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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AGLI ALUNNI E AI PROFESSORI DEL
CONVITTO NAZIONALE MASCHILE DI ROMA*

Aula della Benedizione - Venerdì, 20 aprile 1956

 

Nell'accogliervi con paterno affetto nella Nostra dimora, diletti giovani del Convitto Nazionale Maschile di Roma, vi esprimiamo il vivo gradimento di trovarCi in mezzo a voi, ai vostri Educatori e alle vostre famiglie.

Non soltanto Ci sembra di respirare il fresco alito di primavera che ogni schiera giovanile spande intorno a sè; ma, appartenendo voi ad un Istituto scolastico romano, Ci sentiamo come tornare per brevi momenti ai giorni della lontana giovinezza, allorchè in un altro Istituto, parimente romano, e, come il vostro, erede di gloriose tradizioni, trascorremmo anni sereni, coltivando, con l'aiuto della grazia, le segrete aspirazioni dell'anima, per il cui conseguimento ogni fatica è lieve, ogni sacrificio si muta in letizia.

Lontani allora dal presagire quali fossero le vie che Ci serbava la divina Provvidenza, stimavamo in ogni modo esser primo dovere di non opporLe resistenza, ma di seguire docilmente i suoi disegni, praticando i consigli e gli ammaestramenti di coloro che la rappresentano presso ogni fanciullo, nella famiglia, nella Chiesa e nella scuola.

Questa medesima norma desideriamo subito di consegnarvi come ricordo di questo incontro con Noi, affinchè gli anni, che voi trascorrete nel collegio, siano semi fecondi per la intera vita che vi attende.

Voi siete venuti alla Nostra presenza consapevoli delle gloriose tradizioni del vostro Convitto, che, com'è noto, fu fondato, allo scadere del secolo XVI, dal Nostro Predecessore Clemente VIII, premuroso di assicurare alla Nobiltà romana, che in quei tempi rappresentava la classe dirigente, una gioventù religiosamente e culturalmente preparata ad affrontare i suoi futuri doveri. L'Istituto, che si onorava del titolo di « Nobile Pontificio Collegio Clementino », per circa tre secoli e mediante la illuminata direzione dei Religiosi Somaschi, corrispose pienamente alle intenzioni del suo Fondatore, espresse nella Bolla «Ubi primum ad summi apostolatus apicem» del 7 luglio 1604 (Bullar. Rom. t. XI, pag. 90 e segg.), formando valide schiere di uomini esimi nella professione della religione, nel culto delle lettere e delle arti, e nella pratica esemplare di civili virtù. È certamente suo vanto l'essere stato modello di tanti altri Istituti in Italia e nell'Europa, i quali, con quanto di bene essi irradiarono nella società del tempo, ripetono la loro origine dalla solerte premura della Chiesa verso la gioventù.

Il « Clementino », come tante altre Istituzioni romane, risenti, nel secolo scorso, la scossa delle agitazioni politiche ed attraversa, come conseguenza di quelle e del mutamento della sua struttura, un periodo dolorosamente discordante dalle sue tradizioni, e pertanto meno propizio a favorire la perfetta educazione dei giovanetti di una Nazione, qual è l'Italia, che non può prescindere dai valori religiosi. Ma fu, per divino favore, una breve parentesi, poichè, cessato il vento avverso, anche il vostro Istituto, col suo nuovo nome di « Convitto Nazionale », ritorna a prosperare e a riscuotere la fiducia delle famiglie cristiane.

Al presente il vostro Convitto, nella nuova sede, eretta dalle fondamenta in accordo con le moderne esigenze pedagogiche, egregiamente diretto da una scelta schiera di Superiori, di Insegnanti e di Istitutori, circondato dalle premure e dalla stima delle pubbliche Autorità, possiede tutto ciò che si può desiderare per assicurare ai numerosi giovani, che vi accorrono da ogni regione, una perfetta educazione religiosa, civile e scolastica.

