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DISCORSO DI PAOLO VI
AI COMITATI ITALIANI ED ESTERI
DELLA SOCIETÀ «DANTE ALIGHIERI» 

Lunedì, 31 gennaio 1966

 

Salutiamo il professor Aldo Ferrabino, illustre Presidente della Società Dante Alighieri, il quale tanto si adopera per la cultura italiana!

E salutiamo voi tutti, qui presenti. Presidenti e soci dei numerosi Comitati della benemerita Società, che porta alto nel mondo il prestigio della civiltà e della lingua d’Italia nel nome del suo grandissimo poeta!

Sul conchiudersi delle celebrazioni dell’anno dantesco, nel settimo centenario della nascita dell’Alighieri, avete desiderato questo incontro, per portarci l’espressione della vostra cortesia e della vostra fede, e per attestare a Noi - come bene ha espresso il prof. Ferrabino - la vostra gratitudine, ispirata a nobile delicatezza d’animo, per la parte che la Sede Apostolica ha avuta nel rendere più solenni e memorabili le commemorazioni del centenario.

Di questa delicatezza, di questa spontanea deferenza, di questa presenza Noi oggi, a Nostra volta, vi ringraziamo di cuore. Tale nobiltà di sentimenti Ci dimostra meglio di ogni parola la fermezza e la genuinità delle vostre convinzioni di italiani e di cattolici. E questo Ci dice altresì quale spirito animi la Società Dante Alighieri, nella sua vasta e meritoria attività culturale, scolastica, editoriale, riproponendo - così Ci piace riconoscere e così parimente Ci auguriamo che sia - quella felice sintesi che ha fatto nei secoli la vera, imperitura grandezza del genio italico, quale del resto trova nella figura di Dante la sua possente e luminosa formulazione: sintesi, diciamo, di umana saggezza e di religiosa sincerità; sintesi di elevata civiltà letteraria e artistica, e di sofferta autenticità di preghiera e di ricerca di Dio; sintesi di zelo, di libertà e di amore alla Chiesa: amore, ammettiamo, talora geloso e corrucciato, ma sempre fervido e profondo, radicato nell’anima stessa del popolo, come nelle forme di vita cittadina, e come nelle espressioni della cultura. E di questo, ripetiamo, è meraviglioso simbolo, e realtà insieme, Dante Alighieri, nel quale l’Italia si riconosce nelle sue molte vite, pur senza esaurire il complesso e vasto significato di quella figura; essa infatti appartiene anche a ogni altro popolo e a ogni altra civiltà, perché universale com’è universale lo spirito umano, cui abbellisce il genio delle cose supreme, il dono magico della poesia, e la grazia celeste; e che si apre ad accogliere in sé nei suoi vari riflessi la trascendente presenza di Dio, «la verità che tanto ci sublima» (Par. XXII, 42).

Era ben giusto che, in questa solennità centenaria, che ha visto riaccendersi ovunque l’interesse per il Poema Sacro, con un’intensità che stupisce e commuove, nei dotti come nei semplici, a rinnovata testimonianza che Dante è vivo, oggi come nel passato: era ben giusto, diciamo, che la Chiesa Cattolica, nel suo umile ma responsabile Capo visibile, portasse a Dante il tributo della sua ammirazione. Di fatto, ad onta di unilaterali e non serene interpretazioni, che vollero fare di Dante il precursore di un imprecisato laicismo ribelle ante litteram, il Sommo Poeta è onore della Chiesa; è figlio della Chiesa, in cui egli sa, e si gloria, di essere entrato col Battesimo e di vivere in essa nell’esercizio operoso e consapevole delle virtù teologali; è figlio della Chiesa, di cui dipinge con tratti soavissimi e potenti la natura e la missione, i riti, le leggi, le istituzioni, l’universale suo sospiro di preghiera, e di cui offre una inobliabile raffigurazione nel compenetrarsi della sua triplice condizione di Chiesa pellegrinante, espiante e trionfante.

L’istituzione da Noi promossa della Cattedra di Studi danteschi presso l’università Cattolica del Sacro Cuore acquista il suo significato in questa visuale: e Ci conforta il pensiero che schiere di giovani pensosi della responsabilità della cultura, nella quale dare testimonianza della propria fede, potranno approfondire a questa scuola le alte lezioni, che promanano dall’opera e dalla persona di Dante in tutti i campi della dottrina e della vita, unificate dalle supreme certezze della Religione cattolica. Che la vostra Società, tanto benemerita dell’insegnamento alla gioventù, abbia accolto con gioia l’annuncio di tale istituzione, come Ci avete detto, Ci procura viva consolazione: e Ci dice qual è lo spirito con cui vi rivolgete ai giovani.

