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DISCORSO DI PAOLO VI
AI PARTECIPANTI AL VI CONGRESSO DELL'UNIONE NAZIONALE
DEI COMUNI ED ENTI MONTATI

Venerdì, 9 dicembre 1966

 

Celebrandosi a Roma il VI Congresso dell’Unione Nazionale dei Comuni ed Enti Montani, avete desiderato di portarci il vostro saluto. Ve ne ringraziamo di cuore; siamo onorati della vostra presenza; e in voi, che siete Sindaci di Comuni montani, Presidenti di Amministrazioni provinciali, di Camere di Commercio, di Consigli di Valle e di Comunità Montane, e dei Consorzi di Bonifica montana di tutta Italia, amiamo vedere degnamente rappresentate le vostre industri e generose popolazioni, come pure le forze vive che si dedicano alla difesa e all’avvaloramento della montagna. Voi qui oggi Ci portate il loro affetto e la loro fede: per questo vi siamo grati.

Se grande è stato il vostro desiderio di venire da Noi, non meno grande è stato, da parte Nostra, quello di ricevervi: Ci è parso questo un atto di simpatia, di solidarietà, di comprensione; diciamo di più, Ci è parso un atto di doverosa giustizia, di cordiale urgenza, di alto significato, in questo momento successivo alle alluvioni, ché hanno devastato anche alcune regioni montane.

Voi avete sofferto; le vostre popolazioni, a cui pur vanno le vostre più assillanti e continue provvidenze, sono state provate da una sofferenza inaudita, perché hanno perduto in pochi istanti il frutto di lunghi anni di fatica, perfino gli indispensabili strumenti di lavoro; le vostre belle regioni sono state sconvolte dalla furia degli elementi.

Quando si pensa ai Comuni montani, la fantasia vorrebbe dipingersi immagini stupende di paesaggi maestosi e pittoreschi, dai verdissimi campi, stellati di fiori variopinti, dalle vaste distese di boschi e foreste, nereggianti ai piedi dei monti solenni, in uno spettacolo che ricrea lo spirito, ne placa l’inquietudine, e lo avvicina a Dio; e tutto questo significa l’amore alla montagna, che tante anime nobili e ardenti sanno coltivare. Ma, come è avvenuto recentemente, l’idillica immagine mostra ad un tratto un’altra faccia: è la forza primigenia della natura, che rompe ogni freno, e, scatenandosi violenta, travolge in una immane rovina le naturali difese e le opere degli uomini, seminando la desolazione e la morte.

Noi abbiamo preso vivissima parte alla vostra prova e, con l’aiuto di tanti animi caritatevoli e buoni, abbiamo cercato di fare tutto, tutto il possibile per ovviare almeno alle prime e più gravi necessità, pur nella limitatezza dei mezzi a disposizione. E ora, che Ci siete qui presenti, desideriamo attestarvi anche a voce la Nostra sollecitudine, la Nostra partecipazione, e anche la Nostra ansia. Già il Nostro Predecessore Pio XII, nel discorso a voi rivolto esattamente dieci anni fa, in occasione del vostro II Congresso Nazionale, dopo aver sottolineato le benemerenze della gente della montagna verso l’intera società, e l’opera di condizionamento anche atmosferico, che le regioni montuose compiono nella generale configurazione geografica di una nazione, faceva notare «il sacrificio di chi vive fra le asprezze dei monti» e le difficoltà del loro reddito e del loro lavoro. E continuava: «Sorge così in essi la brama di fuggire, attratti come sono dalla più facile vita dei centri urbani. E appare in tutta la sua urgenza la necessità di contenere un’emigrazione, che a non lungo andare creerebbe problemi praticamente insolubili . . . Come si potrebbe lasciare senza abitanti e senza custodia la montagna? Come si potrebbero abbandonare i boschi e i pascoli? E che avverrebbe, se venissero a mancare o fossero meno efficienti gli argini naturali delle acque? La risposta non è difficile per chiunque pensi ai danni incalcolabili, che recenti alluvioni hanno prodotto, seminando la rovina e la morte in mezzo a tante fertili contrade d’Italia» (23 novembre 1956; Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, p. 682).

Quelle domande, già urgenti allora, lo sono divenute oggi in forma addirittura tragica. Le facciamo Nostre, e le proponiamo alla vostra esperienza, alla vostra capacità, alla vostra saggezza. I problemi della montagna sono gravi, ed esigono pronto interessamento dalle competenti Autorità: e queste esigenze trovano in Noi l’incoraggiamento più aperto e solidale. La gente della montagna ha il diritto di attendersi un solenne impegno da parte di tutti i responsabili, perché, diversamente, le conseguenze potrebbero essere gravissime. Ma Noi confidiamo altresì che essa saprà trovare una rinnovata fiducia in se stessa, nella propria funzione, nel proprio lavoro, che ha insostituibile preziosità per tutta la comunità nazionale.

Noi auguriamo al vostro Congresso Nazionale di ottenere felici risultati, studiando e coordinando tutto ciò che possa aumentare questa fiducia nei diletti abitanti della montagna e agevolare una pronta ripresa in tutti i settori della loro attività. La loro laboriosità, la loro parsimonia, il loro spirito di sacrificio meritano il più concreto e valido interessamento; la loro schiettezza, la loro onestà, la loro profonda religiosità li impone all’affetto, alla stima, alla reverenza di ognuno.

Ritornando ai vostri Comuni, recate alla vostra gente il Nostro saluto; dite loro che li. portiamo nel cuore e che raccomandiamo a Dio nella quotidiana preghiera le loro aspirazioni, le loro sofferenze, le loro ansie. E tutti li vogliamo abbracciare con l’affetto e con la Nostra particolare Benedizione Apostolica, che ora impartiamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

                                             



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