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DISCORSO DI PAOLO VI
AI SUPERIORI MAGGIORI DEGLI ORDINI E
CONGREGAZIONI RELIGIOSE D'ITALIA

Venerdì, 18 novembre 1966

 

Venerati Fratelli e carissimi Figli!

Siate i benvenuti a questa Udienza, che Ci consente di abbracciarvi tutti e ciascuno con lo sguardo e col cuore, e che mette sulle Nostre labbra, fin da questo primo momento, le parole più preziose del nostro repertorio scritturale di espressioni cortesi e cordiali: «Fratres mei carissimi et desideratissimi, gaudium meum et corona mea» (Phil. 4, 1). Sì, venerati Superiori Maggiori delle Famiglie Religiose d’Italia, siate i benvenuti, voi che al solo profilo del vostro abito e al solo annuncio della vostra rispettiva qualifica Ci recate ciascuno il ricordo dei Santi, di cui siete alunni, eredi e successori, quasi d’intorno a Noi fosse adunato un Concilium sanctorum; siate i benvenuti, voi, che, come uno Stato Maggiore interalleato, Ci fate pensare alle vostre «forze», alle vostre rispettive famiglie religiose, pacifici eserciti allineati dietro di voi e qui davanti a Noi spiritualmente schierati; e siate i benvenuti, voi, che, riuniti in codesta assemblea, novità geniale e promettente promossa nella Chiesa di Dio in questi ultimi anni, Ci documentate con la vostra simultanea e compatta presenza, una fedeltà resa più forte e più significativa dall’unione, un proposito fatto più pratico ed operante dal vostro risveglio e un bisogno, che Ci sembra anch’esso trasparire dai nuovi metodi della vostra azione meditata e combinata, di definire il vostro posto nella Chiesa e nel mondo.

Siate i benvenuti. Senza avere notizia, prima di questi ultimi giorni, della vostra assemblea e della vostra visita, Noi tacitamente aspettavamo questo incontro. Come vanno i Religiosi? Ci sentiamo domandare da diverse parti. Dopo il Concilio, qual è la loro reazione? il loro orientamento? E questa ondata della vita moderna, che travolge pensieri, mentalità, culture, istituzioni del tempo che fu, tesa verso la novità, la dea del tempo che è; della vita moderna, febbrile e fiera nelle sue trasformazioni tecniche e scientifiche, e paga delle proprie balbettanti espressioni spirituali, sconcertanti e meschine e perfino puerili talora e dolorose, ma sue, scaturite dalla sua superstite e inestinguibile sete di valori a sé stanti, primitivi fin che volete, ma liberi, spontanei, personali: esistenziali; quest’ondata, dicevamo, di vita moderna, soverchiante e travolgente, com’è tollerata dai vostri antichi monasteri, dai vostri conventi, dalle vostre comunità, dalle vostre istituzioni? Le grandi istanze della mentalità maturata oggi fra gli uomini, quelle della personalità, della libertà, della dignità dei valori temporali, dello sviluppo progressivo d’ogni umana condizione . . ., quale penetrazione e quale accoglienza, quali effetti hanno avuto nell’ambito dei vostri Istituti?

Ci è nota l’attenzione che ciascuno di voi, e che tutti insieme nelle nuove forme federative a voi proposte dalla Chiesa, dedicate a questi problemi; e non è Nostro proposito entrare ora nel merito di questioni così vaste e complesse. Ci limitiamo ad esortarvi a perseverare nell’esame delle questioni stesse; è questa l’ora storica, e, diciamo meglio, l’ora di Dio per compierlo con grande impegno, al lume delle parole stupende, che il Concilio ha riservato alla vita religiosa, partendo da quelle della Costituzione sulla Chiesa, dove la definizione della vita religiosa, messa in dubbio da certe correnti del pensiero contemporaneo, è magnificamente ristabilita, non solo nei suoi elementi giuridici costitutivi, derivanti dalla professione dei «consigli evangelici», ma altresì nel rapporto spirituale e sociale, ch’essa riveste nel grande quadro del mistero della Chiesa, dove la vita religiosa è detta un segno del Regno di Dio, una pienezza, una perfezione, che edifica il Popolo di Dio, e orienta «tutti i membri della Chiesa a compiere con ardore i doveri della vita cristiana» («Lumen Gentium» , 44). Rivendicato e ristabilito il concetto mistico, teologale ed ecclesiologico della vita religiosa, sarà logico, anche se non sempre facile, ristabilire o confermare se già in atto la complessa osservanza delle esigenze proprie dello stato religioso, vogliamo dire la sua ascetica, in primo luogo, fortemente orientata verso l’imitazione di Cristo, povero e libero, e la partecipazione, ogni giorno vissuta, al suo sacrificio redentore (cfr. Col. 1, 24); vogliamo dire poi la sua strutturazione disciplinare, tanto bisognosa d’essere e d’apparire regolare, e bisognosa fors’anche d’essere ripensata, non già come un rapporto arido ed imperioso, ma anche quando deve assumere forme severe ed esercizio autorevole da una parte, docile dall’altra, un fatto di comunione e di fraterna associazione, una palestra di carità, un presidio ed un ausilio alla fedeltà dei grandi doveri della perfezione cristiana, un esercizio permanente di conformità alla volontà di Dio e all’esempio di Cristo, come tale cercato in chi lo propone e lo impone, e come tale accolto in chi lo eseguisce; vogliamo dire finalmente la sua ricchezza interiore, la sua profondità spirituale, la sua tensione mistica ed amorosa verso l’unione, il colloquio, l’amore di Dio.

