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DISCORSO DI PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO

Venerdì, 22 dicembre 1972

 

Accogliamo con commossa riconoscenza, Signor Cardinale, i voti che la prossima festività del santo Natale ispira al suo animo cortese e pio, e che vogliono interpretare anche quelli del Sacro Collegio, che ci onora ancora una volta in questa ricorrente felice occasione, propizia alla effusione di quei sentimenti che rendono solidale, valida e religiosa la collaborazione, fiduciosa la comune fatica. Ringraziamo di cuore di cotesto prezioso attestato di spirituale comunione, e lo ricambiamo di cuore col nostro: quante volte noi, pensando al loro lavoro, che le presenti condizioni della Chiesa e del mondo, rendono più intenso e più grave, vorremmo subito manifestare la nostra gratitudine e confortare la loro operosità, mentre la pressione degli impegni non ce ne concede il tempo necessario, né la congrua tranquillità, e affidiamo all’interiore colloquio col Signore la parola del cuore, dovuta a così generoso servizio. Giunge pertanto opportuno un momento di confidenziale colloquio, come questo, per assicurare cotesto Sacro Collegio, e quanti sono a lui cooperatori nei Dicasteri e negli uffici della Curia Romana, del nostro alto apprezzamento dell’animo e dell’opera, con cui è sostenuta la nostra ardua ed umile missione a beneficio della santa Chiesa, non che dell’umanità in cui siamo inseriti. E favorevole il presente momento sarebbe per aprire l’animo a qualche considerazione sulle condizioni presenti della Chiesa e sull’andamento generale delle cose, viste da questo osservatorio vaticano, come già altra volta, in questa ricorrenza, ci sembrò doveroso di fare, ma oggi, pervasi come siamo da un soverchiante pensiero, quello della pace, a questo soltanto si limita il nostro discorso, e, come intorno a punto focale, raggruppa e condensa alcune osservazioni, che ci pare conveniente esporre a loro, Signori Cardinali, e a quanti può giungere l’eco della nostra voce; sì, intorno a questo dominante tema, la pace, che, da un lato, il Natale ancora diffonde nel mondo e nei cuori, come messaggio celeste, e, dall’altro, il nostro ufficio apostolico rende di emergente ed urgente attualità.

PRIVILEGIATO TESORO

La pace sia dunque, innanzi tutto, il nostro augurio cordiale per gli animi vostri, per gli animi di quanti, fratelli e figli, celebrano con fede amorosa la santa festività del Natale, che con la gloria a Dio porta l’annuncio della pace all’umanità. Questo sacro carisma della pace, frutto del ristabilito rapporto vitale fra noi e Dio, secondo un soprannaturale disegno di misericordia e di bontà (Cfr. Eph. 2, 47), emanazione interiore dello Spirito (Gal. 5, 22), esperienza che sorpassa ogni intendimento (Phil. 4, 7), noi lo possiamo sperare come privilegiato tesoro, se davvero seguaci di Cristo noi lasciamo ch’Egli lo faccia esultare nei nostri cuori (Cfr. Col. 3, 15). Vi è, ci dicono e noi stessi ne abbiamo documenti, qua e là, una rinascita di vita contemplativa religiosa nella Chiesa, ed anche vicino a lei: questo è già segno del regno della pace, che si conferma e si diffonde dentro e d’intorno al mistico cenacolo di Cristo, ch’è la Chiesa orante e vivente: salutiamo con gioia e con augurio il consolante fenomeno.

Ma un altro ben diverso fenomeno si è pronunciato in questi ultimi anni in seno alla Chiesa, come tutti sappiamo: quello della contestazione. Non è questo il momento di farne l’analisi. Basti dire che esso, a quanto a noi pare, è innanzi tutto un fenomeno proveniente da un processo contagioso della insoddisfazione generale e patologica, che ha invaso la presente generazione. Sempre un fenomeno analogo avviene storicamente, come fatto naturale dei cicli pedagogici e mentali delle diverse età, che si succedono l’una all’altra: l’età nuova si stacca dalla precedente mediante contestazione e mediante avanzata verso nuove forme di pensiero e di costume.