Ci sono anche noti gli ottimi risultati raccolti negli studi, particolarmente negli ultimi anni, e dimostrati negli esami di maturità, il cui felice superamento corona non soltanto la diligenza degli alunni, ma, con non minor merito, l'operosa sollecitudine e la valentia degli insegnanti.

Vorremmo tuttavia chiedervi se nel campo dell'educazione sia possibile di arrestarsi ai buoni risultati, senza sforzarsi, in quanto è possibile, e con la divina grazia, di tendere alla perfezione. Ebbene, con la premura di chi ama particolarmente la gioventù studiosa, desideriamo di cogliere questa occasione per manifestarvi qualche pensiero sull'opera educativa dei collegi, a profitto anche di tanti altri giovanetti, il cui avvenire, e quello stesso della società, dipende dai brevi anni in essi trascorsi.

L'educazione collegiale, particolarmente nei convitti, nonostante abbia dato nel passato e al presente buoni risultati, è stata oggetto di severe critiche negli ultimi tempi da parte di alcuni cultori delle scienze pedagogiche, che la vorrebbero bandita, quasi sia del tutto inetta. Ma le critiche, anche se avvalorate da questo o quell'altro provato difetto, non costituiscono un sufficiente motivo di generale condanna dell'educazione collegiale in sè stessa.

Certamente l'ambiente familiare, quasi nido apprestato dalla natura, quando sia assistito dalla Chiesa e integrato dalla scuola, è il più adatto ad assicurare una buona e anche perfetta educazione; ma spesso le circostanze di luogo, di lavoro, di persone, impediscono alla famiglia di attendere da sè sola all'arduo compito. In questi casi il collegio diviene una provvidenziale istituzione, senza la quale molti giovanetti resterebbero privi di grandi beni. Esso, tuttavia, non esenta i genitori dal dovere di occuparsi dei figli, anzi esige che il loro influsso sia presente anche nel collegio, per integrare l'opera di formazione che si compie lontano dai loro occhi. Tra l'educazione in famiglia, spesso impedita, e quella in collegio, necessariamente imperfetta, una via di mezzo è rappresentata dal semiconvitto, dove il giovanetto aggiunge ai vantaggi della educazione familiare quelli propri della vita collegiale.

I principali pregi di questa sono la formazione dell'animo ad una più austera coscienza del dovere, al senso della disciplina e della precisione, all'abitudine nell'ordinare le proprie occupazioni, al sentimento della responsabilità dei propri atti. Nel collegio il giovane è condotto per tempo a saper convivere in società, grazie ai differenti rapporti in cui viene a trovarsi coi superiori, coi condiscepoli e con gl'inferiori, almeno per l'età. Egli è spinto alla sana emulazione, al giusto senso dell'onore e all'accettazione dei necessari sacrifici. Il possesso di queste doti fin dai teneri anni senza dubbio faciliterà al giovane l'ingresso nella vita, lo sosterrà nell'affrontarne le vicende e nell'adempiere gli obblighi del proprio stato. Il conseguimento di questi risultati può però esser compromesso da eccessi e da difetti di metodo, tali da condurre ad un esito contrario, e, per conseguenza, a fornire motivo di giudicare negativa e dannosa l'educazione collegiale.

Indubbiamente la vita in comune, fuori dell'ambiente naturale, sotto l'impero di un rigido regolamento, che non sappia discernere individuo da individuo, presenta i suoi pericoli. Per poco che si sbagli, si avranno alunni tutt'altro che avviati al senso della responsabilità personale; ma trascinati, quasi come incoscienti, dal meccanicismo delle azioni a un puro formalismo, sia nello studio che nella disciplina e nella preghiera. La stretta uniformità tende a soffocare l'impulso personale; la vita appartata a restringere la vasta visione del mondo ; la inflessibile urgenza del regolamento fomenta talvolta l'ipocrisia, oppure impone un livello spirituale, che per gli uni sarà troppo basso e per gli altri, invece, irraggiungibile; la troppa severità finisce per tramutare i caratteri forti in ribelli ed i timidi in avviliti e chiusi.