A quest’ultimo proposito può riferirsi il tema specifico di codesto Convegno «de institutione sacerdotali», tema che ha posto alla vostra considerazione una questione interessantissima, quella del rapporto fra vita religiosa e sacerdozio. Abbiamo notizia della così detta problematica, che oggi, sia nella controversia dottrinale, sia nell’attuazione pratica, tale rapporto va sperimentando. Pensiamo che i vostri studi e le vostre discussioni avranno giovato a chiarire i termini, del resto molto chiari, della questione; e avranno agevolato la vostra adesione agli insegnamenti conciliari su questo punto. E non farà meraviglia a nessuno - lo farebbe il contrario! - se il Nostro pensiero è conforme a quello che si desume dai documenti conciliari.

E cioè - parliamo confidenzialmente -: di per sé lo stato religioso non implica né esige il Sacerdozio. Esso «costituisce uno stato completo di professione dei consigli evangelici» («Perfectae caritatis» n. 10). Esso «non è intermedio tra la condizione clericale e laicale, se si riguardi la divina e gerarchica costituzione della Chiesa, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo dono speciale nella vita della Chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica»(«Lumen Gentium», n. 43). Di fatto, tuttavia, nella vita della Chiesa, la professione religiosa è stata associata al Sacerdozio.

1. Prima, nel Monachesimo e, in tal caso, anche se il religioso ordinato sacerdote non era destinato ad esercitare la cura pastorale. Nei nostri tempi, si è avuta una certa riscoperta del valore proprio del Monachesimo in se stesso senza il Sacerdozio e la possibilità canonica di un tale Monachesimo è stata sancita dal Concilio (cfr. «Perfectae caritatis», n. 15). Però, tale realizzazione del Monachesimo senza il Sacerdozio non deve assolutamente portare a ritenere come una deviazione il fatto che ormai da molti secoli in Occidente la maggior parte dei Monaci sono stati ordinati Sacerdoti. Neppure si deve ora prendere come norma generale di chiamare i Monaci al Sacerdozio solo a seconda delle necessità del Ministero pastorale nell’interno o all’esterno del Monastero. Se, infatti, al Monachesimo è stato associato il Sacerdozio, questo è venuto dalla percezione dell’armonia tra la consacrazione religiosa e quella sacerdotale (cfr. «Contemplation et sacerdoce» in «Angelicum», 42 [1965]). Dice San Gregorio Magno: «Qui Passionis dominicae mysteria celebramus, debemus imitari quod agimus. Tunc ergo vere pro nobis hostia erit Deo cum nosipsos hostiam fecerimus» (Dial. IV, 59, PL 77, 428). L’unione nella stessa persona della consacrazione religiosa, che l’offre totalmente a Dio, e del carattere sacerdotale, la configura in modo speciale a Cristo che è insieme Sacerdote e Vittima.

Inoltre, se il Concilio, nel Decreto «Presbyterorum Ordinis» , ha delineato la figura completa del Sacerdote con i divini poteri derivanti da Cristo Sommo Maestro, Sacerdote e Re, e nell’esercizio di essi nella cura del Popolo di Dio, non fu certo la mente del Concilio togliere la sua ragion d’essere al Sacerdozio di quei Monaci, che lo esercitano quasi esclusivamente nella celebrazione della Messa, perché «nel mistero del Sacrificio eucaristico, in cui i Sacerdoti svolgono la loro funzione principale, viene esercitata ininterrottamente l’opera della Redenzione e quindi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli» («Presbyterorum Ordinis» , n. 13).

2. Questa armonia tra la vita consacrata per la professione religiosa e il Sacerdozio, questa speciale configurazione del Religioso Sacerdote con Cristo Sacerdote e Vittima, si verifica in tutte le altre forme di vita religiosa clericale. Ma in queste vi è inoltre una connessione speciale fra le due consacrazioni.

Il legame speciale esistente in questi Istituti tra la professione religiosa e il ministero sacerdotale ha come conseguenza che «tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico e che tutta la vita apostolica sia animata di spirito religioso» («Perfectae caritatis», n. 8). Perciò le osservanze di tali Istituti sono da adattarsi convenientemente alle esigenze dell’apostolato cui si dedicano, tenendo sempre conto della propria indole e forma di vita regolare (cfr. ibid., nn. 8 e 9).

Vogliamo credere che queste siano anche le vostre conclusioni, alle quali voi, tanto saggi e sperimentati, saprete adattare le applicazioni relative, sia per quanto riguarda la formazione sacerdotale in relazione alla formazione religiosa, e viceversa; sia per quanto si riferisce all’esercizio del sacerdozio nei modi conformi all’indole dei vari Istituti. Maestri siete, e maestri avete che possano illustrare degnamente questi molteplici aspetti della questione proposta.

A Noi basti concludere invitando ciascuno di voi, e con voi i vostri rispettivi Istituti, a considerare quanto la Chiesa abbia oggi bisogno di voi: della vostra autentica ricerca della perfezione cristiana, della vostra effettiva consacrazione all’unico e sommo amore di Dio, della vostra esemplarità nella figurazione vissuta di Cristo, della vostra collaborazione apostolica, pastorale e missionaria, della vostra strenua adesione alla fede e al magistero ecclesiastico che la custodisce e la propone, della epifania delle vostre caratteristiche virtù, della vostra capacità di preghiera e di evangelizzazione . . . Sì, la Chiesa ha bisogno della vostra santità!

E mentre il Papa ciò vi dice e ciò vi chiede, a ciò vi esorta e a ciò vi conforta con la Sua Apostolica Benedizione.

                                  



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