di Cristo, al quale il suo Corpo sacramentale e reale è dato, e mediante il quale fra noi, nel tempo, si perpetua.

Che se altri riflessi sociali e morali, che l’Eucaristia diffonde sul mondo, volessimo considerare, troppo avremmo da dire. Non è questo sacramento, ad esempio, un dono, un grande dono totale di Cristo ai suoi, anzi un dono sacrificale di sé, una rinnovazione rappresentativa e incredula dell’immolazione, che Egli sofferse in modo crudele e cruento, fino alla morte, per la nostra redenzione e salvezza? Ed anche questo aspetto dell’Euraristia quale valore morale offre alla considerazione, anche profana, dell’uomo intelligente circa i veri valori che costruiscono un mondo migliore?

Così non potremmo forse ragionare sull’esempio di carità per i fratelli bisognosi che ci viene da questo Pane offerto e moltiplicato per la fame di tutti? E non potremmo ancora pensare alla gioia che l’Eucaristia diffonde d’intorno a sé, se essa è, come dice la reminiscenza biblica della liturgia (Sap. 16, 20), il pane «che ha in sé ogni diletto»? Se cioè l’Eucaristia ci insegna a compiere il nostro pellegrinaggio della vita presente, tanto spesso gravato da affanni e da malanni, nella sicura speranza dell’attesa ultima, escatologica, dell’incontro beato e finale con Cristo risorto e glorioso?

Lasciamo che questi fasci di luce attraversino oggi la nostra Città, e risplendano specialmente in questa nuova parte dell’Urbe, che tocca il mare, e accoglie tanti ospiti in cerca di sole, di aria e di salute marina; e facciamo si che non indarno tali raggi eucaristici abbiano abbagliato gli occhi delle nostre anime, rese umili, docili e felici dalla celebrazione del Corpus Domini.

                                 



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