È però possibile e doveroso rimediare a questi pericoli mediante il discernimento, la moderazione, la soavità. Occorre in primo luogo saper discernere negli alunni ogni singolo caso. L'educazione cosiddetta di massa, come anche l'insegnamento di classe, costa certamente minor fatica, ma rischia di giovare soltanto ad alcuni, mentre tutti hanno il diritto di profittarne. I fanciulli non sono mai uno eguale all'altro, nè per intelligenza, nè per indole, nè per le altre qualità spirituali: è una legge della vita. Essi vanno dunque considerati singolarmente, sia nell'assegnare loro il tenore di vita, che nel correggerli e nel giudicarli. È da evitare in ogni caso quella comunanza troppo uniforme, che pone talora qualche centinaio di collegiali, differenti anche per età, a studiare, a dormire, a pranzare e a giocare in un unico edificio, con un unico orario, sotto un unico regolamento. Si cerca bensì di ovviare all'inconveniente mediante la divisione in gruppi omogenei, e di tal numero che non superi la possibilità, in chi li assiste, di seguire paternamente ogni singolo soggetto. Ma anche così divisi in gruppi, ai quali sarebbe opportuno di assegnare un orario, un regolamento ed esercizi differenti e proporzionati, e sebbene il giovane normale dal complesso dei valori spirituali e morali, che gli offrono la educazione e la scuola, il buon esempio e il buon libro, ricavi da sè stesso gli elementi necessari alla sua retta formazione, occorre tuttavia che ognuno si senta oggetto di speciale attenzione da parte dell'educatore, e che non riceva mai l'impressione di essere confuso e dimenticato nella massa, trascurato nelle sue particolari esigenze, nei suoi bisogni e nelle sue debolezze, quasi che conti soltanto la sua presenza fisica. Da tale singola premura deriverà nell'alunno lo stimolo ad affermare e sviluppare il suo temperamento personale, lo spirito d'intrapresa, il senso della responsabilità verso i superiori e i coetanei, non altrimenti che se egli vivesse in seno ad una numerosa e bene ordinata famiglia.

Il secondo carattere che deve informare l'educazione collegiale consiste nella moderazione. L'antico precetto « ne quid imis », equivalente all'altro « in medio stat virtus », deve ispirare ogni atto dell'educatore, sia quando stabilisce una regola, sia quando ne esige la osservanza. Occorre mi illuminato senso di discrezione nel determinare la durata dello studio e dello svago, la distribuzione dei premi e dei castighi, la concessione di libertà e le esigenze della disciplina. Anche gli esercizi di pietà debbono conoscere la retta misura, affinchè non divengano peso quasi insopportabile, e non lascino nell'animo il tedio. Non di rado si è notato il deplorevole effetto di uno zelo eccessivo in questo punto. Si sono visti allievi di collegi anche cattolici, ove non si è tenuto conto della moderazione, ma si è voluto imporre un tenore di pratiche religiose, forse neppure proporzionato a giovani chierici, trascurare, tornati in famiglia, i doveri più elementari del cristiano, come l'assistenza domenicale alla Santa Messa. Si deve certamente aiutare ed esortare il giovane a pregare; ma sempre in tale misura, che la preghiera rimanga un dolce bisogno dell'anima.

