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Una porta che si apre sull’unità

Guido Bossa

I segni ecumenici nel rito di apertura della Porta Santa di San Paolo fuori le mura

Per l’apertura della più grande delle porte sante del Grande Giubileo, quella di San Paolo fuori le mura che Giovanni Paolo II ha varcato insieme a 22 rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane, i liturgisti vaticani che hanno preparato il rito in spirito ecumenico insieme ai loro confratelli delle altre denominazioni cristiane, hanno dovuto far ricorso alla più sofisticata fantasia evocatrice, per dar corpo e visibilità ad un fatto unico nella storia: l’unità che si manifesta nella perdurante divisione, l’unità che, per una volta, supera le divisioni. La porta santa della Basilica ostiense, la più antica fra quelle delle Basiliche patriarcali, fusa a Costantinopoli all’inizio del secondo millennio, quando lo scisma d’Occidente era ancora fresco, è stata così muta testimone del segno di speranza con il quale si apre il terzo millennio: un invito, come ha detto il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie Mons. Piero Marini, “a tutti i credenti in Cristo a far crescere la comune disponibilità allo Spirito che chiama alla conversione, a compiere nuovi gesti coraggiosi, a sentire la necessità di andare oltre il grado di comunione che è stato raggiunto”. Una porta santa più grande delle altre perché attraverso di essa sono passati cattolici, ortodossi, luterani, anglicani, cristiani di tante diverse denominazioni. Il rito ha visto una vera e propria Concelebrazione della Parola, con protagonista il Papa insieme a 22 rappresentanti di Chiese e Comunità cristiane più i delegati del Consiglio Ecumenico delle Chiese, i quali sono intervenuti più volte nelle fasi salienti della cerimonia. Insomma, qualcosa di mai visto prima nella storia, neppure durante il Concilio Vaticano II, come è stato notato: l’unità che si materializza attorno al Vangelo e al comune impegno di evangelizzazione. Il Papa che apre la porta santa spingendone i battenti insieme al Metropolita Athanasios e al vescovo anglicano Carey; il Papa che benedice i fedeli con il libro dei Vangeli e poi lo passa al metropolita copto ortodosso Amba Bishoi, e quindi, di mano in mano, all’arcivescovo russo ortodosso Klin e al vescovo luterano Krause; il libro dei vangeli mostrato ai quattro punti cardinali a sottolineare il comune impegno di predicazione e di evangelizzazione; e poi tanti altri inequivocabli segnali di tensione verso l’unità, l’ultimo dei quali, il grido “Unità, unità” ripetuto da Giovanni Paolo II in più lingue, è risuonato insieme come un augurio e un imperativo per tutti. La lettura di brani del sacerdote russo ortodosso Georges Florovsky e del teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer ha voluto indicare la comune volontà di mettersi in ascolto delle tradizioni, della teologia e della spiritualità di tutte le Chiese e Comunità. E in una chiara giornata di sole, i fedeli che affollavano il portico della Basilica hanno compreso il senso dell’impegnativo messaggio lanciato dai Capi delle Chiese proprio nel giorno in cui iniziava la settimana di preghiera per l’Unione dei cristiani. Il peculiare carattere ecumenico che connota il Grande Giubileo e l’intera attività pastorale della Chiesa dopo il Concilio, non poteva insomma trovare migliore sottolineatura proprio nella Basilica dedicata all’Apostolo dei gentili, dove Papa Giovanni XXIII diede l’annuncio del Concilio Vaticano II.

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