CRISI DI OBBEDIENZA

Tale fenomeno ha causato tante situazioni spirituali e pratiche nell’ordinamento ecclesiastico tutt’altro che pacifiche, e per lo più riducibili ad un’unica e generica classifica: crisi di obbedienza. La formula, tanto cara al nostro venerato predecessore, Papa Giovanni XXIII: oboedientia et pax, in non pochi casi e in diverse misure, si è spezzata, con pregiudizio non solo del primo termine, l’obbedienza, ma altresì del secondo, la pace.

Ma ci sostengono, a questo proposito, l’ammirazione ed il conforto di vederlo tuttora realizzato questo binomio dell’obbedienza e della pace dalla grande, ed oggi più cosciente, maggioranza degli ecclesiastici, dei religiosi e dei fedeli, ai quali l’obbedienza, imbevuta dallo spirito pastorale scaturito in nuova abbondanza dal Concilio, restituisce, con quel senso di comunione, che la fede e la carità fanno coincidere col supremo desiderio di Cristo, l’unità, il gaudio della pace (Col. 3, 15).

Questa unità e questa pace nel supremo desiderio di Cristo, pur volto direttamente e principalmente al mondo trascendente dello spirito, debbono essere altresì un bene e una conquista dei membri dell’umana famiglia nella loro terrena esistenza di fratelli, figli dello stesso Padre che sta nei cieli, partecipi della stessa naturale e sovrannaturale vocazione, pellegrinanti con pari diritti e con pari doveri di mutuo aiuto verso la comune casa paterna.

La missione, la passione di pace della Chiesa trabocca così dai suoi confini e si protende, per quasi spontaneo e necessario movimento, alla società civile, nelle singole Nazioni e nei rapporti fra di esse.

Passione di pace, dicevamo; passione soprattutto, nel senso più proprio della parola, laddove la pace, sospiro dei popoli, è ferita e pericolante: talvolta per obiettive gravi situazioni di conflitto, e talvolta, in parte almeno, per insufficienza d’impegno - Dio non voglia per mancanza di buona e sincera volontà - da parte di quanti ne hanno la responsabilità.

A chi conservi il ricordo di conflagrazioni non lontane, che ancora oggi lasciano impresse nelle carni dei popoli le cicatrici, dolorose tuttora, delle loro conseguenze, parrà risultato già sufficientemente prezioso che l’umanità o interi Continenti siano stati preservati, per un periodo ormai notevole di anni, dal ripetersi di analoghe immani tragedie.

Considerazione non trascurabile, certo. Ma chi non si rende conto che questa pace, poggiante in gran parte su un vero o presunto equilibrio di forze, ha troppo labile e pericolante fondamento? E chi non trepida al pensiero che il prevalere di passioni o un errato calcolo possano imprevedibilmente mettere a disposizione dell’offesa il pauroso arsenale che ora si vuole accumulato a difesa?

A questa trepidazione abbiamo dato voce ancor una volta nel nostro recentissime Messaggio per la prossima giornata mondiale della pace; Messaggio che, nella sua fondamentale ispirazione di positivo ottimismo, non poteva non rispecchiare la complessità di una realtà e di una problematica ricca di troppi chiaroscuri, di drammatica e sanguinante evidenza.

SENSO DI RESPONSABILITÀ

Se, ciò nonostante, abbiamo voluto ricordare al mondo che la pace è pur sempre possibile, non è stato soltanto per illuminare d’una qualche luce di speranza sofferenze in atto o angosce insorgenti, ma per richiamare, insieme, tutti al senso delle loro responsabilità; perché nessuno sia tentato di ricercare in supposte ineluttabilità storiche un alibi morale, che scusi dalla ricerca volenterosa e instancabile delle vie, difficili ma non chiuse, della pace.

