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Dal seme della conversione può nascere la Pace

Mario Luzi

La Terra Santa è il luogo dello Spirito e del Sacro, dell’incontro delle tre grandi tradizioni religiose monoteiste di Gesù, di Maometto e di Mosè. Ma è anche il luogo dello scontro tra le culture, le etnie e gli stati che ad esse si sono ispirate, spesso tradendone il messaggio di pacificazione e di fraternità con la violenza dei nazionalismi. Il Papa vi è giunto da pellegrino, seguendo le orme del Cristo e le tracce della sua incarnazione, missione, passione e risurrezione.  Il suo viaggio non poteva, perciò, porsi obiettivi politici. Nemmeno quelli, nobilissimi ma forse tuttora illusori, di tentare di ridurre i contrasti tra le parti. Tuttavia la forza del messaggio d’amore del Vangelo, che Giovanni Paolo II ha riproposto in ogni tappa, non poteva non farsi segno profetico di armonia, di pace e di perdono. Ed avere quindi, in un certo senso, pure un valore politico, nel significato più alto della parola. Espresso, però, senza fare politica. Prevedevo, infatti, che l’unica politica che il Papa potesse fare durante il suo viaggio in Terra Santa sarebbe stata la scelta di non farne. Così è stato e Giovanni Paolo II ha avuto ragione: incontrando tutti, amando tutti e ponendo in primo piano per tutti - cristiani, ebrei e musulmani - il bisogno di conversione, il Papa ha oltrepassato le logiche della ragione e del torto, presentando l’unica possibile strada verso la pacificazione dei popoli, quella della buona fede, della solidarietà e dell’amore. Per arrivarci, non c’è altro mezzo che la conversione. Una conversione all’amore che riguarda tutti: religioni, popoli e governi di questo nuovo millennio. Una conversione non facile, certamente, ma una conversione il cui seme mi sembra sia stato gettato proprio dal Papa, con questo viaggio. Nel quale ha dimostrato che, comunque, il dialogo - con chi crede, con chi crede in maniera diversa e con chi crede di non credere - è sempre possibile, come è sempre possibile la pace.

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