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  Terra Santa: Pasqua con il successore di Pietro

M. Anna Maria Cànopi OSB

Desiderando ardentemente presentare al Cristo, in questo anno giubilare, una Chiesa ringiovanita nello spirito, una Sposa tutta bella, senza ruga ne macchia, il successore di Pietro ha voluto farsi con essa e per essa pellegrino ed è salito a Gerusalemme con cuore umile e penitente, ricolmo di amore e compassione per tutti, pronto a chiedere e a dare perdono. Come non pensare a Gesù e ai suoi discepoli?“Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti ... ” (Mc 10,32). Quello che avveniva 2000 anni fa si è in certo modo verificato ancora nei nostri giorni nella persona di papa Giovanni Paolo 11. In lui Gesù è salito di nuovo a Gerusalemme camminando davanti a tutti con grande fermezza, nonostante l’età e la fragilità del suo corpo, un tempo da atleta e ora ridotto come una grande quercia ripetutamente percossa dalle intemperie. Con lui - visibile o invisibile - tutta la Chiesa è salita a Gerusalemme, anticipando la Pasqua, quasi a significare che 1`ora” della riconciliazione urge e non bisogna frapporvi indugi. “Accompagnatemi con la preghiera ... ”, aveva chiesto umilmente il Santo Padre prima di partire, anch’egli consapevole - come Gesù - che a Gerusalemme non andava per raccogliere trionfi, ma per consumarvi il suo sacrificio. E certamente vi furono anche per lui notti di Getsemani in cui sentiva su di sé il peso immane delle incomprensioni, delle divisioni e delle ostilità degli uomini e dei popoli tra di loro, non solo di quelli della terra d’Israele, ma di tutti i continenti. A partire dal monte Nebo, da cui il bianco pellegrino contemplò non soltanto - come un giorno Mosè - la distesa della terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza, ma quella in cui Cristo volle introdurre tutta l’umanità aprendole la via con la sua croce. Poi presso le acque del Giordano, un suggestivo richiamo alle acque battesimali che cantano nella liturgia della veglia pasquale il passaggio di noi tutti dalla morte alla vita nuova. E poi a Betlemme, dove sembrava che ancora si sentisse nell’aria il respiro e il vagito del Dio-Bambino. Solo un uomo che ha raggiunto la maturità dell’infanzia del regno dei cieli poteva gustare la fragranza di quel luogo... Ma la grotta di quella divina spogliazione lo rimandava ad un vicino luogo di umana povertà: il campo dei profughi palestinesi. Struggimento di partecipazione nell’impotenza... E da Betlemme, “casa del pane” dato ai poveri, a Gerusalemme, nome di pace che sembra svuotato della sua realtà... Eppure là tutto per Giovanni Paolo II è andato oltre le aspettative. Gerusalemme, Gerusalemme..., città del Santo, gioia di tutta la terra... Qui il cuore del “pellegrino” traboccante di amore cantò e pianse come Gesù con accenti ineffabili. Nel ricordo, subito dopo il ritorno a Roma, ancora gli sgorgano parole piene di commosso stupore: “Grande è il mistero di questa città, in cui la “pienezza del tempo” si è fatta, per così dire, “pienezza di spazio”. Gerusalemme, infatti, ha “ospitato” l’avvenimento centrale e culminante della storia della salvezza: il mistero pasquale di Cristo... Poteva forse il Santo Padre trattenersi dal gridare a tutta la Chiesa, a tutti gli uomini: “Cristo, nostra Pasqua è risorto!”? La S. Messa nel Cenacolo (straordinario privilegio!), la sosta tra gli ulivi del Getsemani, sul Calvario e nel luogo del Santo Sepolcro hanno fatto rivivere a tutta la Chiesa - resa là presente dal cuore del Santo Padre - la più grande tragedia della storia, ma anche il più grande trionfo della Vita. Con tutta la forza della sua fede il Papa ha ancora una volta annunziato che Cristo crocifisso e risorto è la salvezza del mondo. Ed è proprio con questo grido di fede nel cuore che è entrato, umile, silenzioso nel buio dello Jod Vashem, nel Memoriale dell’Olocausto degli ebrei, per annunziarlo anche a coloro che sono stati, nella nostra epoca, la carne di Cristo nuovamente immolata... Ma il sorriso più carico di speranza l’abbiamo visto sul volto di ‘Tietro vecchio e malato” quando, in Galilea, ha potuto contemplare il Monte delle Beatitudini tutto fiorito di giovinezza. Consegnando ai giovani provenienti da tutto il mondo la vera legge di vita, i Comandamenti di Dio e le Beatitudini evangeliche, Giovanni Paolo Il è tornato a proclamare che il Cristo risorto è la speranza per il futuro della Chiesa e del mondo. Chi più dei giovani poteva esprimere insieme con il Papa la novità della Risurrezione e l’entusiasmo per Cristo presente all’umanità, ieri, oggi, e nei secoli? Eppure anche in quel canto di gioia si percepiva una nota rotta dal pianto per tanta giovinezza bruciata, distrutta dagli strumenti di morte ad essa offerti dalla società dei consumi, sprezzante dei veri valori della vita. Passare dal Monte delle Beatitudini a Tabga per rivedere con lo sguardo dell’anima il miracolo della moltiplicazione dei pani e a Cafarnao, quasi per ritrovare il pescatore Pietro reso pescatore di uomini, è stato un entrare sempre più nel cuore della Galilea, la “patria di Maria, dei primi discepoli, della Chiesa missionaria tra le genti”, prima di andare a Nazareth, “quasi risalendo alle sorgenti del mistero della fede”. Lì Maria lo aspettava per dargli la conferma della sua predilezione e della sua materna, provvidente presenza in ogni istante della sua vita al servizio della Chiesa. Inginocchiato in assorta preghiera nel luogo dell’Annunzio, il Papa pellegrino ha veramente ascoltato “in silenzio adorante il sì pieno di amore di Dio all’uomo, l’amen del Figlio eterno che apre a ogni uomo la via della salvezza”; l’ha ascoltato sintonizzandosi pienamente con esso per tutta la Chiesa, per ciascuno di noi. E per tutti noi, quale figlio di Abramo nella fede, non ha voluto lasciare la terra di Gesù senza fare una breve sosta anche presso il “Muro del pianto”, simbolo, si può forse dire, di quel muro di divisione che deve ancora crollare perché tutti i credenti nel Dio dei padri si riconoscano fratelli rigenerati nel sangue di Cristo Gesù, l’Agnello pasquale immolato fuori della porta di Gerusalemme, per poter radunare tutti i figli di Dio dispersi e introdurli nella luce gioiosa della Pasqua eterna. Dopo due millenni di storia cristiana, questa “Pasqua” di terreno pellegrinaggio celebrata dal successore di Pietro a Gerusalemme ha certamente messo nel cuore della Chiesa e di molti credenti nel Dio di Abramo una forza d’amore capace di spostare tutti i confini tra i popoli, di fare del “Muro del pianto” un luogo d’incontro nella pace. Ma perché giunga quell’ora, bisogna continuare a pregare. E ancora l’invito che ci rivolge il Santo Padre tornato dal suo-nostro pellegrinaggio in Terra Santa.

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