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Il Convegno sull’attuazione del Concilio 

Una ricchezza per l’oggi della Chiesa

+ Rino Fisichella

Appare con evidente chiarezza dalle relazioni, che in questo trentennio la Chiesa ha maturato la domanda iniziale che era stata posta da Paolo VI: “Chi sei, tu Chiesa, e cosa dici di te stessa?”. E’ facilmente verificabile la consapevolezza ecclesiale di una nuova e più convinta vitalità dell’essere segno efficace della presenza di Dio in mezzo agli uomini. Dall’Europa all’Asia, dalle Americhe all’Africa i credenti hanno maturato il loro senso di Chiesa. Una lettura di questa dimensione appare ancora più chiara se si considerano i riferimenti che da più parti sono stati fatti ai diversi Sinodi. Non sarebbe possibile, infatti, una lettura coerente di questi anni in prospettiva dell’attuazione del Concilio, se non si focalizzasse l’attenzione sulle analisi e conclusioni emerse dai Sinodi. Se Ecclesia in Africa ha fatto conoscere in modo più efficace l’impegno che è necessario porre nella missio ad gentes, Ecclesia in America ha consentito di verificare quanto sia importante considerare le diverse forme di secolarizzazione per comprendere la crisi dell’Occidente, mentre Ecclesia in Asia conferma quanto il dialogo con le altre religioni meriti una più attenta considerazione, perché nulla di ciò che è da sempre patrimonio della fede vada perso. Queste considerazioni, complementari con le diverse tematiche che negli anni scorsi sono state oggetto di Sinodi ordinari, sfociando nei documenti pontifici quali Christifideles laici, Pastores dabo vobis e Vita consecrata, mostrano non solo l’esercizio della collegialità, ma in modo ancora più diretto l’attenzione posta dal Magistero a problematiche peculiari che sono conseguenza naturale dell’insegnamento conciliare. Su questo scenario è possibile raccogliere anche i molteplici interventi che avevano come tematica sia il rinnovamento teologico che la formazione sacerdotale. Il Vaticano II, che è stato definito “Il concilio della Chiesa”, ha certamente posto in atto il rinnovamento dei contenuti e delle metodologie della scientia fidei. Alla luce del riscoperto primato della Parola di Dio, come “anima della teologia” (DV 24), è possibile riportare nel suo insieme la ricerca teologica del postconcilio. L’avvio per una conoscenza sempre più coerente del testo sacro, comunque, non è stato accompagnata sempre dall’esigenza di avere una lettura che riportasse “all’unità di tutta la Scrittura tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede” (DV 12) come desiderato dai Padri conciliari per la considerazione del carattere ispirato della sacra Scrittura (DV 11).  La riscoperta del valore storico salvifico, che ha certamente determinato gli studi teologici, si affaccia ora all’individuazione di tematiche che vertono maggiormente a giustificare il senso della verità rivelata nella storia degli uomini. In questo senso, l’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Fides et ratio, è una chiara direzione del movimento che la teologia dovrebbe assumere nei prossimi anni se vuole rimanere nel solco tracciato dal Vaticano II. Di fronte alla difficoltà di un déplacement ancora in atto, che ha visto sorgere all’interno della teologia scelte importanti, ma non sempre coerenti con il corretto sapere della fede, viene rilevato come la ricerca teologica abbia necessità di recuperare lo spazio suo proprio. Attenta alle problematiche dell’inculturazione, essa deve comunque compiere lo sforzo per una maturazione che non sia un passivo subire del processo di globalizzazione in atto, ma il fermo intento di esprimere al meglio il senso e il valore originario della cattolicità. “Riaffermare la lieta novella della redenzione” La trasmissione della fede si pone oggi in un contesto del tutto peculiare che impone di considerare le nuove grandi sfide che al momento del Vaticano II non avevano ancora mostrato il loro vero volto. Il progressivo primato che sta assumendo la tecnologia con la conseguente formazione di una “cultura postmoderna”, che evidenzia nei suoi primi tratti negativi la frammentarietà del sapere e l’effimero della transitorietà propositiva, obbliga a trovare nuove vie perché anche oggi, in primo luogo ai credenti, vengano fornite le ragioni della fede. Perché questo avvenga, viene fatto notare, è necessario che i contenuti peculiari della cultura tradizionale dei diversi popoli venga conservata, attivata e trasmessa. Certamente il concilio, riconoscendo con Gaudium et spes l’autonomia delle realtà terrestri e il positivo valore della scienza, ha permesso che la Chiesa uscisse da un isolamento in cui era rinchiusa. L’evangelizzazione ha preso la strada dell’inserimento nei diversi ambiti del sapere e della vita delle persone. Superata la barriera di un blocco monoculturale, questi anni hanno permesso di verificare un crescente interesse per le culture, scoprendo il valore positivo che possiedono come mediazione dei contenuti della fede. Ne è derivato un rinnovamento nella catechesi che ha fatto proprio l’orizzonte esperienziale come luogo privilegiato per la comunicazione della fede. Ciò che sembra mancare è il passaggio dall’esperienza al fondamento che la sorregge perché la verità della fede sia sottratta alle possibili forme di soggettivismo. Un ulteriore aspetto emerge, ed è il grande movimento laicale, diventato protagonista in diversi ambiti ecclesiali. La profonda esperienza di apostolato vissuto dai laici nelle forme storiche dell’associazionismo, è stato rinvigorito in questi decenni per la presenza dei movimenti. Questi hanno favorito una maggiore comprensione per la presenza cristiana negli ambienti. Il loro processo di crescita è un elemento verificabile nella crescente partecipazione alla vita diocesana e parrocchiale, al dialogo con i Pastori e al riconoscimento canonico ottenuto dalla Sede Apostolica, tutti elementi che permettono di parlare di un cammino di comunione in crescendo. La prospettiva che si apre per tutti viene individuata proprio nell’unità vissuta tra i credenti come segno della credibilità della fede. E’ a partire da questa ultima considerazione che bisogna inserire il tema dell’ecumenismo. Come più volte ha ricordato il Santo Padre, esso è un “cammino irreversibile” posto in atto dal concilio e ha come suo scopo l’unità di tutti i credenti in Cristo perché il mondo creda. Le comunicazioni hanno permesso di verificare sia l’ambito delle relazioni con le Chiese ortodosse sia con le differenti Confessioni evangeliche. Nell’uno come nell’altro ambito viene fatto rilevare il cammino comune compiuto in questi anni. Si sottolinea come gli incontri bilaterali tra commissioni di teologi meritano di essere continuati perché hanno permesso di raggiungere momenti importanti di consenso su alcune questioni controverse. La firma il 31 ottobre 1999 della Dichiarazione congiunta circa la dottrina della Giustificazione non è che l’ultimo passaggio di una progressiva maturazione nelle reciproche relazioni. Se qualcuno fa notare che il movimento ecumenico è dinanzi a una battuta d’arresto o a una pausa di riflessione, altri invece preferiscono sottolineare come i segni del dialogo siano ancora verificabili nelle coraggiose domande poste di recente dall’enciclica Ut unum sint, particolarmente riguardo il primato pietrino. Certamente, su questo tema come pure sulla comprensione della Chiesa vista nella sua unicità, i nodi sono ancora stretti e difficili da sciogliere.  Il richiamo fatto perché si dia maggior spazio a una riflessione pneumatologica ed escatologica sembra del tutto pertinente per favorire ulteriori strade che permettano di vedere attuato il progetto iniziale di Cristo per tutti i suoi discepoli.