Ed a questo riguardo ci piace, ed è per noi doveroso, rendere qui rinnovata testimonianza a quanti, in posizione di guida nei rispettivi Stati o nelle grandi Organizzazioni internazionali, stanno mettendo i loro sforzi, duri assai spesso, non sempre debitamente riconosciuti, né sempre coronati dagli auspicabili successi, al servizio della grande causa della pace.

Ad essi il nostro cordiale riconoscimento, il nostro incoraggiamento; per essi le nostre preghiere perché il Signore dia loro saggezza e fermezza sufficienti alla nobile ed ardua impresa.

LIMITAZIONE E CONTROLLO DEGLI ARMAMENTI

Limitazione e controllo degli armamenti, e specialmente dei mezzi bellici più pericolosi e ripugnanti a quel senso d’umanità che non dovrebbe mancare neppure durante i più aspri conflitti; preparazione e progressiva attuazione di un vero e generale disarmo; ricerca di nuove forme, mondiali o regionali, per prevenire e comporre i dissidi che turbano la pace e la sicurezza dei popoli: tutti questi sforzi non possono non avere il plauso, l’appoggio e - nella misura consentita dalla loro natura e dalla nostra missione - la collaborazione della Chiesa e della Sede Apostolica.

Né crediamo sia lecito cedere al senso di sfiducia che ricorrentemente pervade l’umanità quando, sfiorite le speranze di una stabile pace, che sorgono dopo la conclusione d’ogni grande conflitto, si assiste al graduale addensarsi di nuove rivalità e di nuove tensioni, foriere di più minacciosi pericoli.

È dovere invece, di quanti ne hanno, in qualche pur modesta misura, responsabilità e mezzi, non lasciar mancare sforzo alcuno perché le situazioni di conflitto che a mano a mano si presentano, possano avere, mentre ancora sono circoscritte, una equa e sollecita soluzione, nella considerazione e nel rispetto dei diritti e dei legittimi interessi reciproci, ma avendo di mira, insieme, l’interesse comune e superiore della pace.

E qui il nostro discorso deve soffermarsi, o meglio ritornare su alcune situazioni di tale genere, delle quali tante volte, in questi ultimi anni, abbiamo dovuto fare parola e che giungono, anche per questo, a dare l’impressione che non vi sia per esse una possibilità di soluzione all’infuori forse di quella, deprecabile e illusoria, della forza.

Consapevoli delle difficoltà che si frappongono, e dando debito riconoscimento alla somma degli sforzi che già sono stati compiuti, non vorremmo però che un senso pericoloso di scontento e d’impotenza facesse venir meno, nelle parti interessate, l’animo e la volontà del ricorso alle vie del negoziato leale e tenace.

Se a qualche cosa può valere la nostra umile ma sincera ed appassionata parola, sia essa di incitamento e di incoraggiamento a tutti coloro sulle cui spalle, di fronte ai popoli e alla storia, grava il peso di così difficili decisioni. L’attenzione e la comprensione degli uomini di buona volontà li spingono a non darsi per vinti nella nobile battaglia della pace.

VOTI E SPERANZE PER IL VIETNAM

Questi sentimenti abbiamo ultimamente manifestati, quando l’attesa della sospirata sospensione delle ostilità nel Vietnam è andata delusa, senza che apparissero sufficientemente palesi i motivi della interruzione del negoziato; ed abbiamo espresso il voto e la speranza che questo ritardo doloroso valga, non a mettere in pericolo il raggiungimento della pace in quelle martoriate regioni, ma ad assicurare ad essa un più stabile e solido fondamento.

L’improvviso precipitare degli eventi ha poi aggravato nell’opinione del mondo l’amarezza e la preoccupazione. Tanto più fervida si leva pertanto la nostra preghiera perché il duro conflitto possa avere al più presto equa e soddisfacente conclusione.

