La "grande aspettazione del Concilio Ecumenico"
Jubilee 2000 Search
back
riga


LA "GRANDE ASPETTAZIONE DEL CONCILIO ECUMENICO"

Andrea Riccardi

Che cosa vuol dire vivere il Concilio per un singolo vescovo che giunge a Roma nella prima decade dell'ottobre 1962? È rilevante il primo impatto dei vescovi con gli altri presuli, con una Roma conciliare inedita rispetto alle precedenti conoscenze che i padri possono aver avuto della città e della curia. Un mese prima dell'apertura del Vaticano II, Giovanni XXIII si era rivolto ai fedeli di tutto il mondo con un radiomessaggio. Il Papa era stato stimolato da alcune note molto preoccupate, ricevute da cardinali spaventati dall'idea di un rapido Concilio, molto cerimoniale e di condanna. Nel discorso aveva parlato di "grande aspettazione del Concilio ecumenico". Per i vescovi che venivano a Roma quel Concilio era - secondo la parola di Papa Giovanni - una via per rinnovare la missione della chiesa di fronte ai problemi del mondo, di fronte al mondo povero, innanzi all'anelito di pace del mondo. Giovanni XXIII fissava un riferimento storico che trascendeva i confini della cronologia ecclesiastica. Il Concilio, suggeriva il Papa, si apriva a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale: "le madri e i padri di famiglia detestano la guerra: la Chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme..."

Ai vescovi ed ai fedeli dei Paesi al margine del teatro internazionale Giovanni XXIII parlava di una Chiesa "madre", secondo uno stereotipo antico, ma anche di una "Chiesa che è e vuole essere di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri". Queste parole avevano contribuito a creare un clima di "aspettazione" anche tra i vescovi. Essi erano chiamati da Giovanni XXIII a rispondere a questa "aspettazione" e a comprendere le nuove prospettive della missione della Chiesa nel mondo. Ma sarebbe stato un fatto creativo o un appoggio ad alcune linee già chiare in capite? Realizzare questo compito non era semplice soprattutto per un corpo episcopale così vasto, non aduso a lavorare collegialmente e in assemblea. La maggior parte dei padri giungeva a Roma con incertezza, senza sapere quale sarebbe stato il proprio ruolo. In genere infatti si veniva in Vaticano per chiudere le questioni con l'autorità della Santa Sede e dei suoi uffici. Gli stessi nunzi apostolici o delegati, con cui l'episcopato era in contatto, non avevano un'idea chiara di quello che il Vaticano II sarebbe stato.

...L'attesa e gli interrogativi si accompagnano anche ad una certa curiosità sul luogo dove il Concilio si sarebbe svolto. L'aula conciliare occupava per la prima volta la navata centrale della Basilica di S.Pietro e non nel transetto come al Vaticano I...

...I vescovi non avevano un'esperienza ravvicinata delle assemblee parlamentari che caratterizzavano la democrazia occidentale. Troppo fresca era l'esperienza democratica in Italia e in Germania per averne assimilato profondamente la lezione; mentre tale esperienza era assente in Spagna, in Portogallo, in Europa orientale, in parecchi paesi dell'America Latina e nei giovani Stati del Sud del mondo. Anche se il Concilio non era il parlamento della chiesa, la familiarità con i metodi delle votazioni, con i sistemi democratici, con la formazione di maggioranza e minoranza, avrebbe potuto aiutare a concepire le dinamiche di una grande assemblea che - secondo la tradizione - era chiamata a scegliere mediante il voto dei suoi componenti. Era con il voto che si doveva esprimere la volontà dei padri o si doveva solamente aderire alle indicazioni della Santa Sede? Il Concilio Vaticano I era stato regolato dal voto dei suoi membri. La stessa prassi delle congregazioni romane prevedeva il voto dei propri membri: ma il loro risultato era sottoposto alla decisione del Papa. Il Concilio avrebbe dovuto esprimere il suo voto palesemente?...

(da Storia del Concilio Vaticano II di Giuseppe Alberigo)

top