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Concilio e Giubileo

Dialogo, discernimento e testimonianza

+ Angelo Scola

L’intento dialogico dei Padri conciliari, che trovò nei temi dell’antropologia cristocentrica e dell’indole pastorale le sue espressioni più significative, ma che non incontrò adeguata attuazione nel testo della Costituzione, appare oggi in fase di realizzazione, sia pur con le inevitabili oscillazioni sempre connesse alla crescita dell’autocoscienza ecclesiale. La Chiesa, che si fa presente tra gli uomini attraverso i diversi soggetti ecclesiali, si attesta come sacramento efficace dell’evento di Cristo che interpella la libertà dell’uomo e della famiglia umana. Parlando meno di se stessa e lasciando trasparire Gesù Cristo sul suo volto, essa di documenta come Ecclesia de Trinitare che si spende concretamente nel martirio della carità a partire dai più poveri. Il dialogo si identifica così, in senso proprio, con la reale comunicazione dell’identità del cristiano che si propone, in prima persona, come segno (sacramentale) di Gesù Cristo, cuore del mondo, attraverso la Chiesa, forma mundi. Gesù Cristo, verità vivente e personale. Egli è “la vera luce, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).  L’ossequio, inesorabilmente esigito dalla verità, non violenta mai la libertà perché, come ci hanno mostrato i monaci di Tibherine, comunicare la verità implica disporsi, in ultima analisi, al martirio, la cui forza il Padre può donare anche ai deboli e agli inermi. I no della Chiesa in campo morale, così come il discernimento implicato in ogni autentico dialogo, in realtà, sono l’espressione positiva di questo atteggiamento di offerta totale di sé. Svelano il primato della testimonianza sulla critica o, meglio, denunciano come ultimamente non convincente una critica che non sia testimoniale. Senza inutili enfasi si può dire che con Gaudium et spes il Concilio Vaticano II ha messo in moto un novum nella vita della Chiesa. Soprattutto dopo l’85, questa novità incomincia a dare i suoi frutti, anche se ancora attende di essere pienamente dispiegata. La recezione di Gaudium et spes e del Concilio, inevitabilmente connessa alla sua applicazione, che a sua volta dipende da una corretta ermeneutica, è tuttora in atto. Si possono indicare i titoli di tre criteri fondamentali che sembra opportuno prendere in considerazione per assecondare questo processo. Anzitutto si dovranno considerare e studiare, in modo unitario, organico ed articolato le quattro Costituzioni conciliari. Emergerà così sempre più chiaramente il fatto che l’aver definito e, soprattutto, continuare a definire, il Vaticano II come concilio ecclesiologico è perlomeno restrittivo. Anzi può essere stato fattore di rallentamento della sua recezione. In secondo luogo occorre leggere ed interpretare il Concilio alla luce dell’imponente magistero di Giovanni XXIII, di Paolo VI e, soprattutto, di Gio-vanni Paolo II, senza trascurare il significato misterioso e fecondo del ministero petrino di Giovanni Paolo I. Né si potrà ignorare il magistero episcopale nelle sue forme personali e collegiali. Se non altro perché il magistero di papi e di vescovi, dopo il Vaticano II, si propone per lo più esplicitamente e programmaticamente con l’intento di favorire l’attuazione del Concilio offrendone l’autentica interpretazione. Infine non ci sarà compiuta recezione del Vaticano II se essa non si effettuerà in ogni Chiesa particolare. Essa infatti, immagine della Chiesa universale, rende concretamente accessibile la misericordiosa potenza salvifica di Gesù Cristo consegnandola alla libertà situata di uomini e popoli. 

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