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COMITATO PER LA GIORNATA GIUBILARE 
DELLA COMUNITÀ 
CON LE PERSONE CON DISABILITÀ 

  SCHEDA DI PREPARAZIONE 
ALLA GIORNATA GIUBILARE 
DEL 3 DICEMBRE 2000 

   TERZA SCHEDA

  LA  PERSONA   CON   DISABILITÀ:
SOGGETTO – PROTAGONISTA
DI
PASTORALE
 

    

La ricchezza della persona con disabilità sfida continuamente la Chiesa e la società e le chiama ad aprirsi al mistero che essa presenta. 

La persona con disabilità è a pieno diritto soggetto-protagonista di pastorale. 

La disabilità non è un castigo, ma luogo privilegiato che Dio usa per manifestare il suo amore e coronare tutti con la gloria della resurrezione. 

Questa scheda è un aiuto per la scoperta della persona con disabilità quale soggetto-protagonista dell’azione pastorale della Chiesa e nella Chiesa.  

È con tale spirito che la affidiamo a tutti voi per integrare e inserire a pieno titolo le persone con disabilità nella vita della Chiesa e della società, per valorizzare i doni di cui sono portatrici e per riconciliarsi con loro per le lacune nei loro confronti nello spirito del Grande Giubileo e per creare una mentalità di accettazione, di promozione e di solidarietà. 

  Il Comitato preparatorio 

  Roma, 7 Aprile, 2000. 


LA PERSONA CON DISABILITÀ: SOGGETTO – PROTAGONISTA  DI PASTORALE 

  

Premessa 

“Ciascuno agisca secondo il dono ricevuto: mettetelo a servizio gli uni degli altri, come bravi amministratori della molteplice grazia di Dio. Se uno ha il dono della parola, ne usi come oracoli di Dio; se uno ha un ministero, lo eserciti con l’energia che fornisce Dio: affinchè in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, a cui spetta la gloria e il potere nei secoli dei secoli”(1 Pt 4,10-11). 

La persona con disabilità, creata ad immagine di Dio, luogo della manifestazione dell’amore di Lui e testimone privilegiato di umanità, è direttamente responsabile della sua storia e della sua vita come ogni altra persona. 

Il Signore Gesù chiama tutti ad essere suoi discepoli, ad aprirsi al dono della comunione con il Padre e con i fratelli/sorelle nella fede, a condividere con tutti gli uomini le ricchezze (1Cor 1,5-7; 7,7; 14; Rm 12,6-8; Ef 4,7-16) che Dio elargisce ad ognuno: così pure le persone con disabilità ricevono dal Signore la stessa chiamata a vivere il discepolato in modo responsabile e attivo e ad arricchire il popolo di Dio con i doni che il Signore affida a loro per rendere la sua Sposa splendente (cfr Ef 5,27).

La Chiesa, Sposa di Cristo, sollecita e sensibile a tutti i suoi figli/e, si cura di loro perchè tutti possano progredire in modo responsabile e personale nella crescita di fede, nella comunione con Dio, nella scoperta dei doni ricevuti da Dio per il bene comune e nel come questi doni possano essere messi a disposizione degli altri. Per questo essa ricerca le persone con disabilità per comunicare a loro ‘la molteplice grazia di Dio’ e per metterle al posto che loro compete quali persone battezzate, che come tutte le persone battezzate “sono uguali in dignità di fronte a Dio e hanno la stessa divina chiamata” (U.S. Bishops, Guidelines for the Celebration of the Sacraments with Persons with Disabilities,1995). 

  

Soggetti di pastorale 

           Â“Ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perchè hai nascosto queste cose ai sapienti e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perchè tale è stato il tuo beneplacito”(Lc 10,21). 

           Â“Anzi, sapete che vi annunziai l’evangelo la prima volta in occasione di una mia malattia e sebbene quella infermità corporale fosse per voi una prova, non me ne mostraste nè disprezzo nè ribrezzo, ma mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù”(Gal 4,13-14). 

“Tutti i membri del popolo di Dio sono soggetti dell’intera azione ecclesiale, per altro da attuare con modalità e competenze distinte in forza di carismi e ministeri differenti” (Midali, 1992).  

