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LETTERA DI SUA SANTITÀ PIO XII
AL SIGNOR CARDINALE
FRANCESCO MARCHETTI-SELVAGGIANI
VESCOVO SUBURBICARIO DI FRASCATI
NOSTRO VICARIO GENERALE IN ROMA.*

 

Signor Cardinale, A Lei, che così da vicino è partecipe del Nostro governo e delle Nostre pastorali premure per questa Diocesi di Roma, centro e capo dell'Orbe cattolico e del pensiero e della fede cristiana, vogliamo che giunga la Nostra parola in un'ora di particolare amarezza, in cui è immerso l'animo Nostro.

Ella sa bene come il triste spettacolo delle stragi e rovine, che si addensano — doloroso primato della presente guerra! — sopra popolazioni inermi ed innocenti, Ci abbia spinto, fin dagli inizi del conflitto, a tentare ogni via affinchè, pur nell'urto delle armi, sentimenti e dettami di umanità non rimanessero completamente travolti e soffocati dalle passioni.

Perciò nei Nostri Messaggi a tutti i fedeli ricordammo ai belligeranti, da qualunque parte militassero, che se volevano tenere alta la dignità delle loro Nazioni e l'onore delle loro armi, rispettassero la incolumità dei pacifici cittadini e i monumenti della fede e della civiltà. Pensate — volevamo dir loro — quale severo giudizio le generazioni future daranno di chi distrusse quanto doveva essere custodito gelosamente come ricchezza e vanto di tutta l'umanità e del progresso dei popoli. Considerate che l'odio non fu mai padre della pace, e il risentimento originato dalle vaste e non necessarie distruzioni fa sorgere più tardi e meno stabile e sereno il giorno di un pacifico incontro, il quale non può consistere nella umiliazione dei vinti, ma riposa e si consolida soltanto nella fraterna concordia conciliatrice degli spiriti e moderatrice delle passioni e dei rancori.

Come Vescovo di quest'alma città, con assiduo interessamento Ci adoperammo — ed Ella, Signor Cardinale, ha seguito tutti i Nostri passi —, perchè alla Nostra diletta Roma fossero risparmiati gli orrori e i danni dei bombardamenti.

Senza ricordare l'immensa importanza storica dell'Urbe vetusta, per Noi Roma è la città santa del cattolicismo, ascesa a nuova e più fulgida gloria nel nome di Cristo, ricca di meravigliosi monumenti di religione e di arte, custode di preziosissimi documenti e reliquie : Roma, nei cui sotterranei furono, in momenti di più fiera persecuzione, i primi rifugi del popolo cristiano e dei martiri che resero sacri gli anfiteatri e i circhi, ai cui sepolcri ancora si scende a pregare come nella culla del cristianesimo; Roma, nel cui territorio sono disseminati i Dicasteri della Curia Romana, numerosi Istituti ed Opere Pontificie ; Enti internazionali e Collegi da Noi dipendenti; tanti e tanti Santuari, oltre alle Nostre superbe Basiliche Patriarcali; tante Biblioteche ed opere dei più famosi geni delle arti belle ; Roma, dove tanti convengono da tutto il mondo per apprendere non solo la fede, ma anche la sapienza antica, e guardano come a un faro di civiltà fondata sulle virtù cristiane. Ma inoltre, quasi al centro dell'Urbe — e perciò esposta a pericoli di offesa aerea — è la Nostra Città del Vaticano, Stato indipendente e neutrale, che accoglie inestimabili tesori di fede e di arte, patrimonio sacro non soltanto della Sede Apostolica, ma dell'intero mondo cattolico.

Tutto questo Noi facemmo chiaramente e ripetutamente presente, raccomandando a chi di dovere, in nome della dignità umana e della civiltà cristiana, l'incolumità di Roma.

Ci sembrava lecito sperare che la ponderazione di così evidenti ragioni; l'autorità di cui, per quanto indegnamente, siamo rivestiti ; il comune riconoscimento della Nostra superiore imparzialità e della larga e costante attività benefica da Noi svolta a vantaggio di tutti, senza distinzione di nazionalità o di confessione religiosa, Ci avrebbero procurato, tra tante amarezze, il conforto di trovare presso ambedue le Parti belligeranti accoglienza per il Nostro interessamento in favore di Roma.

Ma purtroppo questa Nostra così ragionevole speranza è andata delusa. Ed ora quanto deprecammo è avvenuto : quanto, temendo, prevedemmo, è una ben triste realtà, perchè una delle più insigni Basiliche romane, quella di San Lorenzo fuori le mura — sacra alla venerazione di tutti i cattolici per le antiche memorie e per il nobilissimo sepolcro del Nostro venerato Predecessore Pio IX, è ormai in grandissima parte distrutta. Nel contemplare quelle rovine dell'insigne tempio Ci sono ritornate alla mente le parole del profeta Geremia (Thren. 4, I): « Quomodo obscuratum est aurum, mutatus est color optimus, dispersi sunt lapides sanctuarii . . . ».

La dolorosa esperienza dei fatti ancora una volta dimostra come, nonostante le precauzioni che si vogliano prendere, è quasi impossibile evitare, su questo sacro suolo di Roma, lo scempio di venerandi edifici.

Perciò Noi Ci crediamo in dovere di elevare di nuovo la Nostra voce in difesa dei più alti pregi che ornano grandezze umane e cristiane, anche perchè è Nostra sacra intenzione, come Ci spinge il Nostro cuore, di tutelare e proteggere, dinanzi all'opinione di tutti i ben pensanti ed al giudizio delle generazioni future, il deposito che Ci è stato affidato da custodire e trasmettere.

La Nostra parola, se sgorga da un cuore ferito, vuole essere non già eccitazione al risentimento e all'odio, ma insistente e — vorremmo augurarCi — efficace richiamo a sensi di nobile comprensione del sacro destino di Roma, non meno che di umanità e di carità cristiana.

Ai Nostri diocesani di Roma così duramente provati, e la cui miserevole condizione abbiamo potuto vedere coi Nostri occhi, in mezzo alle recenti rovine, abbiamo cercato di venire subito in soccorso con tutti i mezzi, di cui abbiamo potuto disporre. Ad essi diciamo: Mostrate oggi più che mai l'ardore e la prova di quella fede, per la quale l'Apostolo delle genti già lodava i vostri antenati. La cristiana rassegnazione vi renda accettevoli il dolore e le privazioni. La sventura sia per voi un incitamento a purificare le anime vostre, ad espiare le vostre colpe, a ritornare o ad avvicinarvi di più al Signore.

A tutti i Nostri figli, che guardano a Roma e al Vicario di Cristo, il Quale come Vescovo ne è il padre particolare e affettuoso, dovunque si trovino — e in particolar modo a quanti nel mondo intero l'esperienza del dolore proprio e altrui ha reso più compassionevoli verso le molteplici umane miserie — rivolgiamo con paterna insistenza l'invito ad innalzare fiduciose preghiere al Signore, affinché affretti l'ora della sua misericordia, quando, deposte le armi e rasserenati gli animi, tornerà a splendere sul mondo sconvolto la luce e la gioia della vera pace.

Con questa speranza nel cuore impartiamo a Lei, Signor Cardinale, al Nostro diletto Clero e popolo di Roma, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 20 Luglio dell'anno 1943, quinto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XII


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, V,
  Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1943 - 1° marzo 1944, pp. 401-404
  Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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