LA SITUAZIONE NEL MEDIO ORIENTE

Il prolungarsi di fatto della sospensione quasi completa di azioni belliche nel Medio Oriente va senza dubbio valutato come fatto positivo. Ma questo protrarsi dello stato di guerra, senza passi effettivi verso la ricerca di soluzioni pacifiche, mentre immutato resta lo sforzo diretto ad aumentare il rispettivo potenziale bellico, costituisce un permanente e grave pericolo, in una zona così sensibile e delicata, che minaccia, oltre la tranquillità e la sicurezza di quelle popolazioni, valori cari, per diversi motivi, a tanta parte dell’umanità. Senza dire che il progressivo affermarsi di situazioni prive d’un chiaro fondamento giuridico, internazionalmente riconosciuto e garantito, non potrà che rendere più difficoltosa poi, anziché facilitarla, un’equa ed accettabile composizione, che tenga il dovuto conto dei diritti di tutti: pensiamo qui, in particolare, alla Città Santa, Gerusalemme, alla quale va con più intenso pensiero in questi giorni il ricordo dei seguaci di Cristo, e nella quale anch’essi debbono potersi sentire pienamente «cittadini».

Rinnoviamo pertanto il nostro voto, la nostra fervida esortazione a uno sforzo sincero e volenteroso per una giusta e sollecita pace. Lo chiedono con noi fra gli altri, ma con urgenza ancora maggiore e più giustificata, i figli del popolo palestinese che da tanti anni attendono ed invocano un equo riconoscimento delle loro aspirazioni, non in contrasto, ma nella necessaria armonia con i diritti di altri popoli.

APPRENSIONE PER L'IRLANDA DEL NORD

A un’altra regione, a noi non meno cara, si rivolge ora il nostro pensiero, affettuoso e profondamente addolorato: l’Irlanda del Nord. Faccia il Signore che sentimenti di civile comprensione e di cristiana carità prevalgano finalmente in tutti - come già sappiamo che prevalgono nella maggior parte di quelle laboriose e fedeli popolazioni - sopra risentimenti, pur giustificati, e sulle tentazioni del rancore e della vendetta. Superato ogni motivo di antiche rivalità, a tutti apparisca con chiarezza quali siano oggi le esigenze della giustizia - fondamento insostituibile d’ogni pace genuina - e di una rispettosa e cordiale convivenza.

Altre situazioni purtroppo, nel vasto panorama della vita internazionale, si presentano a noi, che non sono di pace, anche se non sembrano costituire imminente pericolo di più vasti conflitti; tutte dolorose, però, e deplorevoli, e perché causa di tanti lutti e sofferenze, e perché frutto per lo più di ingiustificabili condizioni di oppressione, di rivalità razziali, politiche, tribali o del mancato riconoscimento di legittime aspirazioni degli individui o dei popoli.

GESTI DI BUONA VOLONTÀ

Ma insieme non vorremmo lasciare senza un accenno, almeno, i segni confortanti e promettenti che è dato qua e là rilevare, vòlti a risanare lacerazioni residue o a ricomporre i rapporti interrotti. Desideriamo ricordare, a titolo di esempi, i colloqui intrapresi nell’anno in corso fra le Croci Rosse delle due Coree, del Nord e del Sud, e i recenti scambi di prigionieri - di guerra o civili - fra il Pakistan da una parte e l’India e il Bangladesh dall’altra. Si tratta di gesti limitati, ancora, ma che dimostrano una buona volontà per la quale esprimiamo la nostra soddisfazione. Voglia Iddio che essi preludano a un pronto ritorno anche delle migliaia e migliaia di persone, che ancora rimangono forzatamente lontane dalle proprie terre! Sappiamo che il problema è complesso, ‘ma confidiamo nella magnanimità e nella generosità di quei popoli, che geografia e tanti antichi legami consigliano di avanzare insieme sulle vie del benessere e del progresso.

Annunciatrice di pace, pronta sempre ad incoraggiare e a dare la propria leale cooperazione alle opere di pace, la Chiesa può ben chiedere pace anche per se stessa, da parte degli Stati nei cui territori essa vive ed opera. Una pace che le assicuri non privilegi, ma il rispetto dei suoi diritti nativi e di quelli che - anche in forza dei principii sanciti dal mondo civile in atti solenni, quale la Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite sui Diritti dell’uomo - sono da riconoscersi ai cittadini che si proclamano suoi figli. Che le consenta di condurre serenamente e in legittima libertà la sua esistenza, insegnare la sua dottrina, esercitare le sue attività, indirizzate solo al bene. Che la faccia considerare e trattare, non come una estranea e una nemica da osteggiare, o un pericolo da combattere, ma come una forza alleata in tutto ciò che è buono, e nobile, e bello.

