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Giubileo degli artisti

Testimonianze

L’artista e la musica per aprire al  divino

Ennio Morricone - Compositore

Nel suo fortunato saggio del 1905 sulla figura di Johan Sebastian Bach, il musicista, musicologo e missionario francese Albert Schweitzer riporta le parole con cui il sommo compositore tedesco era solito apostrofare i suoi allievi che si accostavano alla difficile pratica del basso continuo: “Si dovrebbe produrre un’armonia eufonica per la gloria di Dio e per il possibile diletto della mente – sosteneva Bach –: e come per tutta la musica, il suo finis e la sua ragione ultima non dovrebbero mai essere altro che la gloria di Dio e la ricreazione della mente. Se non si bada a questo, in verità non c’è musica, ma solo grida e strepito ”. Spostandoci radicalmente d’epoca e di scenario culturale, nel saggio Lo Spirituale nell’arte il pittore Vassily Kandinsky, estimatore e collaboratore artistico di Arnold Schönberg, formula punti di vista di notevole interesse e pertinenza, che ben si collegano a quanto vengo esponendo. Cito: “I periodi in cui l’arte non ha grandi uomini, in cui manca il pane metaforico, sono periodi di decadenza spirituale. ( ... ) In queste epoche silenziose e cieche gli uomini danno importanza solo al successo esteriore si preoccupano unicamente dei beni materiali, e salutano come una grande impresa il progresso tecnico, che giova e può giovare solo al corpo. Le energie spirituali vengono sottovalutate, se non ignorate. I pochi che hanno ideali e senso critico sono scherniti o considerati anormali. Le rare anime che non sanno restare avvolte nel sonno e sentono un oscuro desiderio di spiritualità., di conoscenza e di progresso, infondono una nota di tristezza e di rimpianto nel grossolano coro materiale”. In tutta coscienza non mi sembra ci sia molto da aggiungere ad una diagnosi così impietosa ma attendibile, se non che venne formulata - merita ricordarlo - quasi un secolo fa, in quella che Kandinsky stesso si augurava fosse la vigilia di un’epoca di nuova spiritualità, ma il cui avvento salvifico non arrivò mai a compiersi, lasciando. anzi campo libero ad un Nove-cento funesto e materialista come neppure i secoli più bui della nostra storia. Se dunque quelle parole profetiche restano ancora oggi lontane da una soluzione - se non utopiche - rivelando una attualità ed una verità sbalorditive, è opportuno che tutti noi ci si interroghi sul ruolo che i mezzi espressivi affidati a ciascuno hanno sin qui esercitato, e su come tale ruolo abbiamo svolto per parte nostra e dove individualmente possiamo aver fallito. Sotto il profilo privato, ogniqualvolta le condizioni oggettive me lo hanno consentito ho cercato di permeare la mia scrittura musicale -autonoma o eteronoma non fa differenza - di una religiosità segreta ma palpabile e di un senso del divino che mi auguro traspaiano e siglino con nitidezza quei miei esiti espressivi. Per il Cantico del Giubileo, che ho recentemente portato a compimento, la sfida, tanto in termini musicali che di testo poetico, era quella di una intelligibilità e di un ecumenismo commisurati all’ampiezza e solennità dell’evento giubilare. Mi sembra che la struttura stessa del pezzo, dove un articolato inciso dal rimandi multietnici è incorniciato tra un incipit e una conclusione ambedue di cantabilità distesa e popolare, dichiari con sufficiente evidenza che la sfida è stata raccolta, tanto da me che da quanti hanno partecipato alla realizzazione del pezzo.

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