Le persone con disabilità danno le spinte più forti ed offrono grandi risorse morali e spirituali per un mondo secondo il piano di Dio. Esse offrono un contributo di speranza e di amore alla storia umana. Rivelano all’uomo quello che l’uomo è: la persona vale per quello che è e non per ciò che ha o sa fare (GS 35) specialmente in una società dove quello che conta è la bellezza fisica, l’auto-affermazione, la ricerca del potere e del primato sugli altri. Mostrano la creaturalità di tutti e di ciascuno e la dipendenza della creatura dal Creatore con la loro fiducia e dipendenza dagli altri e affermano questa unione che dà vita. ‘La creatura senza il Creatore svanisce’ (GS 36). 

Il volto di Dio, che si dona sulla croce per arricchirci della sua gloria, si mostra nelle persone con disabilità nel loro essere soli e marginalizzati. Le persone con disabilità sono ‘angelo di Dio, Gesù Cristo’ (Gal 4,14) che continua la sua presenza nella storia dell’uomo.  

Non solo con la testimonianza della loro vita, ma anche per le attività che possono svolgere secondo le loro possibilità, le persone con disabilità sono soggetti attivi di pastorale. Esse stesse possono comunicare il ‘tesoro della fede’ e guidare tutti alla comunione con il Padre in Gesù per mezzo dello Spirito. 

Anche a loro, come a tutti i battezzati, è stato affidato il mandato evangelico: “Andate istruite tutte le genti, battezzandole nel mone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).  

Ed “essi se ne andarono a predicare dappertutto con la cooperazione del Signore, il quale confermava la Parola con i miracoli che l’accompagnavano” (Mc 16,20). 

“Annuncio, testimonianza, insegnamento, sacramenti, amore del prossimo, fare discepoli: tutti questi aspetti sono vie e mezzi per la trasmissione dell’unico Vangelo e costituiscono gli elementi dell’evangelizzazione” (Direttorio Generale per la Catechesi, 1997). 

  

Diritti 

           Â“In sintesi, la giusta attesa preminente dei nostri fratelli è la seguente: l’integrazione equilibrata ma effettiva nella trame della convivenza civile, per sentirsi in essa membri a pieno titolo. Non consideriamo l’handicap come fatto drammatico ed innaturale, ma piuttosto come una condizione di debolezza che si traduce per la società cristiana e civile in una prova del suo livello di fede e di umanità... Sono... sempre persone che aspirano alla propria valorizzazione piena. ...È necessario riconoscere con i fatti che la persona handicappata è soggetto pienamente umano con diritii sacri ed inviolabili; che esso deve essere facilitato a partecipare alla vita della società in ogni dimensione accessibile; che la qualità di una società si misura dal rispetto che essa manifesta verso i più deboli dei suoi membri”(Giovanni Paolo II, Insegnamenti, 31-3- 1984). 

“Essi hanno diritto a conoscere, come gli altri coetanei, ‘il mistero della fede’”(CT 41). 

Il diritto di conoscere Dio in Gesù e a vivere la pienezza del suo amore nello Spirito è parte integrante della dignità della persona con disabilità. Quando esso è rispettato e promosso, porta la persona stessa ad aprirsi ai valori più alti che effettivamente la realizzano fino alla trascendenza con il dono totale e oblativo di sè agli altri e a Dio per raggiungere la piena maturità di persone a immagine di Cristo, cioè la santità. 

“Il battesimo ci rende membra del Corpo di Cristo: quindi siamo membri l’uno dell’altro. Il Battesimo ci incorpora nella Chiesa. Essendo diventata membro della Chiesa, la persona battezzata non appartiene più a sè stessa, ma a Lui che è morto e risorto per noi. D’ora in poi, ognuno è chiamato ad essere soggetto agli altri, a servirli nella comunione della Chiesa. Proprio perchè il Battesimo è la fonte delle responsabilità e degli obblighi, la persona battezzata inoltre gode dei diritti entro la Chiesa: ricevere i sacramenti, essere nutrita con la Parola di Dio, ed essere sostenuta dagli altri aiuti spirituali della Chiesa” (CCC1267/1269).  

Le persone con disabilità non fanno eccezione ai diritti e obblighi del Battesimo.  In caso di disabilità mentale severa e profonda, la chiamata di una persona a condividere la fede è fondata nella testimonianza di amore data agli altri. 

  

Azione pastorale delle persone con disabilità. 

“Le persone handicappate possono far emergere in sè eccezionali energie e valori di grande utilità per l’intera umanità”(Giovanni Paolo II, Insegnamenti, 31-3- 1984). 

