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Ridare speranza è la più urgente delle "azioni umanitarie"

Vittorio Messori

"Ma voi, chi dite che io sia?". Da quando fu rivolta ai discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo, la domanda non ha cessato di essere riproposta a ogni uomo. Perchè ciascuno - come bene vide Pascal - «deve dare una risposta, foss'anche negativa, deve scommettere». Sempre è stato così. La fede non è mai stata una sorta di bene ereditario, da passare di padre in figlio.

Tuttavia, fino a tempi recenti - almeno in alcune zone di alcuni Paesi - persisteva una "cristianità", un "mondo cattolico" che prometteva al credere di svilupparsi spontaneamente sin dall'infanzia, di rafforzarsi grazie all'esempio e alla catechesi e di perdurare sino ai sacramenti "del congedo" da questa vita. In nessun luogo, ormai, è più così. Oggi, la fede ritrova il suo carattere originario: di scommessa, appunto, di scelta personale, assediata da ogni parte da parole e da comportamenti discordanti. Il credere oggi sta divenendo, o è già divenuto, un atto anticonformista, una militanza di minoranze controcorrente.

Da qui, la necessità di una pastorale ecclesiale che non si limiti a commentare i contenuti del cristianesimo, ma ne indichi innanzitutto le ragioni. Tanti discorsi che, dando la fede per scontata, si limitano a trarne le conseguenze di natura morale, rischiano la totale inefficacia. In effetti: perché sforzarsi di vivere "da cristiani" se non si é più certi che quel Gesù sia davvero il Cristo e che le sue parole sono normative perchè vengono da Dio stesso?

È anche questo, sembra evidente, che il Santo Padre intende per "nuova evangelizzazione": un ricominciare da capo, con l'annuncio dell'apostolato lasciando ad un secondo tempo quella catechesi che è fruttuosa soltanto quando la "scommessa" sul Vangelo sia stata già avanzata e rinnovata.

Ed è pure a questo che mi pare si ispiri quel programma di avvicinamento al Grande Giubileo, con quelle sue tappe prescritte esse stesse da Giovanni Paolo II.

Chi abbia a cuore la sorte della fede - e, dunque della Chiesa stessa che, senza le sue fondamenta, non può reggere - dovrà impegnarsi perchè soprattutto questo tempo che ancora ci separa dal bimillenario "compleanno" di Gesù sia contrassegnato dalla ricerca delle ragioni che inducono i credenti a scorgere in Lui il Cristo, Il Figlio del Dio vivo.

È tempo di kérygma, di riannuncio chiaro e forte, senza il quale lo stesso dialogo (con il "mondo" o con le altre religioni) non avrebbe più senso. È tempo di riscoprire che, nella gerarchia evangelica dei valori, la carità più alta, quella che precede ogni altra è quella della verità. Rioffrire la Speranza, mostrare che è fondata, è la forma più benemerita e urgente di solidarietà; è la più preziosa delle "azioni umanitarie". Prima che di pane - parola di Vangelo - l'uomo vive di parola di Dio.

Che i duemila anni della nascita del Redentore ci aiutino a riscoprire questa realtà che rischiamo di dimenticare in una routine ecclesiale troppo spesso abitudinaria; o in un cristianesimo vissuto sì, ma che, senza esplicite motivazioni di fede, può trasformarsi in mera filantropia. La quale poco ha a che fare con la carità vera.

(CENNI BIOGRAFICI - Vittorio Messori (1941), laureato in scienze politiche e giornalista professionista, ha scritto numerosi libri, molti dei quali tradotti in oltre venti lingue, su temi riguardanti la religione cattolica)

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