Lo Spirito Santo sorgente inesauribile di doni - Angelo Amato
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L'ANNO DELLO SPIRITO SANTO
I segni della speranza: i popoli

LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI
Angelo Amato

1. Lo Spirito è «Persona-dono»
L'esistenza cristiana è intimamente segnata dalla «nube dello Spirito» (cf. Mt 17,5). È lo Spirito che porta i fedeli alla loro piena configurazione a Cristo. Ma, in cosa consiste, concretamente, la presenza dello Spirito Santo e qual è il significato dei suoi doni? La risposta è semplice: la vita cristiana, per svilupparsi e giungere a maturazione, esige una assistenza speciale dello Spirito santo e dei suoi doni. Il mistero profondo dello Spirito è quello di essere «dono»: «Si può dire che nello Spirito santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere amore. È Persona-amore. È Persona-dono» (Dominum et Vivificantem, n. 10).

Essendo Persona-dono lo Spirito è la sorgente di ogni dono creato, come la vita, la grazia, la carità: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5). Ed è Gesù che ha dato il suo Spirito come dono di vita nuova agli apostoli, alla chiesa, al mondo: «Innalzato alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33). Queste parole di Pietro a Pentecoste, riecheggiano la sua esperienza pasquale. La sera della risurrezione, infatti, Gesù, apparendo agli apostoli, disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Anche a Pentecoste gli apostoli «furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Tale pentecoste apostolica rifluisce su tutta l'umanità, in tutte le sue categorie di giovani e di anziani, di uomini e di donne. È lo stesso Pietro a spiegare, nel suo primo kérygma, che questa irruzione dello Spirito non fa che realizzare la profezia di Gioele:

«Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno» (At 2,17-18).

Il dono dello Spirito significa vocazione alla profezia da parte dei figli e delle figlie, dei servi e delle serve; significa chiamata a seguire grandi ideali («visioni») da parte dei giovani e ad avere sogni profetici da parte degli anziani. L'effusione dello Spirito a Pentecoste realizza anche la profezia di Ezechiele:

«Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. Vi libererò da tutte le vostre impurità: chiamerò il grano e lo moltiplicherò e non vi manderò più la carestia» (Ez 36,24-29).

Lo Spirito è cioè dono di comunione, è acqua di purificazione, è cuore di carne, è novità, è obbedienza, è appartenenza e fedeltà a Dio, è abbondanza di beni.

2. «Vieni, datore dei doni»
San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore, afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»1. Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all'alleanza tra il nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo» (Dominum et Vivificantem, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm 8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).

Per rendere possibile e facilitare questo cammino lo Spirito si fa sorgente di molteplici doni, frutti, carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo invochiamo: «Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si parla dei sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» (CCC n. 1831). Attribuiti in prima istanza al Messia (cf. Is 11,1-2)2, nel quale si realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello Spirito. Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello Spirito servono per agevolare la pratica delle virtù sia teologali (fede, speranza, carità), sia morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Spesso la tradizione teologica ha messo in correlazione i singoli doni con le singole virtù. Ad esempio, il dono del timore viene visto in corrispondenza con la virtù della temperanza e il dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni singolo dono facilita l'esercizio di tutte le virtù, che ne escono fortemente rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i doni devono essere messi in reciproca circolarità e correlazione.

3. Il timore, come gioiosa trepidazione per la vicinanza di Dio

Il timore del Signore si può considerare come il primo gradino della scala della perfezione, che avrebbe il suo vertice nel dono della sapienza. Afferma S. Tommaso d'Aquino: «Il timore filiale occupa il primo posto tra i doni dello Spirito Santo in ordine ascendente, e l'ultimo in ordine discendente»3. Il Siracide, tuttavia, mostra l'interdipendenza e il reciproco influsso dei doni:

«Pienezza della sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri devoti. Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi frutti. Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la pace e la salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto piovere la scienza e il lume dell'intelligenza; ha esaltato la gloria di quanti la possiedono. Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita» (Sir 1,14-18).

In una proposta di cammino vocazionale, si può vedere nel timore di Dio il primo passo per abbandonare la vita secondo la carne e percorrere la via secondo lo Spirito. Il timore di Dio fa comprendere che la vita non è solitudine e silenzio, ma comunione con Dio. Il timore non è paura di Dio, ma trepidazione e gratitudine per la sua grande prossimità a noi. È riscoperta e lode della sua grandezza e sapienza, e, allo stesso tempo, coscienza di essere immersi in questo «ambiente divino», avvolti dall'abbraccio di Dio:

«Signore, tu mi scruti e mi conosci; tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza?» (Sal 139,1-7).

La prostrazione di Abramo di fronte ai tre pellegrini (Gn 18,2), la sorpresa di Giacobbe nel sogno della scala, la cui cima raggiungeva il cielo (Gn 28,12), lo sbigottimento di Mosè al roveto ardente (Es 3,6), la meraviglia di Isaia di fronte al serafino col carbone ardente (Is 6,6-7), il grande spavento dei pastori all'annuncio degli angeli (Lc 2,9), lo stordimento di Giovanni il veggente di fronte al Vivente (Ap 1,17) indicano lo stupore improvviso di chi si trova a tu per tu di fronte al mistero santo di Dio. È un timore che non si tramuta in paura, ma, al contrario, si espande per Abramo in servizio e dialogo con Dio, per Giacobbe in conferma di aver incontrato Dio, per Mosè in spinta alla missione, per Isaia in obbedienza alla chiamata profetica, per i pastori in invito a incontrare il neonato Salvatore, per Giovanni in contemplazione dell'azione efficace e vittoriosa di Dio nelle martoriate vicende della chiesa e del mondo.

Il timore è la trepidazione avvertita da chi inizia il cammino della vita nello Spirito e si affida con confidenza nelle mani di Dio: «Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita» (Sal 139,23-24). Il timore di Dio diventa così consapevolezza della debolezza umana, esercizio di umiltà e di povertà di spirito, ma anche fiducia nella misericordia di Dio, speranza nella sua provvidente bontà, autentico «principio di saggezza» (Sal 111,10).

NOTE

1) De Trinitate, XV 19,35.

2) Il testo ebraico di Is. 11,2 parla di sei doni: spirito di sapienza, intelligenza, consiglio, fortezza, conoscenza e timore del Signore. La versione greca dei LXX e la versione latina della Volgata enunciano invece sette doni, introducendo la «pietà». In realtà si tratta di una interpretazione di Is 11,3, in cui il «timore del Signore», ripetuto in questo versetto, viene tradotto in una sua variazione e cioè in «pietà».

3) STh, II/II q. 19 a. 9.

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