“Egli (la persona con disabilità) non è solamente colui al quale si dà; deve essere aiutato a divenire anche colui che dà, e nella misura di tutte le possibilità proprie. Un momento importante e decisivo nella formazione sarà raggiunto quando egli avrà preso consapevolezza della sua dignità, e dei suoi valori, e si sarà reso conto che ci si attende qualcosa da lui e che egli può e deve contribuire al progresso e al bene della sua famiglia e della comunità” (Santa Sede, A quanti si dedicano al servizio di persone handicappate, 4-3-1981).   

“Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale...è di considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicementecome termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza”(Christifideles Laici, cap. IV, n.54).   

Non solo esse sono destinatarie dell’annuncio del Vangelo, ma a loro volta annunciano con la propria vita e missione il Vangelo, partecipando alla costruzione del Regno di Dio. La loro disabilità, redenta dalla Morte e Resurrezione di Gesù, le rende missionarie a livello immediato, intuitivo e non riflesso dei veri valori dell’umanità: fiducia, solidarietà, diaconia, condivisione, ascolto, accettazione, interdipendenza, immediatezza, fratellanza, gioia, amore. Non sono sbagli di creazione. Hanno un loro compito, non ultimo quello di smentire costantemente un comodo aggiustamento filisteo con l’egoismo e il benessere, richiamando l’orgoglio e la presunzione a una misura più vera. 

 Diventano le ‘mani di Dio’ (cfr. Lc 10, 35) per una giusta e valorizzata visione dell’uomo e del piano d’amore di Dio per l’umanità che ha il suo culmine nella gloria della resurrezione, perchè “lo vedremo così come Egli è” (1Gv 3,2). 

 Le loro vie del cuore e il loro servizio di carità aiuteranno a rompere barriere di paura, le loro vite di vulnerabilità e la loro innocenza aiuteranno a creare luoghi di amore e di accoglienza.  

Dove, secondo alcuni parametri di comprensione, non ci sono segni di risposta, la fede della Chiesa, dei genitori e di altri supplisce. 

C’è sempre da ricordare che la preghiera delle persone con disabilità, specialmente di quelle con disabilità mentale, ha una forza particolare: a questa preghiera la Provvidenza non dirà mai di no, perchè un padre non potrà mai dimenticare i suoi figli più buoni e infelici (cfr. Gc 5,16).  

Nell’annuncio e testimonianza che danno con la loro vita, con l’offerta della loro vita insieme all’offerta liturgica di Cristo al Padre nello Spirito e con il sevizio diaconale al Corpo di Cristo e a tutti gli uomini, le persone con disabilità contribuiscono, secondo la vocazione ricevuta da Dio, alla crescita e koinonia del popolo di Dio, della Chiesa. 

Nel perdono, accorgersi cioè che gli altri indistintamente sono qualcosa di prezioso e hanno qualcosa di prezioso da dare, e nella festa, esprimere la novità, la creatività, la possibilità di rapportarsi con gli altri, di esprimere modi diversi di stare insieme, di camminare, di costruire, danno senso alla Resurrezione 

  

Risposta della Chiesa alle persone con disabilità. 

“La Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevare l’indigenza e in loro intende di servire a Cristo”(LG 8). 

“Non basta dunque un approccio solo assistenziale, bisogna approfondire e rispettare il loro essere in pienezza Figli di Dio, prediletti da Lui e, quindi, testimoni viventi dell’amore salvifico del Padre”(Card. Martini, Discorsi, 3 maggio 1990). 

La Chiesa, per essere veramente la Sposa di Cristo, deve considerare la persona con disabilità e quanti ruotano intorno a lei come luogo teologico dove ‘Dio opera le sue meraviglie’, realizza il suo amore per l’uomo e invita la comunità alla conversione e discernimento dei valori evangelici. 

  

La Chiesa fa ciò precisamente quando Essa stessa: 

- Proclama la verità sull’uomo, la dignità, il valore assoluto e la trascendenza di ogni persona, di ogni condizione e stato, delle persone con disabilità per il fatto che sono persone create a immagine/somiglianza di Dio, redente da Cristo e glorificate in Lui. 

- Promuove con scelte coraggiose e profetiche la vita e il rispetto della vita di chi è debole, fragile e senza voce, delle persone con disabilità. 

- Fa azione sia interna che esterna per la piena accettazione e integrazione delle persone con disabilità.  

- Offre loro e alle loro famiglie solidarietà, partecipazione, prossimità e compassione autentica. 

