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IL GIUBILEO NEL MONDO
Europa

IL NUOVO MILLENNIO NEL SEGNO DEL PAPA PELLEGRINO DI PACE

Card. Vinko Puljic

Durante il difficile periodo della guerra e del dopoguerra, tutta la Bosnia ed Erzegovina è stata travolta da un'ombra di sofferenza e di odio che è difficile vincere. Il meccanismo di guerra ha esasperato tutte le differenze già esistenti tra le popolazioni locali, diffondendo un odio culminato in un conflitto orribile, dalle conseguenze devastanti. I dati resi noti, che si riferiscono al periodo che va dall'inizio della guerra nel 1991 alla sua fine nel 1995, parlano di 270mila morti, in media 200 vittime al giorno. Le persone che hanno dovuto abbandonare la case e trovare rifugio all'estero sono 1 milione e 250mila, il 28,4 per cento degli abitanti, mentre all'interno dei confini del Paese hanno trovato rifugio 1 milione e 370mila persone, il 31,2 per cento della popolazione. Soltanto una piccola parte ha potuto finora rientrare nei paesi d'origine.

È quasi impossibile conoscere il numero esatto delle persone rimaste ferite oppure di quelle che hanno subito le violenze dei campi di concentramento. O ancora di quelle che hanno subito danni psichici a causa degli orrori visti o dei trami della guerra. L'Arcidiocesi di Vrhbosna o Sarajevo prima della guerra aveva 528mila fedeli divisi in 144 parrocchie. Le forze armate serbe hanno devastato il 45 per cento dell'Arcidiocesi: i cattolici sono stati cacciati via, la maggior parte delle chiese e di altri luoghi di culto, dei monasteri, delle canoniche è stata depredata, bruciata, distrutta, mentre lo scontro tra croati e musulmani ha causato nuova distruzione in circa il 30 per cento della medesima circoscrizione ecclesiastica. Oggi, nel territorio di questa Arcidiocesi si trovano circa 200.000 cattolici.

La Diocesi di Banja Luka prima della guerra contava oltre 110mila cattolici. Le forze armate serbe, già prima dello scoppio della guerra avevano assunto il controllo sulla maggior parte del territorio di questa Diocesi, e la zona è stata risparmiata dagli scontri armati. Nonostante ciò, la pulizia etnica messa in atto da chi controllava il territorio, ha costretto 1'80 per cento delle popolazioni cattoliche ad abbandonare la casa e a rifugiarsi altrove, mentre 5 sacerdoti e una religiosa sono stati uccisi e 98 chiese su 100 sono state danneggiate o distrutte.

Le due Diocesi di Erzegovina, di Mostar-Duvno e di Trebinje-Mrkan hanno avuto 10mila profughi ed esuli e 10 chiese gravemente danneggiate; la Curia diocesana di Mostar è stata bruciata, insieme ad altri preziosi beni, tra i quali anche 50mila libri prevalentemente di carattere religioso, culturale e storico. Ho riportato soltanto alcuni dati che illustrano la situazione generale creatasi in Bosnia ed Erzegovina a causa della recente guerra. È difficile però esprimere il dramma dell'uomo comune nei giorni di violenza, di insicurezza, di paura e di fame. Solo Dio che scruta i cuori umani conosce fino in fondo tali drammi. Posso soltanto aggiungere che nel buio della furia bellica la fede, la preghiera e la comunione rappresentavano il raggio di speranza e di luce. Ogni segno e ogni parola di solidarietà e d'espressione di vicinanza per tutti noi erano sempre motivo di profonda gioia interiore.

Il Santo Padre ha rappresentato per noi in modo particolare il messaggero di pace. Ogni suo appello ed ogni suo invito alla preghiera per la pace erano consolazione e segno di speranza. Abbiamo sofferto in modo speciale quando nel 1994 è stata impedita la Visita pastorale del Papa a Sarajevo. Temevamo che la cosa potesse ripetersi. Il tempo per la preparazione della Visita era breve e le circostanze erano particolarmente complesse. Ma durante la preparazione non ci sono mancati mai amore ed entusiasmo. Eravamo pure coscienti che poteva esserci chi con la violenza e il terrorismo cercava di infondere insicurezza e paura nella gente che aveva intenzione di partecipare alla Visita. Abbiamo pregato molto. E con un solo obiettivo: che la Visita del Santo padre, messaggero di pace, coincidesse con i tempi della ricostruzione della nostra Patria martoriata e devastata dalla furia bellica.