Conclusione

Quale attuazione ha avuto il Concilio? Le relazioni maggiori hanno permesso di aprire un spiraglio su una serie di problematiche ancora aperte. Compito di questa sintesi era quello di mostrare l’emergere di diverse tematiche che non sono il corollario del concilio, ma esprimono più a fondo la concretezza della vita delle Chiese, le loro aspirazioni come le loro difficoltà, i fraintendimenti che si sono sovrapposti insieme con gli abusi che non mancano mai nei momenti di cambiamento, le tappe raggiunte come il traguardo che non appare ancora vicino. Alla luce degli interventi ritengo che il presente Convegno possa costituire concretamente un nevralgico punto di arrivo per una rivisitazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Le competenze che qui sono state riportate, la diversità delle provenienze come la testimonianza diretta di quanti hanno vissuto il Concilio e ora lo rivedono con lo sguardo ancora più attento, permette di considerare questo momento come un osservatorio privilegiato per ogni successiva analisi del Vaticano II. Sarà difficile nel futuro prescindere da quanto qui è stato prodotto. Rimane un compito gravoso, ma decisivo che non può essere dilazionato: fare conoscere ai giovani la ricchezza del Vaticano II. L’insegnamento del concilio è stato pensato per loro e a loro è destinato. Non è un caso che l’ultimo messaggio che i Padri conciliari dedicarono nell’indimenticabile 8 dicembre del 1965 fosse dedicato ai giovani: “Siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia… La Chiesa durante quattro anni ha lavorato per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere al disegno del suo Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente “revisione di vita” essa si volge a voi: è per voi giovani, soprattutto per voi, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l’avvenire, il vostro avvenire”.

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