- Elargisce a tutti, per mezzo di una catechesi appropriata, i tesori spirituali e umani del suo ricco patrimonio riversati su di essa dal suo Signore e Redentore: sacramenti, parola di Dio, vita nella Chiesa. 

- Considera le persone con disabilità ‘come protagonisti, come soggetti dell’opera di evangelizzazione’ (Sinodo sui Laici, 1987-1988, n. 53) perchè esse sono agenti morali di trasformazione della Chiesa e della società, spingendo sempre più queste verso l’integrazione sociale di ogni disabilità.                                                                    

- Guida il cammino di tutti, incluse le persone con disabilità, verso il Padre. 

- Dá a tutti la certezza di essere amati da Dio e sostenuti dalla sua condivisione della storia, dei limiti, debolezze, fragilità e contraddizioni dell’uomo con l’Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione di Cristo. 

- Si riconcilia con le persone con disabilità e con le loro famiglie, chiedendo perdono per le incertezze, accantonamenti, ritardi, mancanze di carità, situazioni di solitudine, indifferenze singole e comuni verso di loro. 

- Mostra come entrare nel mistero della disabilità e rimanendoci in attegiamento di partecipazione contemplativa per il fatto che la persona con disabilità è carica di umanità. 

- Rimuove le barriere fisiche, architettoniche, mentali e ideologiche, di comunicazione e di linguaggio che bloccano la piena integrazione della persone con disabilità nella vita della Chiesa e della società. 

- Favorisce la partecipazione delle persone con disabilità all’azione liturgica, a tutti i sacramenti e alla vita della Chiesa secondo la vocazione di ognuno, anche per quanto riguarda il matrimonio, il ministero sacerdotale e la vita consacrata. 

- Prepara persone con disabilità ad essere catechisti qualificati del ‘mistero della fede’ per annunciarlo adeguatamente. 

- Prepara, con un cambio di mentalità, i futuri pastori, sacerdoti e diaconi, e quanti offriranno il loro servizio e ministero alle persone con disabilità in modo appropriato, rispettoso e promuovente della loro dignità di Figli/e di Dio. 

- Trova con creatività, in modo profetico, soluzioni che integrino la persona con disabilità nel mondo del lavoro, specialmente dove si guarda solo alla produttività, alla libera concorrenza, alla competizione, all’efficienza, all’affermazione di sé, al successo, come criteri di progresso, lasciando da parte le persone con disabilità che non rientrano in questi parametri. 

- Collabora con le strutture e organizzazioni socio-politiche e culturali per la promozione delle persone con disabilità ed offrire proposte alternative qualora i metodi e gli scopi offerti non riflettono la dignità della persona, lavorando in modo che tali strutture e organizzazioni vengano trasformate dall’interno, anche condannando proposte e soluzioni degradanti, riaffermando così la verità sul destino dell’uomo. 

- Nell’essere sia la Chiesa e sia tutti i cristiani punto di riferimento per trovare anche in termini di cultura civile e sociale una sempre maggiore pienezza della realizzazione dell’integrazione delle persone con disabilità in ogni realtà e ambito della vita quotidiana cui tutti partecipano. 

  

Testimonianze di vita vissuta. 

(Invece di usare ‘persona con disabilità’, abbiamo lasciato la terminologia usata dagli autori). 

  

La testimonianza di Stefano. 

Stefano, laureato in filosofia, usa una carrozzella per muoversi e si esprime per mezzo di un educatore che traduce in parole i flebili suoni che egli emette.  

Prima di tutto vorrei dire che l’espressione “catechesi dei disabili” a me non piace molto. Penso infatti, che la catechesi sia unica e che debba essere adattata a ogni persona, al di là del fatto che abbia un deficit o meno. 

È molto importante che le persone handicappate partecipino alla catechesi come tutti gli altri. Ed è altrettanto importante che i disabili si preparino anche a diventare catechisti, per dare un contributo ulteriore, che proviene dalla loro esperienza di vita. 

La presenza dei protatori di handicap potrà favorire l’opera di educazione della comunità all’accoglienza di chi è diverso. 

 

La testimonianza di Carmela. 

Carmela è insegnante di professione e inoltre fa la catechista. 

Le persone con handicap hanno un modo tutto proprio per vivere la fede. La catechesi per risultare efficace non può non tenerne conto. E sta propio a noi operatori pastorali entrare in sintonia con loro, toccando le corde giuste. 

