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Memoria e riconciliazione: documento della Commissione Teologica

La Chiesa e le colpe del passato

L’Introduzione spiega le ragioni per cui è stato elaborato il testo. Nella Bolla di indizione dell’Anno Santo del 2000 Incarnationis mysterium (al n. 11), e già prima nella Tertio Millennio Adveniente (al n. 33), il Papa ha invitato i cristiani alla purificazione della memoria, chiedendo loro di “farsi carico, davanti a Dio e agli uomini offesi dai loro comportamenti, delle mancanze da loro commesse”, anche nel passato, aggiungendo: “Lo facciano senza nulla chiedere in cambio, forti solo dell’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori. Le richieste di perdono fatte dal Vescovo di Roma in questo spirito hanno suscitato reazioni diverse: se molti hanno sottolineato l’accresciuta credibilità dei pronunciamenti ecclesiali conseguente a questo comportamento, non sono mancate alcune riserve, espressione soprattutto del disagio legato a particolari contesti storici e culturali, nei quali la semplice ammissione di colpe commesse dai figli della Chiesa può assumere il significato di un cedimento di fronte alle accuse di chi è pregiudizialmente ostile ad essa. Fra consenso e disagio, si avverte il bisogno di una riflessione, che chiarisca le ragioni, le condizioni e l’esatta configurazione delle richieste di perdono relative alle colpe del passato. Di questo bisogno ha inteso farsi carico la Commissione Teologica Internazionale: scopo del testo da essa elaborato non è, pertanto, quello di prendere in esame casi storici particolari, ma di chiarire i presupposti che rendano fondato il pentimento relativo a colpe passate.

1 - Il problema: ieri e oggi

Il Giubileo è stato sempre vissuto nella Chiesa come un’occasione privilegiata di penitenza e di riconciliazione per i peccati presenti nella vita del popolo di Dio. Tuttavia, in nessuno dei giubilei celebrati finora c’è stata una presa di coscienza di eventuali colpe del passato della Chiesa, né del bisogno di domandare perdono a Dio per comportamenti del passato prossimo o remoto. È anzi nell’intera storia della Chiesa che non si incontrano precedenti di richieste di perdono relative a colpe del passato, che siano state formulate dal Magistero, con la sola eccezione di Adriano VI che riconobbe apertamente, in un messaggio alla Dieta di Norimberga del 25 novembre 1522, “gli abomini, gli abusi [...] e le prevaricazioni” di cui si era resa colpevole “la corte romana” del suo tempo, e di Paolo VI, che nel discorso di apertura della seconda sessione del Concilio volle domandare “perdono a Dio [...] e ai fratelli separati” d’Oriente che si sentissero offesi “da noi” (Chiesa cattolica), dichiarandosi pronto, da parte sua, a perdonare le offese ricevute. Il Vaticano II si pone nella stessa prospettiva di Paolo VI: oltre le colpe contro l’unità, il Concilio segnala altri episodi negativi del passato, in cui i cristiani hanno avuto una responsabilità (come ad esempio l’antisemitismo). Il Concilio tuttavia non associa una richiesta di perdono ai fatti citati.

2. Approccio biblico

Confessioni di peccati e richieste di perdono si trovano in tutta la Bibbia, anche a nome di tutto il popolo e riguardo a colpe passate. Citando la splendida preghiera di Azaria “Benedetto sei tu, Signore, Dio dei nostri padri [...] noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da Te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti” (Dn 3,26.29) - Giovanni Paolo II ha potuto affermare: “Così pregavano gli Ebrei dopo l’esilio (cf. anche Bar 2,11-13), facendosi carico delle colpe commesse dai loro padri. La Chiesa imita il loro esempio e chiede perdono per le colpe anche storiche dei suoi figli” (Discorso del 1 Settembre 1999, in L’Osservatore Romano, 2 Settembre 1999, 4). Nel Nuovo Testamento non v’è alcun indizio che la Chiesa delle origini abbia rivolto la sua attenzione ai peccati del passato per chiedere perdono. Ciò può spiegarsi con la forte consapevolezza della novità cristiana, che proietta la comunità piuttosto verso il futuro che verso il passato. Se non c’è alcun richiamo a confessare colpe del passato, è però molto significativo il riconoscimento della realtà del peccato e del male anche all’interno del popolo chiamato all’esistenza escatologica propria della condizione cristiana. L’appello rivolto da Giovanni Paolo II alla Chiesa perché caratterizzi l’anno giubilare con un’ammissione di tutte le colpe di cui i suoi figli sono stati responsabili nel passato, così come la prassi ad esso congiunta, non trovano dunque un riscontro univoco nella testimonianza biblica. Tuttavia, essi si basano su quanto la Sacra Scrittura afferma riguardo alla santità di Dio, alla solidarietà intergenerazionale del Suo popolo e al riconoscimento del suo essere peccatore. L’appello del Papa coglie inoltre correttamente lo spirito del Giubileo biblico, che richiede che siano compiuti atti volti a ristabilire l’ordine dell’originario disegno di Dio sulla creazione. Ciò esige che la proclamazione dell’ “oggi” del Giubileo, iniziato da Gesù (cf. Lc 4,21), sia continuata nella celebrazione giubilare della Sua Chiesa.

