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Dalla Terra di Gesù un messaggio vivo per l’uomo d’oggi

Angelo Scelzo

Il Papa in Terra Santa nell’anno del Grande Giubileo del 2000 e al culmine di un viaggio spirituale lungo l’itinerario della storia della salvezza, dal Monte Sinai a Monte Nebo, sulle orme di Abramo e di Mosè: che altro aggiungere a questo che – già da sola – più che una notizia è un capitolo di fede? Chi ha avuto il privilegio di vivere da vicino quei giorni ha avuto subito la sensazione di non dover attendere che una cronaca in corso avesse bisogno di altro tempo per trasformarsi in storia corrente; ed è stata un’emozione del tutto nuova e particolare. Ogni passo di Giovanni Paolo II nei luoghi del Vangelo, nella terra del Vangelo è parso davvero un passo avanti di tutta l’umanità nei territori sempre più vasti e aperti del proprio futuro. Nel passaggio da un millennio all’altro, niente più del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II è riuscito a essere segno concreto di un tempo nuovo. Quando la storia cammina sotto i tuoi occhi o non fai in tempo ad accorgertene o ne resti folgorato: l’onda dei commenti, che ha accompagnato e poi seguito i giorni del viaggio, ha innanzitutto dimostrato che anche in questo secolo breve, che sembra aver già  visto tutto e dove tutto sembra già avvenuto, esistono ancora spazi per lo stupore ed è ancora viva la sensibilità per non lasciarsi sfuggire i momenti che contano. Il Successore di Pietro ha dovuto attendere 22 anni prima di ritornare nella terra di Pietro. Ma anche quest’attesa entra a suo modo nella misteriosa e provvidenziale regia di un pellegrinaggio, che è allo stesso tempo punto di arrivo, ma anche punto di partenza di tutti gli altri. Prima di essere meta del pellegrinaggio, i luoghi dove tutto ha avuto inizio hanno fatto spirituale compagnia al  Papa in ogni alto viaggio, in tutti i punti dove è andato a consegnare agli uomini l’inesausta ansia dell’annuncio di Cristo. Mai si è parlato tanto di  pellegrinaggio, ma vien da chiedersi, ora, se sarà mai possibile che retroceda dai titoli dell’attualità un evento che è parso subito come una mirabile sintesi di tutto un pontificato. Con  il Vangelo nella mano e nel cuore, Giovanni Paolo II ha fatto del cammino della Chiesa nel mondo un ininterrotto pellegrinaggio sulla strada di Cristo. E quando Pietro è ritornato sui luoghi di Pietro l’immagine di una Chiesa in cammino è stata l’orizzonte costante di un incontro non solo suggestivo ma concreto e reale nel segno della fede. Di ogni pellegrinaggio restano segni e gesti che anche durante il tempo lo identificano: di questo in Terra Santa resterà soprattutto un’immagine, quella del Papa davanti al Muro del Pianto, ossia nel luogo più sacro per tutti gli ebrei. Quel messaggio lasciato tra la fenditura delle pietre è certo un altro grande passo avanti sulla via della comprensione e del dialogo con i fratelli maggiori nella fede, come Giovanni Paolo II aveva definito gli ebrei durante la storica visita alla Sinagoga di Roma. Ma per comprendere fino in fondo la natura di questo ritorno nella terra del Vangelo, occorre forse partire dai momenti conclusivi della visita, quando il Papa era già quasi sulla strada del rientro ed è stato preso come da una nostalgia improvvisa. Non ha voluto lasciare Gerusalemme senza ritornare, da solo senza la folla del mattino, al Santo Sepolcro per chiudere nella preghiera, ciò che la preghiera aveva aperto, per sette giorni, davanti ai suoi passi. Del viaggio si continuerà a parlare da ogni altro versante dei tanti che l’hanno attraversato, a cominciare dal processo di pace. Sarà difficile che qualcosa possa mutare da un giorno all’altro in un’area che è crocevia di grandi tensioni. Ma certo niente sarà più come prima e la visita del Papa non resterà un episodio da relegare nella cronaca, più o meno importante, di rapporti diplomatici. La pace di cui Giovanni Paolo II ha parlato prende radici da quel Sepolcro vuoto, e non da equilibri irraggiungibili senza il conforto di una vera giustizia.

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