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DISCORSO DI PAOLO VI
AL TERMINE DELLA «VIA CRUCIS» AL COLOSSEO

Venerdì Santo, 12 aprile 1968

 

SEGUIRE CRISTO FINO AL CALVARIO

1. Fratelli e Figli carissimi, - così il Santo Padre - lasciamo che l’immagine dolorante e sanguinante di Cristo paziente si imprima nelle nostre anime; lasciamo che la sua storia tragica e conturbante ci commuova e ci richiami a quei sentimenti di orrore e di compassione che il supplizio della croce, fra i più crudeli e i più disonoranti, suscita in spettatori umani e fedeli. È bene che non sia resa vana la croce (1 Cor. 1, 17) per noi, e che l’abitudine d’averla davanti ai nostri sguardi non ci faccia perdere il senso della sua crudeltà e della sua ignominia. La «Via Crucis» è proprio a ciò diretta e intesa: a stampare, cioè, nei cuori fedeli la figura di Cristo sofferente e crocifisso.

Non dobbiamo abituarci a guardare la Croce senza avvertire la emozione e la compassione che essa deve suscitare nelle anime nostre. È sempre un’immagine straordinaria quella di Cristo flagellato, di Cristo agonizzante, di Cristo morto. Perciò, con il ripercorrere la strada che porta al Calvario, noi abbiamo cercato di ravvivare la figura di Gesù, dolorosa, ma tanto salutare per le nostre esistenze. Come le donne dell’ottava stazione - che «piangevano e si lamentavano per Lui» (Luc. 23, 27) - ci siamo commossi ed abbiamo espresso anche noi i nostri lamenti e i nostri pianti sopra il Divino Condannato. Lo abbiamo seguito nel suo cammino verso l’epilogo straziante della sua Passione, e abbiamo cercato di misurare, in qualche modo, la sua sofferenza: quella fisica, del supplizio tanto crudele e umiliante della crocifissione; quella spirituale, per essere Egli l’innocente, il Figlio di Dio, il Messia, avviato al patibolo infame, su cui ebbe a pronunciare il grido più triste e angoscioso udito sulla terra: Dio mio, Dio mio, perché Imi hai abbandonato?

Allora, adoperiamoci acché questo epilogo di così intenso dolore sia scolpito nei nostri cuori, e che diventi familiare a noi il guardare, venerare ed amare Gesù Crocifisso.

SIAMO CORRESPONSABILI DELLA TRAGEDIA DEL GOLGOTA

2. Ma ciò, Figli carissimi, non basta. Il Papa prosegue rilevando che noi non siamo soltanto degli spettatori. Dobbiamo, infatti, chiederci il perché di questa Passione del Signore; e quale il significato, il valore universale della tragedia sul Golgota.

Dobbiamo studiarci di capire un po’ all’interno il dramma della «Via Crucis»; a ciò erano appunto dirette le preghiere recitate, i passi biblici testé rievocati. In tale maniera qualche cosa siamo riusciti a comprendere : che cioè non si tratta soltanto di un fatto di sangue, non unicamente della pena capitale inferta ad un innocente. È un sacrificio, una espiazione, un olocausto. È anzitutto, elemento volontario: in cui un atto di amore e di eroismo si unisce all’intera sofferenza e la trasfigura, elevandola a grado realmente unico, sublime: il prezzo della nostra Redenzione.

Ora, se noi siamo riusciti, almeno in parte, a compenetrarci di tale verità, ci convinceremo che la Croce di Cristo porta a commisurare il valore religioso e morale del suo Sacrificio; mentre, nello stesso tempo, a nostra volta, facciamo una scoperta che può essere sconcertante, ma è verissima: noi siamo corresponsabili di questo sacrificio. Come mai? Perché Gesù è morto per noi, è morto per causa nostra. Noi siamo parte in causa nel dramma della Croce; siamo corresponsabili, collegati moralmente con coloro che l’hanno crocifisso.

A bene riflettere, Gesù rispecchia nei suoi dolori e nella sua morte i nostri peccati. Se mai noi pure, come tanti uomini del nostro tempo, avessimo perduto il senso del peccato, lo possiamo intuitivamente riacquistare scoprendo in Gesù, nella crudeltà delle sue sofferenze, nell’assurdità della sua morte, quali sono le nostre vere condizioni morali, a quali conseguenze esse conducono, con quale prezzo noi dobbiamo essere redenti. «Lui - dice San Paolo - che non aveva commesso peccato, si è fatto peccato per noi» (2 Cor. 5, 21). Ha preso il nostro debito, si è addossato il nostro castigo. Gesù è la vittima del peccato umano. È l’Agnello, che espia, col suo Sangue, le nostre iniquità. Noi siamo i colpevoli della immolazione, della morte del Figlio di Dio! Questo l’effetto del peccato.

DALLA CROCE SGORGA IL TORRENTE DELLA MISERICORDIA DIVINA

3. Allora, a conclusione del pio Esercizio ora compiuto, resteremmo forse dolorosamente sorpresi e, quali accusati e responsabili, dovremmo andarcene con il rimorso nel cuore e con il senso della disperazione di colui che aveva tradito Gesù, e rinnegato il sangue innocente? No, affatto: eccoci a rilevare, con stupore e conforto indicibili, che proprio la dolorosissima morte del Salvatore è stata la nostra fortuna e ci riempie di gioia e di amore. Gesù è morto non solo perché da noi ucciso; è morto per noi. Egli, morendo sulla Croce, ci ha salvati. Per noi Egli ha patito ed è morto. E come tante raffigurazioni della Croce nell’arte cristiana fanno sgorgare ai piedi di quell’albero di vita rivoli di limpida acqua per indicare la grazia, l’amicizia con Dio, i Sacramenti, così effettivamente dalla Croce scaturisce un torrente di misericordia e offre a noi, a tutti, l’inestimabile sorte di essere perdonati, di essere redenti. Al punto tale che, con la liturgia della Chiesa, chiameremo «beata» la crudele Passione del Signore: poiché è fonte della nostra rinascita e della nostra felicità. Non più, dunque, la croce è un patibolo di ignominia e di morte, bensì simbolo di vittoria: in hoc signo vinces. Lo vediamo qui sotto l’arco di Costantino, trionfante da quando i destini della Croce di Cristo hanno aperto alla storia della Chiesa nuovi radiosi orizzonti.

Così sarà per ognuno di noi. Possiamo, volendo, ricevere dalle lacrime, dal sangue, dalla morte di Cristo il nostro gaudio, la nostra speranza, la nostra salvezza.

Col pensiero di questa mirabile realtà si pone termine al devoto convegno, mentre il Papa lo conclude augurando, a tutti la gioia e la grazia della «Buona Pasqua!», con la Sua Benedizione.

  



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