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Io e il Giubileo

Una tappa verso la salvezza
Arrigo Levi

I significati del Giubileo, e particolarmente di un Giubileo che coincide con la fine di un millennio, e con la fine di un secolo carico di tragedie come è Stato il Novecento, finiscono per essere legati, necessariamente, ad una prospettiva storica; anche se in verità l’anno del Giubileo potrebbe essere per ogni uomo l’occasione per una specie di incontro con se stessi, con la propria vita, con il proprio passato e il proprio futuro, alla luce di una prospettiva spirituale eccezionale: qualcosa di simile a una specie di “Kippur” giubilare, di grande esame di coscienza. Tuttavia, anche nell’originaria concezione ebraica, l’anno del Giubileo era il momento in cui la società faceva i conti con se stessa e si sforzava di ricostruire un ordine di giustizia e di pace e fraternità tra tutti gli uomini, ma per venire al Giubileo del 2000, e a una mia prospettiva personale, mi è accaduto, ed è stato per me molto importante, di essere coinvolto in una specie di esercizio spirituale inquadrato nella cosiddetta “Missione cittadina”, voluta da Sua Santità nella prospettiva appunto del Grande Giubileo. Mi riferisco agli incontri che si sono svolti, nell’anno pastorale 1996-97, per iniziativa del Cardinale Ruini, nella Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Si è trattato di tre incontri tra un “laico” e un alto prelato, che avevano per tema comune “la fede e la ricerca di Dio”. Al primo di questi incontri ho avuto l’onore di partecipare insieme con il Cardinale Biffi (i testi sono stati pubblicati sotto il titolo “Dialoghi in Cattedrale”, Ed. San Paolo 1997), e il tema che a noi in particolare era stato proposto “La fede oggi”.

Non posso che ricalcare, in risposta al cortese invito che mi è stato rivolto da “Tertium Millennium”, quello che fu allora il tema di fondo del mio intervento; che consistette principalmente nella tenace proposta, - da parte di un laico che ha una sua visione della storia di Dio, e che proclama la sua fede nell’uomo a dispetto di tutte le Tragedie della storia - di concepire la fede come l’impegno di lavorare insieme con altri uomini di fedi diverse, vicini o lontani, rispettandoli, vincendo la paura (“Non abbiate paura”, disse il Papa nel suo primo discorso dalla loggia centrale di San Pietro, riecheggiando il “non temere” del Dio consolatore di Isaia), e operando, ciascuna secondo le proprie forze e i propri principi, per la salvezza di tutti gli uomini: essendo la nostra un’epoca carica di pericoli, più di ogni altra, perché mai prima d’oggi l’uomo ha avuto la capacità di distruggere la civiltà e persino ogni traccia di vita umana sul pianeta Terra. Sono convinto che non ci sarà salvezza senza l’unione di tutti gli uomini non dico di buona volontà, che la buona volontà può non bastare, ma per l’appunto di fede. E penso che l’anno giubilare, concepito da Giovanni Paolo II come il momento per “ravvivare la fede nel contesto pluralistico” della città di Roma e del inondo d’oggi, possa segnare una tappa importante di questo difficile percorso verso la salvezza. 

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