La Chiesa-comunione, lievito del popolo di Dio
Jubilee 2000 Search
back
riga


Lumen gentium

LA CHIESA-COMUNIONE, LIEVITO DEL POPOLO DI DIO

Joseph Doré

1. Interrogarsi di nuovo sulla Chiesa

Riguardo al vasto e profondo esame di coscienza al quale, nella TMA, invita "episcopato, clero e fedeli" all'approssimarsi del Giubileo, Giovanni Paolo II ha tenuto a porre espressamente la questione sulla "ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito Santo alla Chiesa, al tramonto del secondo millennio". E, all'interno di tale questione, non ha mancato di riservare un ruolo fondamentale ad una riflessione sulla Costituzione dogmatica consacrata dal Vaticano II alla Chiesa stessa, nel mistero che le è proprio. Lo fa in questi termini concisi ma intensi:

«Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l'ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l'autentico spirito del Vaticano II?»(TMA, 36).

Senza cedere ad uno spirito sistematico che in questa sede sarebbe del tutto fuori luogo, esaminerò uno per uno, i tre punti sui quali questo passaggio ci invita a riflettere:

- la ricerca della comunione,

- il rispetto di una giusta diversità,

- lo spirito di cattolicità

E' sottinteso che, ciò facendo, non farò distinzioni tra i diversi livelli in cui si può pensare riecheggi la questione posta del Papa, e che io mi contenterò di evocare (senza poter esaurire ciascun tema): la vita concreta della Chiesa nella diversità dei suoi membri, la vita personale di ogni credente al quale pure è rivolto l'appello alla conversione, il campo proprio della teologia, anch'esso assolutamente suscettibile, come tale, di opportuni riaggiustamenti.

Mi si permetterà di precisare infine, prima di andare oltre che, tenuto conto della necessità di essere conciso, non solo non pretendo assolutamente di fare una rilettura esaustiva della Lumen gentium (LG), ma rinuncerò anche a segnalare tutte le citazioni di quel documento, che prendo, quindi, come punto di riferimento costante. Mi basta, ad ogni modo, raccomandare la sua rilettura integrale ed una attenta meditazione: fatto questo, si può dire che la situazione della Chiesa e del mondo, all'approssimarsi del terzo millennio, non farà altro che renderle più istruttive!

2. La ricerca della comunione

a) Un mistero di comunione

Non solo la messa in pratica della Lumen Gentium, ma anche le interpretazioni teoriche del testo non sono state affatto univoche nei trent'anni che ci separano dalla sua redazione. Per questo, non c'è dubbio che uno dei contributi più importanti forniti dalla Costituzione conciliare in esame riguarda, nel quadro della comprensione della realtà ecclesiale, l'insistenza relativa al suo carattere di mistero, e mistero di salvezza. La chiave di lettura per la comprensione di ciò che è la Chiesa, consiste quindi nel guardare ad essa secondo l'ottica storico-salvifica, che è la stessa della Scrittura e che la fa apparire come suscitata, per iniziativa del Padre attraverso lo Spirito Santo, dall'opera rivelatrice e redentrice del Figlio incarnato, morto e resuscitato - e che la presenta dunque essenzialmente come un "mistero di comunione".

E' tanto più importante, allora, restituire il primato a questo modo di guardare alla Chiesa, in quanto permette di risvegliare l'attenzione dei cristiani perlomeno in tre campi, dei quali questo fine secolo non può che sottolineare l'importanza decisiva.

b) Tre punti di riflessione

Prima di tutto, dopo tutti gli sforzi profusi sia "dall'alto" che "dal basso" per trasformare e migliorare la Chiesa, è opportuno ribadire che solo Dio può essere il "garante" della Chiesa, il Cristo, suo fondamento, e lo Spirito, suo cemento. I numerosi organi creati a seguito del Concilio (si pensi per esempio, a Roma, alle tante Commissioni e Segretariati) come pure le numerose iniziative prese attraverso la Chiesa, tanto dal punto di vista organizzativo, quanto nel movimento carismatico, hanno certamente favorito la vitalità e l'espansione del Corpo di Cristo; ma, talvolta, sono andate troppo oltre, o hanno marcato il passo, o hanno deluso. Che si tratti, oggi, di recuperare lo slancio originario o di riaggiustare la traiettoria, in ogni caso potrà essere fatto come si deve solo se non si perde di vista quella verità prima, ricordata con insistenza nel primo capitolo della Lumen Gentium: se non è il Signore ad edificare la casa, i muratori lavorano invano; se non è il Signore a proteggere la città, la sentinella vigila invano.