Mentre procedeva la preparazione per il Grande Giubileo dell'Anno 2000, nell'Anno di Gesù Cristo e nell'ambito del tempo Pasquale, la Visita del Papa è diventata realtà. L'aereo è atterrato e il Papa finalmente ha messo piede sul nostro suolo insanguinato da tanto sangue innocente e si è diretto lungo le strade che recavano le impronte dell'inaudita violenza subita negli ultimi anni. Sono stato con il Santo Padre nella vettura che lo portava in città. Molto spesso sospirava guardando le rovine dei palazzi e la sua mano era in continuazione alzata per benedire e per salutare il numero inaspettato di gente che si è riversata sulla strada per salutare il Simbolo di Pace tanto desiderata. Ho cercato di spiegargli i punti principali dei quartieri della città che stavamo percorrendo; di mostrargli i luoghi da cui la città veniva messa a ferro e fuoco; di dargli le informazioni circa i cattolici, gli ortodossi ed i musulmani che vivono a Sarajevo...

Sarajevo ha accolto il Santo Padre in maniera del tutto straordinaria, circondandolo con l'affetto e gratitudine per tale nuovo segno di speranza e di pace. Le zone circostanti e la cattedrale di Sarajevo erano straordinariamente affollate di uomini e donne di tutte le età: ciascuno di loro cercava di vedere, di stringere la mano al Papa. Dopo la partenza del Santo Padre, ho ricevuto tante lettere, soprattutto dalle persone che non hanno potuto prendere parte alla Messa nello Stadio di Kosìvo oppure non hanno potuto incontrarlo nelle vie di Sarajevo. Un uomo rimasto ferito durante la guerra, che ha seguito la Visita del Santo Padre tramite la televisione e che non è cattolico, mi ha scritto che in quel giorno non aveva bisogno di medicine: gli bastavano le parole del Papa e quelle scene trasmesse dalla televisione.

Veramente la Visita del Santo Padre è stata un avvenimento di gioia per i cattolici di Sarajevo e di Bosnia ed Erzegovina e per tutti gli abitanti di questa città e di questo Paese. Le mie risposte ai giornalisti circa la visita del Santo Padre a Sarajevo potrei riassumerle nei tre punti seguenti:

  1. il mondo ha avuto l'occasione di vedere che in Bosnia ed Erzegovina vivono anche i cattolici, fedeli a Cristo, al Papa e alla loro Patria. Tante volte abbiamo potuto constatare con dolore che i rappresentanti della Comunità Internazionale nelle loro parole e opere negavano l'esistenza dei cattolici. Grazie alla Visita del Santo Padre, tutti hanno potuto vedere e sentire, che anche noi cattolici ci siamo a Sarajevo e in Bosnia ed Erzegovina e che vogliamo rimanervi. Il Papa è venuto a darci coraggio e attraverso i suoi discorsi abbiamo visto delinearsi, per noi, la Chiesa del Duemila. Pur in mezzo alle rovine materiali e spirituali, anche la nostra Chiesa locale si prepara a varcare la soglia del Terzo Millennio. Il Santo Padre è venuto a visitarci proprio nell'anno di Gesú Cristo, rendendo la testimonianza: «Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto» (1 Gm 2, 1). Questa per noi cattolici era una voce di speranza, che ci incoraggiava sulla nostra Via Crucis e nel nostro cammino verso il ristabilimento di una pace giusta.
  2. Venendo a Sarajevo, in questa zona calda, il Papa ha portato con sé il mondo intero ed ha voluto attirare l'attenzione sulla urgente necessità della ricostruzione della pace e del sereno vivere di tutte le popolazioni della regione. Gli abitanti di Sarajevo, di Bosnia ed Erzegovina e quanti hanno seguito la Visita del Santo Padre attraverso la televisione e la radio hanno potuto avere tale impressione.
  3. I rappresentanti della Comunità internazionale e tutti i responsabili della Bosnia ed Erzegovina, coinvolti nella ricostruzione della pace e della vita in queste regioni, non possono ora ignorare i principi proclamati dal Santo Padre proprio a Sarajevo:
    • ogni persona umana deve essere rispettata perché il rispetto dei diritti e della dignità umana devono essere la base della ricostruzione della pace;
    • la Bosnia ed Erzegovina è patria di tutti i suoi tre popoli costitutivi e la giustizia rimane la base della pace;
    • la riconciliazione e il perdono sono veri compiti che attendono ogni costruttore di una pace giusta e duratura in questa regione.

La Visita del Santo Padre sarà l'avvenimento che rimarrà impresso nella memoria viva di tutti gli abitanti di Bosnia ed Erzegovina come un segno di consolazione e di speranza, apparso dopo una lunga notte di violenze di ogni genere. Da parte nostra ringraziamo il Santo Padre per il suo amore verso ogni persona, verso l'uomo di qualsiasi parte del mondo. L'amore del suo cuore aperto a tutti ci indica il Cuore di Gesù e della sua Santissima Madre, fonte di speranza per un domani migliore e per l'avvento del Terzo Millennio cristiano.

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