Per parte sua questa Sede Apostolica sta da tempo conducendo un’azione leale, paziente, fiduciosa nell’assistenza divina e nella forza della verità e del diritto, per stabilire o ristabilire dappertutto - pur tra le difficoltà create da particolari sistemi ideologici o di governo - un chiaro ed onesto rapporto, tale che alla Chiesa sia garantito, come suol dirsi, il sufficiente spazio vitale.

Non è nostra intenzione stabilire qui dei bilanci. Non possiamo però tacere di qualche porzione della Chiesa di Cristo, alla quale sembra ancor oggi riservata la pace, non della silenziosa sofferenza soltanto, ma - si direbbe - della tomba.

Lasciateci aprire l’animo nostro sulla desolazione che ci procura il pensiero di una nazione, piccola di territorio, ma ricca di gloriose tradizioni, civili e religiose, vicina a noi per la posizione geografica, e ancor più per l’affetto rispettoso che le portiamo, ma tenuta da noi lontana da barriere che la fanno apparire quasi separata dalla vastità di un oceano: l’Albania. Non ne avevamo mai fatto pubblicamente il nome; non per oblio, bensì - come avviene per altre analoghe situazioni - per un sentimento di amoroso riguardo, e per non aggravare, forse, condizioni di vita ivi già estremamente penose, per la Chiesa Cattolica come del resto per altre confessioni religiose.

Percossi i Pastori e disperso il gregge, non si vede quale umana speranza rimanga là alla Chiesa. Ma noi vogliamo sperare ancora, anche contra spem, mentre al popolo albanese, racchiuso nei confini della sua terra o vivente fuori di essa, desideriamo esprimere il rispetto, l’ammirazione, l’amicizia che la sua storia e le sue presenti vicende ci dettano; ed assicurare che siamo sempre pronti ed ansiosi di poter riprendere anche con il loro Paese un buono ed amichevole rapporto.

Vi sono poi altre immense regioni, dove la vita della Chiesa Cattolica è praticamente soffocata, non solo perché essa vi sarebbe rappresentata da minoranze, statisticamente esigue, non certo però trascurabili, ma perché effettivamente impedita di esercitare la sua missione religiosa e di comunicare con la sua propria comunione gerarchica. Ma preferiamo noi stessi ora tacere di queste situazioni che parlano da sé, e che, anche queste, non spengono in noi la fiducia nella profonda ricchezza spirituale di quelle genti e nella loro immortale vocazione alla verità universale del cristianesimo.

Di passione di pace abbiamo parlato. E a qualcuno potrà talvolta apparire persino eccessiva l’insistenza con la quale ritorniamo su temi che, sembra, non hanno così diretta attinenza con l’oggetto e le responsabilità del nostro ufficio apostolico.

Ma non è forse, questa, una essenziale manifestazione di quella Carità di Cristo che, come già Paolo, ci sospinge e ci fa urgenza, e non ci lascia tranquilli ove qualcuno dei nostri fratelli - e Cristo in essi - soffra nello spirito o nel corpo? E non risponde essa alla volontà del Signore, che con l’augurio della pace ha voluto segnare l’inizio e la conclusione della sua vita terrena?

L’ossequio a una Volontà che è per noi legge ed esempio ci fa instancabili, come a parlare e ad operare per la pace, così a sperare che essa possa divenire realtà, superando gli ostacoli molteplici e tenaci che incontra sul suo cammino.

Tale speranza - paziente e fattiva - vogliamo dare alla Chiesa, al mondo, in questa trepida vigilia natalizia. Con la Nostra Benedizione.

                                    



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