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Le giornate giubilari - Malati e operatori sanitari

Il medico del Terzo Millennio Ippocrate e Buon Samaritano

Massimo Aquili

“Per ottenere l’indulgenza non c’è niente di più bello che andare a trovare gli ammalati e pregare con loro”. Parola dell’Arcivescovo Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, che pone così in risalto la “novità” contenuta nella Bolla di indizione del Grande Giubileo: il pellegrinaggio ai luoghi della sofferenza tra i possibili adempimenti per “lucrare l’indulgenza”. Del resto - spiega - sia il pellegrinaggio che la Porta Santa non sono altro che “segni” sulla strada che conduce a Cristo. E Gesù lo possiamo trovare “in maniera specialissima” negli ammalati. Sulla ricerca del valore ultimo della propria esistenza è centrato anche il significato del Giubileo degli ammalati e degli operatori sanitari, promosso dal Pontificio Consiglio presieduto da Mons. Lozano, e riassunto nel logo della giornata dove Cristo risorto sostiene il Cristo morto, tratto da un’opera di P. Marko Ivan Rupnik, il cui originale su tela Mons. Lozano mostra con orgoglio nel suo studio.  Ed è qui che abbiamo incontrato l’arcivescovo per parlare soprattutto del tema al centro dei lavori del Convegno internazionale che precede le celebrazioni giubilari, “L’identità cattolica degli operatori sanitari di fronte alle sfide del terzo millennio”, che significa anche definire esattamente il ruolo del medico, il concetto di salute, il rapporto tra vita e biotecnologie. E perché nessuno fosse escluso e la riflessione davvero globale “abbiamo invitato – afferma Mons. Lozano Barragán – 72 Vescovi incaricati della pastorale della salute in Paesi poveri a venire a Roma insieme ad un ammalato e a un assistente sanitario (un medico, un infermiere o un volontario)”. Le spese per il viaggio e il soggiorno a Roma saranno sostenute dall’Unitalsi. Che cosa significherà per i medici cattolici del terzo millennio, che opereranno in uno scenario dove tecnologia e biologia sono sempre più legate e dove la tecnologia sarà sempre più capace di modificare la vita nei suoi aspetti fisiologici e psicologici, prendersi cura dell’ammalato? Il medico cattolico è un ministro della sanità, nel senso che esercita un ministero. Per un cattolico fare il medico non può significare esercitare un mestiere come un altro, ma piuttosto fare una professione nel suo senso etimologico e cioè una “professione di fede”. Il medico cattolico, quindi, non è soltanto Ippocrate ma è il Buon Samaritano. Ciò significa prendersi carico del paziente in senso globale, secondo una concezione olistica dell’uomo. La medicina non deve dimenticare che l’uomo non si esaurisce nella sua fisiologia o nella sua anatomia ma è una realtà sempre dinamica che avanza verso la meta, la risurrezione. In questo senso è molto importante anche che nell’esercizio della medicina il medico tenga sempre presente il significato della malattia e della morte, che non è la frustrazione assoluta, non è la notte, ma è una tappa della tensione verso l’armonia. Tra i segni di un rapporto incrinato tra scienza e paziente, gli psicologi pongono il ricorso alle cure alternative, come sintomo della ricerca di “qualcosa” che la tecnologia in sé non può dare. Ma il discorso sulle medicine “altre” apre anche il campo dei rapporti tra Sud e Nord del mondo, tra culture e tradizioni diverse, che spesso invece di riconoscersi si ignorano. Bisogna prendere atto che il mondo è grande e non si limita all’Occidente. La medicina occidentale, la cosiddetta “allopatia”, è importantissima, ma in America, in Asia, in Africa, esistono delle medicine millenarie, che erano praticate con buoni risultati quando non c’era la medicina allopatica. Nella cultura medica occidentale spesso queste pratiche sono definite “stregonerie”. Ma affermare un principio non vuol dire necessariamente negarne un altro e nelle diverse medicine ci sono principi che potrebbero essere complementari. La medicina allopatica dovrebbe investigare con molta umiltà alcune cose che nelle altre medicine funzionano e sono molto interessanti. Va sempre tenuto presente che un punto di vista prettamente medico, infatti, non può esaurire la complessità della persona e la salute non è certamente soltanto assenza di malattia. Anche secondo l’OMS la salute, come lei diceva, non è assenza di malattia e viene definita come “uno stato di completo benessere psichico e fisico”, nel rispetto della complessità della persona. Come valuta questa definizione? Noi siamo andati oltre questa definizione. Abbiamo colto l’aspetto più profondamente dinamico. Abbiamo definito la salute piuttosto come una tensione verso l’armonia fisica, psichica, sociale e spirituale. E’ una tensione dinamica verso l’armonia, non uno stato di benessere. Ha a che fare con la capacità dell’uomo di adempiere alla propria missione a seconda della tappa della vita in cui si trova. Così la salute di un bambino è diversa da quella di un anziano. Uno dei messaggi del fallimento del recente vertice di Seattle è stato quello di richiamare a una politica economica che tuteli anche i diritti e non solo i profitti. In questo senso la prospettiva di globalizzazione si è arenata soprattutto davanti ai possibili scenari in cui la vita poteva essere commercializzata e strumentalizzata da interessi economici forti che non mettono al centro la sua dignità. Anche la Chiesa ha messo un punto fermo in questa discussione sul progresso. Il valore ultimo è sempre la vita. L’economia, il commercio, il denaro, la produttività, non hanno valore per se stessi ma soltanto se riguardano direttamente o indirettamente la tutela della vita umana. E sicuramente un orizzonte unificatore, nel senso di un’etica condivisa, è fondamentale per cercare un bandolo nella matassa del progresso biotecnologico. Credo che questo filo debba riportare sempre alla vita dell’uomo. E quindi tutte le ricerche genetiche, tutte le sperimentazioni devono avere un solo senso: promuovere il dono della vita. Ciò che minaccia la vita è di per sé un disvalore. Si tratta di una regola semplice, ma essenziale.