Un'aura di serena soavità dovrebbe, in terzo luogo, aleggiare in ogni collegio, tale però da non compromettere la formazione di forti caratteri. Specialmente a giovanetti, che provengono da sane famiglie, il senso del dovere si inoculi mediante la personale persuasione e con argomenti di ragione e di affetto. Un soggetto, che sia persuaso dell'amore dei suoi genitori e dei suoi superiori, non mancherà di corrispondere prima o poi alle loro premure. È da bandire quindi il comando che non dia o non supponga qualche ragionevole giustificazione, il rimprovero che tradisce un personale rancore, la punizione esclusivamente vendicativa. La soavità va abbandonata per ultima, per breve tempo, e in singoli casi. Essa deve presiedere il giudizio e superare la stretta giustizia, poichè l'animo del giovanetto non è quasi mai tanto maturo da comprendere tutto il male, nè tanto tenace in esso da non saper riprendere la buona strada, appena gli sia dimostrata.

Questi precetti, scelti tra quelli d'indole più generale e più pratica, e quelli, a voi noti, che le scienze pedagogiche saggiamente consigliano, non mancheranno, se diligentemente applicati, di assicurare alla vostra opera di educatori eccellenti risultati. Desideriamo ora di rivolgere la Nostra parola più direttamente ai giovani che si educano in collegi simili al vostro, affinchè sappiano che cosa aspettano da loro le famiglie, la società e la Chiesa stessa, e in che modo essi debbano corrispondere a tante cure, di cui sono amorevole oggetto. Non sempre le famiglie ricorrono al collegio costrette dalle accennate circostanze anormali; ma scelgono questo tipo di educazione per i propri figli nella fondata persuasione di porli in condizione pia favorevole a conseguire una formazione eccellente e, per quanto è possibile, completa. Da parte loro i collegi, qual è il vostro, si propongono come fine proprio, benchè non esclusivo, di formare uomini egregi sotto ogni aspetto, uomini al di sopra della mediocrità, sui quali la società, sia religiosa che civile, possa fare assegnamento per l'avvenire.

Ma come riuscirà un collegio, anche ottimo in tutti gli aspetti, a formare uomini esimi, se per primi, voi giovanetti, non bramaste di divenire tali? Mirare dunque al più alto grado possibile è il primo passo di ogni ottima educazione. La fresca età porta spontaneamente il giovanetto intelligente e sano a proporsi belli e grandi ideali; però non di rado una sopraggiunta apatia ed indolenza, oppure l'influsso esterno cospirano a soffocare gli impulsi e a ridurre a modeste proporzioni i desideri di eccellere. Non vi è peggior inizio nel cammino della vita che la rinunzia prima della prova, il ripiegamento prima della battaglia, la rassegnazione prima dell'avversità.

Sono molti, pur troppo, ai nostri tempi i giovani, insensibili al fascino della grandezza di sane e alte mete, giovani dal tono fiacco, contenti di tendere ad un loro piccolo mondo di personali comodità, e che, se mai accarezzano ideali, li scelgono tra quelli effimeri, di appariscente valore e di immediato vantaggio. Essi potranno diventare buoni cittadini ed anche utili alla società; ma che ne sarebbe di una nazione, la cui gioventù, in numero sufficiente, non ardisse aspirare a grandi ed egregie cose? Il suo avvenire, che esige progresso, avanzamento, miglioramento, resterebbe gravemente compromesso. Vorremmo perciò esortarvi ad aprire i vostri animi a grandi desideri, e, pur nella giusta estimazione delle vostre forze, a prefiggervi ardite mete, cosi che nel vasto campo della vita possiate arrecare elevati contributi di scienza, o di arte, o di azione alla società, che dai giovani aspetta le valide guide del suo domani.