3. Fondamenti teologici

Appartiene alla più profonda autocoscienza ecclesiale nel tempo il convincimento che la Chiesa non sia solo una comunità di eletti, ma comprenda nel suo seno giusti e peccatori del presente, come del passato, nell’unità del mistero, che la costituisce. Nella grazia, infatti, come nella ferita del peccato, i battezzati di oggi sono vicini e solidali a quelli di ieri davanti all’Eterno. Perciò si può dire che la Chiesa - una nel tempo e nello spazio in Cristo e nello Spirito - è veramente “santa insieme e sempre bisognosa di purificazione” (Lumen Gentium. 8). La Chiesa si presenta insomma come un soggetto assolutamente unico nella vicenda umana, tale da potersi far carico dei doni, dei meriti e delle colpe dei suoi figli di oggi, come di quelli di ieri. Santa perché resa tale da Cristo e dal Suo Spirito, a causa della presenza del peccato nei suoi figli la Chiesa ha bisogno di un continuo rinnovamento e di una costante conversione: come vera Madre – secondo la metafora cara ai Padri - non potrà non essere ferita dal peccato dei suoi figli di oggi, come di ieri, continuando sempre ad amarli, al punto da farsi carico in ogni tempo del peso prodotto dalle loro colpe. Perciò, la Chiesa santa avverte il dovere “di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza” (TMA 35). Ciò può essere fatto in modo particolare da chi per carisma e ministero esprime nella forma più densa la comunione del popolo di Dio: a nome delle Chiese locali potranno dar voce alle eventuali confessioni di colpa e richieste di perdono i rispettivi Pastori; a nome della Chiesa intera, una nel tempo e nello spazio, potrà pronunciarsi Colui che esercita il ministero universale di unità, il Vescovo della Chiesa “che presiede nell’amore”, il Papa.

4. Giudizio storico e giudizio teologico

L’individuazione delle colpe del passato di cui fare ammenda implica anzitutto un corretto giudizio storico, che sia alla base anche della valutazione teologica. Ci si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? che cosa è stato propriamente detto e fatto? Solo quando a questi interrogativi sarà stata data una risposta adeguata ci si potrà anche chiedere se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto dai figli della Chiesa può essere interpretato come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo fosse, se quanti hanno agito così avrebbero potuto rendersene conto a partire dal contesto in cui operavano. Unicamente quando si perviene alla certezza morale che quanto è stato fatto contro il Vangelo da alcuni figli della Chiesa ed a suo nome avrebbe potuto essere compreso da essi come tale ed evitato, può aver significato per la Chiesa di oggi fare ammenda di colpe del passato. Il rapporto tra “giudizio storico” e “giudizio teologico” risulta dunque tanto complesso, quanto necessario e determinante: il giudizio storico da solo non basta, perché può giustificare ogni cosa (“tout comprendre pour tout justifier”!).

5. Discernimento etico

Sul piano morale, la richiesta di perdono presuppone sempre un’ammissione di responsabilità, e precisamente della responsabilità relativa a una colpa commessa contro altri. La responsabilità può essere oggettiva o soggettiva: la prima si riferisce al valore morale dell’atto in se stesso in quanto buono o cattivo, e dunque all’imputabilità dell’azione; la seconda riguarda l’effettiva percezione da parte della coscienza individuale della bontà o malizia dell’atto compiuto. La responsabilità soggettiva cessa con la morte di chi ha compiuto l’atto: la sola responsabilità in grado di continuare nella storia può essere quella di tipo oggettivo, alla quale si può sempre liberamente aderire o meno soggettivamente. In tale contesto si può parlare di una solidarietà che unisce il passato e il presente in un rapporto di reciprocità. In certe situazioni il peso che grava sulla coscienza può essere così pesante da costituire una sorta di memoria morale e religiosa del male fatto, che è per sua natura una memoria comune: essa testimonia in modo eloquente della solidarietà obiettivamente esistente fra coloro che hanno fatto il male nel passato e i loro eredi nel presente. È allora che diviene possibile parlare di una responsabilità collettiva oggettiva. Dal peso di una tale responsabilità ci si libera anzitutto implorando il perdono di Dio per le colpe del passato, e quindi, dove è il caso, attraverso la “purificazione della memoria”: purificare la memoria significa eliminare dalla coscienza personale e collettiva tutte le forme di risentimento o di violenza che l’eredità del passato vi avesse lasciato, sulla base di un nuovo e rigoroso giudizio storico-teologico, che fonda un conseguente, rinnovato comportamento morale. Gli esempi elencati dal Documento si riferiscono alla divisione dei cristiani, all’uso di metodi impropri ( come la violenza) al servizio della verità, al rapporto fra cristiani ad ebrei, alla responsabilità dei credenti per i mali di ieri e di oggi (controtestimonianza e scandalo, spesso legati a omissioni).