Come far capire ad una bambina con handicap psichico che Dio ci ama, nonostante tutto? Di fronte a questo problema ho cercato propio di tenere presente l’esperienza della bambina, che vive in una famiglia particolarmente unita e affettuosa nei suoi confronti. Di là, cioè dalla vita di tutti i giorni, ho tratto gli esempi per farle comprendere l’amore paterno di Dio nei nostri confronti. 

  

La testimonianza di una persona cieca. 

“La Croce contiene un intrinseco ed insopprimibile orientamento verso la vittoria della Resurrezione. ...Come anticipare tale esperienza di vita e di gioia, tale vittoria sulla sofferenza anche nel corpo?”(Giovanni Paolo II, Insegnamenti, 31-3-1984). 

“Questa vittoria” della Risurrezione l’abbiamo sperimentata tutte le volte che abbiamo partecipato, come membri attivi, anche se minorati, alla vita delle comunità ecclesiali, come alunni delle lezioni di catechesi o come catechisti, come lettori durante le celebrazioni eucaristiche o come partecipanti al sacramento dell’Eucarestia e della Confermazione, anche se taluni di noi sono gravi minorati fisici o mentali; come partecipi del ministero della diaconia della carità, nelle Caritas diocesane, nelle associazioni parrocchiali, nelle comunità ecclesiali di base, ove anche noi, solitamente considerati oggetti passivi dell’amore altrui, diventiamo soggetti attivi. 

  

Da un’intervista a Jean Vanier. 

Lei dice che gli handicappati e le persone che soffrono sono “maestri di umanità”, perchè? 

Ci attirano, anzi ci chiamano, qualche volta fisicamente, e se noi li ascoltiamo ci fanno entrare nella compassione che è il cuore del Vangelo: “siate misericordiosi come Mio Padre è misericordioso, non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perodonate e sarete perdonati”. Essi ci insegnano se uno entra in relazione con loro, se si è toccati da loro – ad aprire il cuore ad una relazione che definerei da persona a persona, in cui Dio è presente. 

Che cosa è per lei l’amore, e soprattutto come si fa ad amare? 

In Comunità amare qualcuno vuol dire rivelargli che è importante, che ha valore. Lo facciamo attraverso l’ascolto, la comprensione dei suoi bisogni, delle sue sofferenze, del suo richiamo profondo, ed anche attraverso la comprensione del posto che ha nella Chiesa. Questo amore consiste nell’entrare finalmente in una relazione di comunione, in un senso di appartenenza degli uni con gli altri. E poi questo amore ci porta al perdono, perchè ci feriamo gli uni gli altri e siamo chiamati, perciò, ad entrare nel mistero del perdono.  

  

Testimonianza, desiderio, interrogativo. 

Sono un handicappato di 74 anni, che all’età di dodici mesi è stato colpito da paralisi spastica. All’età di otto anni ho perso mia madre e da allora vivo in un istituto. 

Vedo che la società, nonostante progredisca in ogni settore, emargina sempre di più chi non ‘rende’ e cioè: l’ammalato, l’anziano, l’handicappato e questa è una constatazione che reca grave sofferenza a chi si trova in queste condizioni. 

Fa però soffrire il vedere come tanti sacerdoti che si preoccupano e si danno da fare per tante cose, trascurino queste persone che soltanto la fede, col loro aiuto, potrebbe sostenere, facendo loro tanto bene. 

Sarebbe bello che il parroco scrivesse almeno a Natale e a Pasqua una lettera a tutti i sofferenti della parrocchia chiedendo loro la carità di offrire le pene e le preghiere per i bisogni della comunità rendendoli così partecipi alla vita della comunità stessa ed evitando così che si sentano inutili e di peso. 

È tempo di tornare a ravvivare nelle comunità parrocchiali la fede nella Provvidenza attraverso il dono più prezioso che la comunità possiede, ossia l’offerta quotidiana delle sofferenze di questi “prediletti di Dio”. L’aiuto che da questa offerta verrebbe a tutta la Parrocchia sarebbe enorme. 

Riconoscere Gesù nel povero, nell’ammalato e nell’handicappato o nell’anziano vuol dire anche amarlo e aiutarlo. E perchè, allora, non coinvolgere qualche handicappato o anziano, che non abbia difficoltà di parola, come purtroppo è il mio caso, nelle letture liturgiche oppure per qualche lavoro in segreteria o anche come catechista? Non basta aver abbattuto le barriere architettoniche, ci sono altre barriere ben più difficili da abbattere: noi abbiamo bisogno di sentirci amati per sentirci “normali”. 

    

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