È certamente un pregio della educazione collegiale lo stimolare gli animi a conoscere e desiderare grandi cose, sia per la presenza di nobili tradizioni, sia mediante la spontanea emulazione, e con l'influsso di egregi maestri. Tuttavia il trovarvi aggregati a così encomiabili istituti, che dispongono di ogni mezzo per dare una compiuta ed eccellente educazione, potrebbe indurvi a credere che, per ottenere lo scopo, basti vivere in essi alcuni anni, quasi diremmo, passivamente; non altrimenti che per giungere ad un lontano porto, è sufficiente restare sulla nave, senza occuparsi di altro. Orbene, il prefiggersi alte mete nella vita non è che il primo di molti ed aspri passi, che restano da compiersi. Non esiste virtù magica, che tramuti gl'ideali in realtà, se non la ferma volontà e il totale impegno delle forze di cui si dispone. Al desiderio deve dunque seguire l'impegno; questo, a sua volta, dev'essere costante, inflessibile nelle difficoltà, pronto ai cimenti e alle rinunzie, poichè, come insegna un'antica sentenza, ciò che non costa non vale. I beni morali non si ricevono in dono da altri, come le eredità; ma vanno conquistati coi propri sforzi personali. Tuttavia il collegio può validamente aiutarvi nella misura che voi collaborerete coi vostri educatori. Ma in che modo si tradurrà in atto la vostra collaborazione? Innanzi tutto ponendo la vostra piena fiducia in loro.

La fiducia, frutto della stima, consiste nell'intima persuasione che quanto vi viene insegnato, consigliato, disposto, scaturisce dall'affetto e mira al vostro miglior bene, anche se a prima vista non ne vedete chiaramente i motivi. Molti naufragi della vita hanno avuto la loro origine dal rifiuto di prestar fede ai genitori e agli educatori; molte amare esperienze sarebbero invece risparmiate, se si credesse fiduciosamente a coloro che di esperienze hanno maggiore conoscenza. Ponete dunque piena fiducia in quelli che hanno preso su di sè ed accettato dalla Provvidenza la grave responsabilità del vostro avvenire e ne posseggono le necessarie doti di mente e di cuore. Tra questi primeggiano i genitori, i cui consigli non dovrebbero mai essere da voi sottoposti a discussione, almeno fino al giorno in cui vi sentirete uomini maturi a tutta prova.

Alla fiducia deve seguire la docilità, che consiste nel praticare i consigli, accettare le correzioni, piegarsi agl'indirizzi che vi saranno dati con illuminato affetto. Il crescente senso critico della vostra età vi spingerà spesso a porre in dubbio questo o quel precetto, mentre le suggestioni di coloro, a cui il vostro avvenire in realtà ben poco interessa, vi istigheranno non di rado a respingere la mano di chi vi guida: dovete allora ricordarvi che la maturità del giudizio viene con gli anni, e che non altri se non voi patireste le conseguenze di passi avventati.

La costante generosità nell'impegnarsi sia la terza virtù di coloro che bramano divenire esimi. Il giovane che tentenna nel cominciare, che alterna settimane d'intenso studio con altre di pigrizia o di frivole occupazioni, che rimanda al giorno successivo i suoi doveri, non arriverà mai ad elevati traguardi. Voi possedete ora un prezioso tesoro : la vostra stessa giovinezza. I suoi maravigliosi pregi sono la naturale prontezza al vero ed al bene. la malleabilità dell'animo, l'abbondanza di energie fisiche, la interezza delle facoltà spirituali, la vigoria negli impulsi. Tali ricchezze, come i talenti evangelici, non saranno sempre a vostra disposizione. Orbene, il collegio, mediante la paterna vigilanza degli educatori, la saggia ripartizione dell'orario, l'avviamento al metodo ed alla precisione, e le altre norme cui si conformeranno i vostri educatori, vi aiuterà molto a trarre il massimo frutto dai vostri talenti; ma resta sempre vero che tocca a voi assecondare questa opera e vegliare affinchè essi non vadano dissipati.

