Card. Bernardin Gantin

"Quando s'è iniziato il Vaticano II, avevo da poco compiuto quarant'anni. Ero stato prima ausiliare e poi arcivescovo di Cotonou, nel mio Paese. Ero dunque nel pieno del vigore. Avevo una certa maturità umana, pastorale, spirituale e missionaria. Ma devo confessare che l'11 ottobre 1962, quando ho partecipato all'apertura del Concilio assieme ai vescovi di tutto il mondo, sotto l'egida del Papa, con quella prima cerimonia in cui abbiamo indossato i paramenti sacri negli immensi corridoi del Vaticano, poi quella discesa lungo le scalinate solenni, storiche, e quella traversata di piazza San Pietro, allora mi sono sentito piccolo, piccolo...E i sentimenti che avevo provato quando per la prima volta avevo saputo della convocazione del Concilio, ammirazione, sorpresa, trepidazione, speranza, tutto questo è tornato ad affluire nel mio cuore. Avevo le lacrime agli occhi. Mi son detto: "Dio mio, ma dove sono? che posso fare?". Ero cosciente della mia pochezza di fronte al Papa, di fronte ai vescovi. Non avevo mai visto tanti vescovi insieme, di tutte le età, di tutte le lingue. Ho pensato: "Qui bisogna tacere, ascoltare". Come in Africa, quando i grandi si riuniscono, e i piccoli stanno a guardare, ascoltano e tacciono...Una grandissima giornata. Anche perché era una giornata mariana, la festa della Maternità di Maria. Una giornata abitata dallo Spirito Santo, dalla Santa Vergine Nostra Madre. Noi africani siamo molto attaccati a nostra madre, alle nostre mamme. E ciò ci ha radicati maggiormente alla nostra terra, che per noi è anche la nostra madre che ci accoglierà, per l'eternità. Ecco che cosa ho provato quel giorno. Ero felice, ma avevo quell'idea fissa: non dovevo parlare; ero piccolo, dovevo ricevere qualcosa dal Concilio. E tutti, il mio Paese, la mia Chiesa, l'Africa intera avrebbero ricevuto cose straordinarie. Un'attesa, dunque. Una grande attesa".

(da "Testimoni del Concilio" di Gian Franco Svidercoschi)