Il secondo auspicato risveglio potrebbe essere legato ad una nuova presa di coscienza del carattere fondamentalmente di comunione della Chiesa: c'è un livello o un aspetto per il quale tutti i suoi membri sono fondamentalmente uguali. Essi possono essere veramente uniti, proprio perché sono dello stesso rango, hanno la stessa dignità, partecipano allo stesso e unico privilegio di essere figli dello stesso Padre, fratelli dello stesso Signore, templi dello stesso Spirito - e di conseguenza, uniti all'insegna della stessa vocazione fondamentale nell'oggi e della stessa speranza vivente per sempre. Se la portata, considerevole in questo senso, della decisione che ha condotto i redattori della Lumen Gentium a porre il capitolo II (sul popolo di Dio) davanti al capitolo III (sul ministero ecclesiastico) non è stata di fatto esplicitata abbastanza nella stessa costituzione, si può pensare che la grande lezione non è stata sufficientemente acquisita nella vita ecclesiale durante gli ultimi trent'anni. I cristiani non devono perdere di vista che solo la loro dignità di cristiani li autorizza a far valere all'interno della Chiesa il loro "ruolo" - che può essere grande, come si ricorderà in seguito -, e non certo un qualsiasi spirito di rivendicazione secolare. Ma allo stesso tempo, nessun potere, carica o responsabilità avranno un senso ecclesiale, se non nella misura in cui chi li detiene li eserciti in nome ed assieme a coloro per i quali vengono esercitati, secondo la celebre formula di Agostino "vobis sum episcopus, vobiscum christianus".

Infine, la riattivazione nella Chiesa del suo fondamentale carattere di comunione, lungi dal rendere superfluo l'aspetto istituzionale, non può che situare meglio la necessità di sottolineare di più le condizioni effettive di ecclesialità. La Chiesa, proprio perché è mistero di comunione reale in Cristo, deve avere i mezzi per realizzarsi come tale. Acquisire una più giusta coscienza di questo aspetto è il modo migliore di percepire chiaramente l'importanza dei sacramenti e, di conseguenza, la necessità di un'organizzazione gerarchica all'interno del Corpo del Signore. Ma è anche il miglior punto di riferimento per controllare come si deve ogni tentazione di slittamento organizzazionale, di sclerosi amministrativa e di mentalità burocratica.

3. Rispettare una giusta diversità

Essendo al contempo mistero e realtà di comunione, la Chiesa è chiamata a riunire, nell'unità che essa costituisce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, una multipla diversità: diversità di Chiesa (particolari e locali) e, nel seno di ciascuna di tali Chiese, diversità di ministeri e di funzioni. Su questo punto, come anche su quello della realtà della Chiesa secondo la visione della Lumen Gentium i cristiani di questo fine secolo sono chiamati ad esaminarsi.

a) Diversità di Chiese

Non si può considerare che alla stregua di una grazia e di una ricchezza per la Chiesa intera la valorizzazione che è stata fatta, al suo interno e dopo il Concilio, delle Chiese "particolari" - cioè diocesane -, in stretto collegamento con l'insegnamento dato dalla Lumen gentium (n. 21) sulla sacramentalità dell'episcopato. La costituzione di consigli presbiteriali e pastorali, l'indizione di sinodi diocesani, la riorganizzazione delle parrocchie, ecc. hanno enormemente contribuito alla responsabilizzazione dei diversi membri della Chiesa, nello stesso momento in cui si è permesso alle diocesi, alle parrocchie e ad ogni forma di aggregazione ecclesiale intermediaria o trasversale, di adattarsi alle nuove condizioni di annuncio del Vangelo e della vita della Chiesa. Al di là della Chiese particolari/diocesane, bisogna anche considerare l'importanza delle aggregazioni più vaste in Chiese "locali", per meglio dire in gruppi più o meno omogenei di Chiese particolari, costituitisi sulla base di elementi geografici e storici, linguistici e culturali, ed organizzati nell'ambito delle conferenze episcopali su scala nazionale e/o (sub-)continentale.