Occorre inoltre che i giovanetti collaborino insieme nell'edificare il loro splendido avvenire. Benchè essi stessi spesso non se ne avvedano, esiste tra di loro una risolutiva interdipendenza d'influssi dovuta alla maggiore mutua comprensione. Nonostante la più sapiente opera degli educatori, un cattivo condiscepolo può distruggere ciò che quelli edificano, come anche, al contrario, un buon amico convaliderà i precetti del maestro più di quanto questi possa fare. Come spetta a ciascuno di voi guardarsi dal triste influsso di questo o quel coetaneo, facilmente riconoscibile per il disaccordo che noterete tra le sue suggestioni e i consigli degli educatori, cosi è vostro dovere porre la vostra azione su gli altri a loro vantaggio. Scaturiscono in tal modo tra i condiscepoli di un medesimo collegio quelle sane e profonde amicizie,. che né gli anni nè le distanze faranno impallidire: esse saranno il risultato più caro e prezioso dei lontani anni di educazione.

Vi è infine una terza collaborazione che non potrà mai essere abbastanza raccomandata, e che stringe in un'opera solidale e indispensabile il collegio, gli alunni, le famiglie. È anzitutto necessaria una perfetta concordia di principi e d'indirizzi tra il collegio e la famiglia, affinchè l'uno non distrugga l'azione dell'altra, e viceversa. La famiglia in particolare, come abbiamo già accennato, affidando al collegio il figliuolo, non rinunzia ai propri diritti, né viene sgravata dalle sue responsabilità. Spetta ad essa affiancare, sostenere, continuare l'opera degli educatori. Talora si richiederà verso l'alunno maggiore fiducia, tal altra maggiore severità, o più assiduo interessamento, o anche occorrerà sacrificare un poco dei propri sentimenti. Ma soprattutto è necessario che i giovanetti vedano sempre una perfetta intesa tra collegio e famiglia. Con tale triplice collaborazione, alla quale si aggiungerà quella più elevata, efficace ed intima che esercita la religione per mezzo dei suoi ministri, si può sperare con fondamento che gli alti ideali dai giovani propostisi, dalle famiglie augurati, dal collegio perseguiti, diverranno un giorno felice realtà.

Quanto alla vostra condotta pratica, diletti figli del Convitto Nazionale di Roma, Ci piace ricordarvi come le prime regole del « Nobile Pontificio Collegio Clementino » raccomandavano specialmente tre cose : la « devozione », l'« obbedienza », lo « studio ». Alla distanza di tre secoli non sapremmo darvi un migliore indirizzo per vedere attuata la vostra collaborazione con gli educatori. Siate pii nella letizia e nella purezza del cuore, persuasi che la fede è il saldo fondamento della vita. Obbedite, non tanto costretti dal timore, quanto attratti dalla certezza del buon fine che si propongono coloro che vi amano. Attendete allo studio con metodo e assiduità, non solo per arricchire la vostra mente, ma altresì per adempiere il comune obbligo del lavoro. Vorremmo inoltre aggiungere un particolare dovere proprio della vostra età, il cui carattere sta essenzialmente nel crescere. Come ogni nuovo giorno trova i giovanetti più sviluppati nel fisico, così deve trovarli più avanzati nello studio e nelle virtù. La più alta lode, che il santo Vangelo tributa all'infanzia di Gesù, sta nel narrare che « Egli cresceva in sapienza, in statura e in grazia presso Dio e gli uomini » (Luc. 2, 52). Il divino Coetaneo sia pertanto il vostro modello, non solo per l'incessante profitto nella sapienza e nella grazia, ma anche per il conforto che la vostra condotta darà a coloro che guardano a voi come ai loro più cari tesori in questo mondo : i genitori e gli educatori.

Con l'augurio che voi tutti, — e gli altri giovanetti che si educano nei collegi d'Italia —, accoglierete questi Nostri paterni insegnamenti, e praticandoli vi formerete uomini di carattere, cittadini irreprensibili, modelli agli altri di virtù religiose, familiari e sociali, in una parola, degni delle migliori tradizioni della vostra Patria, invochiamo su di voi, sui vostri educatori e sulle vostre famiglie l'abbondanza dei celesti favori, in auspicio dei quali impartiamo a tutti la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII,
 Diciottesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1956 - 1° marzo 1957, pp. 115 - 124
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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