6. Prospettive pastorali e missionarie

Fra le molteplici finalità pastorali del riconoscimento delle colpe del passato vengono evidenziate la promozione del perenne rinnovamento del popolo di Dio, la testimonianza al Dio della misericordia e alla Sua Verità che libera e salva, e il servizio che in tal modo la Chiesa svolge nei confronti dell’umanità per contribuire a superare i mali del presente. Si evidenzia inoltre l’urgenza di tener conto dei processi diversificati di recezione degli atti di pentimento ecclesiale in rapporto ai contesti religiosi, culturali, politici, sociali ecc. Si invita a valutare il rapporto fra benefici spirituali e possibili costi di simili atti, anche tenendo conto delle accentuazioni indebite che i “media” possono dare ad alcuni aspetti dei pronunciamenti ecclesiali. In particolare, si domanda di prestare attenzione alla storia, all’identità e ai contesti delle Chiese orientali e delle Chiese che operano in continenti o paesi dove la presenza cristiana è largamente minoritaria. Si precisa poi l’opportunità di determinare il soggetto adeguato chiamato a pronunciarsi in relazione a colpe passate, oltre che il destinata-rio, che è in primo luogo e sempre Dio. Eventuali destinatari umani, soprattutto se collettivi, all’interno o fuori della comunità ecclesiale, vanno individuati con opportuno discernimento storico e teologico, sia per compiere convenienti atti di riparazione, che per testimoniare ad essi la buona volontà e l’amore alla verità dei figli della Chiesa. Gli eventuali gesti di riparazione vanno legati al riconoscimento di una responsabilità perdurante nel tempo e potranno tanto avere un carattere simbolico-profetico, quanto un valore di effettiva riconciliazione (ad esempio fra i cristiani divisi). Sul piano pedagogico è opportuno evitare di perpetuare immagini negative dell’altro, come pure di attivare processi di indebita autocolpevolizzazione, sottolineando come il farsi carico di colpe passate sia per chi crede una sorta di partecipazione al mistero di Cristo crocefisso e risorto, che si è fatto carico delle colpe di tutti. Sul piano missionario occorre evitare che simili atti contribuiscano a inibire lo slancio dell’evangelizzazione mediante l’esasperazione degli aspetti negativi. Non di meno si deve tener conto del fatto che questi stessi atti potranno far crescere la credibilità del messaggio, in quanto nascono dall’obbedienza alla verità e tendono a produrre frutti di riconciliazione. Sul piano ecumenico si sottolinea che la finalità di eventuali atti ecclesiali di pentimento non può che essere l’unità voluta dal Signore. In questa prospettiva è quanto mai auspicabile che essi si compiano nella reciprocità, anche se a volte gesti profetici potranno richiedere una iniziativa unilaterale e assolutamente gratuita. Sul piano interreligioso è opportuno rilevare come per i credenti in Cristo il riconoscimento delle colpe passate da parte della Chiesa sia conforme alle esigenze della fedeltà al Vangelo e dunque costituisca una testimonianza luminosa della loro fede nella verità e nella misericordia del Dio rivelato da Gesù. Ciò che va evitato è che simili atti siano equivocati come conferme di eventuali pregiudizi nei confronti del cristianesimo. Nel dialogo con le culture vanno anzitutto tenute presenti la complessità e la pluralità delle mentalità con cui si dialoga riguardo all’idea di pentimento e di perdono. In rapporto alla società civile, infine, va considerata la differenza che esiste fra la Chiesa mistero di grazia e una qualunque società temporale, ma va anche non di meno sottolineato il carattere di esemplarità che la richiesta ecclesiale di perdono può presentare ed il conseguente stimolo che può offrire a compiere analoghi passi di purificazione della memoria e di riconciliazione nelle più diverse situazioni in cui potrebbe esserne riconosciuta l’urgenza.

Conclusione
La conclusione mette in risalto come in tutte le forme di pentimento per le colpe del passato ed in ciascuno dei gesti ad esse connessi la Chiesa si rivolga anzitutto a Dio e intenda glorificare Lui e la Sua misericordia. Agendo in tal modo, la Chiesa testimonia anche la sua fiducia nella forza della Verità, che rende liberi (cf. Gv 8,32): la sua “domanda di perdono non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità. Essa risponde invece a un’irrinunciabile esigenza di verità, che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle varie generazioni dei discepoli di Cristo” (Giovanni Paolo II, Discorso del 1 Settembre 1999). Anche per la Sua responsabilità verso la Verità la Chiesa “non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi. Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e di coraggio” (TMA. 33) Esso schiude per tutti un nuovo domani.
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