Indubbiamente la cosa essenziale è di proseguire sullo slancio di questi bei doni che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa conciliare. Tuttavia, non bisogna mai dimenticare né che ogni vescovo costituisce parte integrante del Collegio episcopale, né che quest'ultimo è costitutivamente "unito al Pontefice romano, successore di Pietro" (LG, 22). Si sa bene quali danni sono stati causati alla Chiesa da coloro che - sia tra i "conservatori" che tra i "progressisti" - dimenticarono questi elementi fondamentali. Non è escluso che ci si debba attentamente guardare, anche per l'avvenire, dal ripetere simili errori.

b) Diversità di funzioni

Detto questo, la TMA 36 invita anche a domandarsi se sia stata attribuito «il giusto spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del popolo di Dio». L'indicazione è qui rivolta ad ogni livello di realizzazione della Chiesa (locale, particolare ... e universale) e riguarda la diversità delle funzioni, degli incarichi, dei servizi e dei ministeri che si è chiamati ad esercitare. Senza voler entrare troppo nel dettaglio, sottolineiamo soprattutto tre punti.

Per primi i "carismi", di cui la Lumen Gentium tratta nel n.12. Si sa che essi furono oggetto di vive discussioni durante e dopo il Concilio. Si può ritenere che restino valide le proposizioni conciliari a riguardo: «bisogna accoglierli con azione di grazia e di gioia spirituale»; ma compete ai responsabili ecclesiali «di giudicare sull'autenticità di tali doni e sulle modalità del loro uso». Insomma, vale ancora la doppia consegna di Paolo: «non spegnere lo Spirito», certo, ma anche «esaminare ogni cosa, e tenere ciò che è buono» (1 Th 5,19-21).

Di seguito, tra le «diverse forme di partecipazione del popolo di Dio», si può ritenere che le Chiese percepiscono bene che la vocazione dei laici come tali le inserisce nel mondo e che questi ultimi possono effettivamente far parte di quel mondo di autentici testimoni ed attori del Regno di Dio. Al contrario la situazione non è altrettanto chiara relativamente al conferimento ad essi nella Chiesa dei "ministeri", ministeri reali ma non ordinati, e che di conseguenza non li renderebbero né concorrenti né sostituti dei sacerdoti (o dei diaconi). Cf LG 31, 33, 35, 41 . E' questo probabilmente, per il futuro, un punto focale per le Chiese. Sarebbe un peccato, non temiamo di affermarlo, che la constatazione di derive reali o il timore di confusioni effettive e di possibili sconfinamenti, sottraggano in futuro alle comunità un tipo di servizio il bisogno del quale si fa via via più pressante.

Sempre a causa della diversità delle funzioni e dei ministeri, bisogna infine aggiungere una parola sui diaconi. A riguardo, la prima cosa da dire è che la Chiesa intera è ormai invitata a rendere grazie al Signore per il fatto che il Concilio Vaticano II (LG, 29) abbia riapertola possibilità, per il diaconato, "di essere reintegrato nel suo ruolo proprio e permanente all'interno della gerarchia", dopo tanti secoli di invisibilità (sotto forma di monaci). Certo, i Padri non hanno poi approfondito molto la definizione teologica di questo terzo grado del sacramento dell'Ordine - e dunque esiste nel campo un vero e proprio cantiere da allestire per la riflessione teologica -; e altrettanto certamente, bisognerà valutare la misura concreta degli effetti di questa re-istituzione effettiva attraverso tutte le Chiese. Ma si può fin d'ora affermare che la Chiesa dell'anno 2000 non avrà che da guadagnare rendendo con decisione il suo ruolo, nelle comunità e nelle diocesi, a questo "grado della gerarchia" da troppo tempo negletto. A condizione che sia effettivamente il riflesso della fede, la stessa pratica dovrà permettere di precisare meglio i caratteri specifici del servizio che il diaconato dovrà poter essere chiamato ad offrire «nella "diaconia" della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il vescovo ed il suo presbiterio».

