Il martirio nell'Europa dell'est
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IL MARTIRIO NELL'EUROPA DELL'EST

+ Michael Hrynchyshyn

«Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mat 10, 39).

Il primo seguace di Gesù ad effettuare questo investimento senza tempo è stato il diacono Stefano. Il suo esempio eroico fu poi seguito da innumerevoli altri. Questa ricca messe del "semen christianorum" ha indotto Henry Daniel-Rops a definire la comunità cristiana dei primi tre secoli come "La Chiesa degli apostoli e dei martiri". Lo storico specifica: «Negli Acta Martyrorum il lettore viene colpito dall'evidenza di un coraggio così alto che, visto anche soltanto sul piano umano, pone queste decine di migliaia di vittime volontarie tra gli eroi di maggior rilievo che il mondo abba mai visto (...) testimonianza resa dall'uomo all'uomo, e che esprime tutto quanto c'é di meglio in lui» (Henry Daniel-Rops, The Church of Apostles and Martyrs, vol. I p.246).

Daniel-Rops spiega: «I martiri testimoniarono per Cristo in due modi: attraverso le loro parole, e con il loro sangue (...) C'é qualcosa di contagioso nell'eroismo (...) Niente unisce i sostenitori di una causa più saldamente del legame del sangue: questo è il sigillo che ha ratificato la Cristianità nascente». "Nel nostro secolo sono tornati i martiri" ci ricorda Giovanni Paolo II . C'è stato un sorprendente fiorire del dono del martirio in molte parti del mondo, ma forse in nessun luogo più che nei paesi dell'Europa orientale.

«Ecco, io vi dico, levate i vostri occhi, e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura». (Gv 4,35). Senza dubbio, in questo secolo, l'Europa dell'Est ha fornito un'abbondante messe di martiri. Ora la Chiesa deve confrontarsi con la gioiosa sfida di mietere questa profusione di doni, che non ha pari, se si eccettuano le persecuzioni dei primi tre secoli.

«E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semine e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro»(Gv 4, 36-38). Ora, gli attuali capi delle Chiese hanno l'onore ed il privilegio di raccogliere questo tesoro e condividerlo con le future generazioni.

Per la maggior parte del XX secolo i cristiani nell'Europa dell'Est hanno sofferto per mano di due spietati persecutori: il nazismo ed il comunismo. Nessuno di questi due sistemi totalitari aveva pianificato di assassinare dei cristiani, per farne dei martiri. L'intenzione era di ucciderne l'anima piuttosto che il corpo.

Analizzando una realtà storica come quella che è affiorata, bisogna tenere a mente diverse categorie e fare delle distinzioni: i martiri sensu strictu, i confessori della fede, ed i cristiani perseguitati. A volte le linee di demarcazione tra le categorie sono un po' sfumate.

Nel messaggio presentato a Lourdes il 14 agosto 1983, sui perseguitati a causa della fede, Giovanni Paolo II ha esaminato nel dettaglio le diverse categorie. Il Papa pone un'attenta cura alle varie forme e gradi di sofferenza o di condanna subita. Parla di coloro che hanno versato il loro sangue, ma fa anche attenzione alle forme di persecuzione meno violente ed eclatanti: i profughi cacciati dalla terra dei padri, coloro ai quali sono state tolte le libertà civili, chi ha subito forme di discriminazione sociale, come anche altre forme di sofferenza meno drammatiche. Queste persecuzioni hanno colpito trasversalmente tutte le classi sociali: non solo Vescovi e pastori, ma anche laici, giovani e vecchi.

Una significativa dimensione delle persecuzioni religiose nell'Europa dell'Est è l'ecumenismo dei gulag. Questa unica forma di ecumenismo è senza dubbio un grande frutto delle recenti persecuzioni. L'ecumenismo dei gulag ha giocato un ruolo importante per il riconoscimento delle chiese cattoliche orientali. Certamente, edificanti esempi di riconciliazione e condivisione avvenuti nei gulag meriterebbero di essere portati a conoscenza di più persone. Tali modelli potrebbero servire come esempi allo scopo di coltivare ulteriormente le relazioni ecumeniche.

«Gli uomini di oggi ascoltano più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascoltano i maestri, è perché sono testimoni» (Evangelii Nuntiandi, § 41). Noi viviamo nell'Era della comunicazione e della testimonianza personale. Molte persone, i credenti come i non credenti, non vogliono soltanto conoscere i martiri ed i confessori della fede, ma desiderano capirli. Perché loro e non altri? Cosa ha fornito loro delle motivazioni così forti?. In un epoca ove il significato dell'esistenza è divenuto così importante, l'esempio di coloro che hanno donato la propria vita per le loro stesse ragioni di vita offre un'irresistibile attrazione, specie dove, in mezzo all'edonismo ed al materialismo, il dubbio e l'ansia prevalgono.

La testimonianza della fede tra le persecuzioni merita davvero un'analisi più profonda. Non poche testimonianze di fede sono state ispirate da altri martiri o confessori. Il coraggio ispira coraggio e la testimonianza crea altre testimonianze.

Da un punto di vista umano i martiri ed i confessori della fede hanno trovato la loro fine nella morte. Essi sapevano che il risultato della loro testimonianza poteva essere soltanto la persecuzione, la prigionia, le sofferenze, il gulag e la morte. Nonostante ciò è il Vangelo, non la ragione umana, alla base dell'atteggiamento dei martiri. «Ascolta te stesso, perché essi ti consegneranno ai giudici; e sarai battuto nella sinagoga; e sarai condotto dinanzi a governatori e re per causa mia e per rendere testimonianza dinanzi a loro»(Lc 13,9). «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15, 18-19).

Sotto il comunismo nell'Europa dell'Est la persecuzione era la quotidiana e "normale" aspettativa della vita dei cristiani. Il martirio non era certo una sfida astratta, ma concreta. Si può dire che il martirio non fosse un tipo speciale di santità, ma costituisse la base di ogni santità. Naturalmente, il martirio è una grazia di Dio e nessuno può decidere semplicemente, da solo, di diventare un martire. Piuttosto, il martirio ci ricorda che la Croce non può essere eliminata dalla vita cristiana. Il martirio, come la Croce, è stato e rimane una prova decisiva. La recente esperienza della Chiesa indica che ogni ideologia umana - marxismo, liberalismo... - deve confrontarsi con la Croce. I martiri ed i confessori della fede nei giorni del comunismo hanno avuto il coraggio di farlo. La loro vittoria è un dono di Dio per ognuno di noi.

Benedette con un "gran numero di testimoni" tale da essere senza precedenti, le Chiese dell'Europa dell'Est sono invitate a valutare il fenomeno per riflettere su questa immensa grazia di Dio, e ad attingere ad esso per il loro arricchimento spirituale e per la santificazione dei fedeli. L'invito delle Scritture è chiaro: «Anche noi, dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12, 1-2)

I martiri sono considerati solitamente dei modelli, ma essi sono anche segni ed icone. E come tali essi meritano di essere capiti ed interpretati. Sono punto di riferimento e fonte di arricchimento spirituale. La nuova evangelizzazione ha bisogno più di santi che di progetti scientifici o di professionisti ben allenati. Il sangue dei martiri, "semen christianorum" è la sorgente da cui la Chiesa attinge per affrontare la sfida di rinnovare il mondo per mezzo del Vangelo.

I martiri hanno donato le loro vite. I confessori hanno dimostrato come vivere la fede ogni giorno. Tutti loro hanno indicato due modi di essere cristiani. Il sacrificio di ognuno di essi è seme per il presente e per il domani.

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