La preghiera dei malati

È un Grande Giubileo fatto in sostanza di preghiera. Lo dimostrano le numerose “iniziative spirituali e caritative” poste in essere all’avvio dell’Anno Santo. E’ ricordando questo “fervore” che il Santo Padre ha voluto presentare personalmente nell’Angelus del 23 gennaio, alla vigilia del primo appuntamento, “la preghiera dei malati”, che si tiene ogni ultimo martedì del mese nella Basilica di Santa Maria Maggiore.  “Significativa”, ha spiegato il Papa “è la scelta di Santa Maria Maggiore come sede degli incontri: all’intercessione della Madre di Dio sarà affidata la preghiera per il buon esito del Giubileo e per la salute fisica e spirituale dei sofferenti. Invito tutti i malati e quanti li assistono a tenere presente tale iniziativa, per unirsi spiritualmente ad essa dalle loro abitazioni o dalle case di cura”. Puntuali alle 17 del giorno dopo, 24 gennaio, ragazzi sulla sedia a rotelle e bambini affetti dalla sindrome di Down, infermieri, medici e volontari della Croce rossa, i malati dell’Unitalsi con i loro accompagnatori generosi, a cui si sono aggiunti gruppi della diocesi della Roma, hanno preso parte alla Liturgia della parola nella Basilica liberiana, ascoltando il Vangelo, recitando il Credo e i canti mariani, guidati in questa primo incontro dal Card. Carlo Furno, Arciprete della Basilica che ospita l’effigie di Maria “Salus popoli romani”. “Unito a chi soffre – ha detto il Cardinale all’Omelia – c’è sempre Gesù che porta la croce con noi”. Dopo il Canto del padre Nostro, il Cardinale Furno ha impartito la benedizione con il Santissimo Sacramento, sempre esposto durante la Liturgia, e conclusa la preghiera è andato personalmente a salutare i vari gruppi di malati con i loro accompagnatori.  “Nessuno può dirsi escluso dal Giubileo - ha affermato l’arcivescovo Crescenzio Sepe, segretario del Comitato Centrale del Grande Giubileo, che ha partecipato al rito – e men che mai dovranno sentirsi tali i malati ed i sofferenti. Essi non soltanto vivono il Giubileo come tutte le altre categorie ma ne sono i testimoni migliori”. Presenti anche Mons. Javier Lozano Barragan e Mons. José Louis Re-drado, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute che promuove l’iniziativa, Mons. Sergio Pintor, responsabile del Servizio nazionale della pastorale della salute e Mons. Armando Brambilla, Vescovo ausiliare della diocesi di Roma. Come hanno animato questo primo appuntamento i malati italiani, così nei prossimi mesi ad ogni incontro parteciperanno gruppi di pellegrini stranieri. Secondo un Calendario indicativo, sarà dedicato ai malati dell’Europa centrale l’ultimo martedì di marzo. Ad aprile è prevista la presenza degli infermi dell’Europa occidentale e nei mesi successivi quelli dell’America Latina e delle Antille, dell’Usa e Canada, del Medio Oriente, dell’Asia, del Nord-Africa e dell’Africa subsahariana. Il 26 dicembre infine saranno presenti gli ammalati dell’Oceania.
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