4. Lo spirito di cattolicità

Rimane un ultimo punto su cui, nonostante sia anch'esso importante, sarà possibile essere brevi: bisogna precisare che, secondo Giovanni Paolo II, la ricerca della comunione ed il rispetto di una giusta diversità devono essere coltivate secondo "la visione cattolica della Chiesa, [secondo] l'autentico spirito del Vaticano II" - diciamo, per riassumere: nello spirito della cattolicità (LG, 14).

a) Cattolicità ed universalità

Karl Rahner ha molto insistito per sottolineare che il Vaticano II è stato "il primo concilio in cui, ufficialmente, la Chiesa è divenuta cosciente di essere Chiesa universale". Certo, questo aspetto supera di molto ciò che riguarda strettamente la Lumen Gentium, caratterizzando l'insieme dell'evento conciliare in quanto tale. Di tutto questo ne è traccia evidente nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, aver evidenziato il valore dell' «universalità o "cattolicità" del popolo di Dio».

A riguardo si può dire che la cattolicità conciliare e post conciliare è stata voluta e vissuta come un passaggio effettivo per una Chiesa rimasta, sotto diversi aspetti, ancora prevalentemente "occidentale", verso una Chiesa autenticamente universale. Sinodi dei vescovi indetti con regolarità, al di là e oltre una internazionalizzazione ancora concessa dalla Curia, ma allo stesso tempo impulso generalizzato di inculturazione in vista della creazione di strutture ecclesiali allo stesso tempo rispettose e beneficiarie della diversità delle culture umane, e ancora più grande attenzione e sostegno delle Chiese del primo mondo a favore di quelle del terzo mondo: sono molti i segni diversificati della cattolicità della Chiesa intesa come compimento del suo mistero di riunione delle ricchezze cristiane sparse dappertutto...

E si può ancora parlare degli sforzi compiuti per avvicinarsi alle altre confessioni cristiane, alle altre religioni e, finalmente, a tutto quanto c'è di bene, giusto e vero nel mondo... ma questo non si evince esplicitamente dalla Lumen Gentium.

b) Cattolicità e particolarità

Non si deve però ritenere che i termini cattolicità ed universalità si equivalgano puramente e semplicemente. Non bisogna infatti dimenticare, ricorda la Lumen Gentium, che le Chiese particolari non sono dei semplici distretti amministrativi di una federazione o confederazione che, essendo universale, è per ciò solo valida come Chiesa. Al contrario, ogni Chiesa particolare dispone essa stessa delle prerogative che le permettono di far vivere integralmente ai loro fedeli il mistero di Cristo. «In virtù di [questo aspetto della cattolicità], ognuna delle parti porta alle altre e alla Chiesa intera il beneficio dei suoi speciali doni, in modo che il tutto e ciascuna delle sue parti si accrescano in un mutuo scambio universale, con uno sforzo comune verso una pienezza nell'unità». C'è, lì, un viavai su cui i membri della Chiesa devono sempre lasciarsi mettere sull'avviso. La celebrazione del Giubileo 2000 potrà essere per questo un'occasione certamente particolare, ma anche particolarmente significativa.

Due parole basterebbero per concludere, in quanto ciascuna di esse rimanda ad un intero capitolo della Lumen Gentium. Tutto quanto viene detto della Chiesa nella Costituzione dogmatica ad essa consacrata dal Vaticano II, non avrebbe senso se non fosse in rapporto da un lato con «il richiamo universale alla santità che si riperquote incessantemente in essa» (cap. V), e d'altra parte con la funzione di «carattere escatologico di [una Chiesa] in cammino» (cap. VII) la quale non cessa un istante di vivere "la sua unità con la Chiesa del cielo". Santità e speranza: due parole davvero "giubilari", no?

top