La vostra presenza, la vostra preparazione, lo stesso nome augusto di Dante Alighieri, di cui vi fregiate, meriterebbero una degna trattazione sul significato e sulla funzione che il Poeta fiorentino ha avuto ed ha nella vita e nella cultura italiana, come in quella internazionale; forse vi aspettereste da Noi qualche accenno ai valori spirituali e dottrinali del Poema: e saremmo ben lieti di intrecciare con voi un cordiale colloquio su questo argomento, se il tempo non fosse così angusto, e il tema così arduo, e le possibilità così limitate e come intimorite di fronte ad esso, tanto da far «tremare le vene e i polsi» (1, 1, 90). Vi rimandiamo a quanto abbiamo voluto affidare al più solenne contesto della Nostra recente Lettera Apostolica-Motu proprio Altissimi cantus: non senza però rivolgere in questa occasione un augurio, che Ci sgorga dal cuore.

L’augurio è che, nel nome di Dante, oggi come nelle passate epoche della sua storia, il Popolo italiano trovi un fattore di unità spirituale. È questo, Ci sembra, l’insegnamento concreto e suasivo che ci viene dalle pagine dell’Alighieri, e che può bene assurgere a emblema conclusivo, a ricordo, a consegna di queste celebrazioni centenarie.

È noto a tutti come il pensiero dell’unità politica e morale abbia travagliato la vita e l’opera di Dante: la discordia fu il suo dramma, l’unione fu il suo sogno (cfr. II, 6, 82 ss.). Dramma da lui sentito cocente nelle vive carni, e sofferto fino alla morte nelle tappe del tormentoso esilio; e solo temperato dal sogno dell’unione, accarezzato nella sintesi possente della sua cultura, alimentata alle fonti universalistiche dell’antichità classica e della sapienza cristiana, e rivestito dei sillogismi consequenziali delle sue opere di dottrina, come della veste sovranamente lirica della sua immortale poesia. Tale anelito di unità, in tutti i campi della vita, rispecchiava mirabilmente - tanto da costituirne come il rappresentante più alto e completo - la mentalità medievale, che non sarà mai troppo a fondo conosciuta: la mentalità, diciamo, della unità architettonica del mondo cosmico, della società civile ed ecclesiastica, della storia, della lingua, della scuola, della cultura; unità, sinfonia, armonia, equilibrio delle facoltà e delle energie della persona umana, chiamate a cospirare in quella sintesi che si chiama bellezza; unità, cioè, che trae la sua origine e il suo modello da Dio, punto focale di tutto l’universo, fonte di vita e di luce e di unità: «un punto vidi che raggiava lume - acuto sì, che il viso ch’elli affoca - chiuder conviensi per lo forte acume» (Par. XXVIII, 16-18). E ancora: «Da quel punto - dipende il cielo e tutta la natura» (ib. 41-42).

Le opere di Dante, lette in questa chiave, dimostrano la sua granitica convinzione ed esigenza di interiore coesione, che dopo la dispersività di una turbata esperienza morale giunge all’unificazione di tutti i valori spirituali e umani in una forte sintesi di dottrina e di vita: ed è questo, Ci sembra, un unico itinerario, che va dall’Incipit vita nova dell’allusiva e reale avventura giovanile, all’approfondimento filosofico e dottrinale del Convivio, all’intuizione dell’unità morale d’Italia con a capo Roma, attraverso lo studio del volgare e dei vari dialetti italici, nel De vulgari eloquentia, all’unità del genere umano sorretta dalle due guide spirituali volute da Dio, Chiesa e Impero, nella Monarchia, fino al compiuto fondersi di tutti questi elementi nella trasfigurazione fantastica e nella finale apoteosi della Commedia.

È una visione cosmica, che da Dio - Dio sentito e amato come fonte di pace:. «e ‘n la sua volontade è nostra pace» (Par. III, 85), Dio creduto come si crede al sole: diremo con Pascal, non il Dio astratto dei filosofi, ma il Dio vivo dei cristiani - da Dio scende ad abbracciare ogni cosa in un unico vincolo d’amore: «nel suo profondo vidi che s’interna - legato con amore in un volume - ciò che per l’universo si squaderna» (Par. XXXIII, 85-87): visione che ancora oggi, pur considerate le mutate condizioni storiche e contingenti, rimane tuttora valida per lumeggiare l’auspicata pace, che è tranquillità nell’ordine, sicuro possesso di concordia universale.

Sappiamo tutti come il Popolo italiano, e del resto ogni popolo, abbia bisogno di quest’auspicata interiore coesione spirituale: e Dante Alighieri può essere tuttora maestro insuperato di unità storica, politica, linguistica, culturale e specialmente religiosa, senza la quale non c’è altra vera e profonda unità.

Ecco, cari signori, qual è il Nostro augurio, che affidiamo al vostro ingegno, alla vostra sensibilità, alla vostra collaborazione: accoglietelo come attestato del Nostro paterno affetto; siate anche voi strumenti di unità e di universalità nell’opera paziente e nascosta e illuminata, che svolgete a favore della vera cultura, in Italia e nel mondo.

Il Signore vi benedica, unitamente alle vostre famiglie e al vostro lavoro; l’Apostolica Benedizione, che vi impartiamo di gran cuore, non vuole altro che invocarvi ed effondervi le benedizioni celesti, di cui essa è pegno e riflesso.

                                                         



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