E la chiesa diventa "notizia" per il mondo
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E LA CHIESA DIVENTA "NOTIZIA" PER IL MONDO

Vittorio Citterich

Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato l'evento "ecclesiale" che ha avuto la più estesa ripercussione informativa mondiale nel secolo che si chiude. Per gli sviluppi accelerati delle tecniche di comunicazione, naturalmente, a cominciare dalla diffusione dell'era televisiva, Però chi ha vissuto, da cronista, quegli anni straordinari, dalla indizione di Papa giovanni alla conclusione di Paolo VI, pur senza travalicare i limiti e i criteri del suo mestiere, non può attribbuire soltanto all'esteriorità di motivi tecnici la grande incidenza storica di quell'evento. Già i padri conciliari discussero, nelle loro prime riflessioni, su quel che doveva essere "ad intra" e che cosa doveva essere "ad extra" nella loro impresa. Per comprendere poi che la distinzione non era facilmente percorribile. Nell'Istinto di Giovanni XXIII ("istinto dello Spirito Santo" come è stato detto) il Concilio si collocava in un tempo di complessiva e drammatica svolta epocale che investiva il destino comune della "famiglia umana". L'epoca nucleare, come si diceva in sintesi, condizionata e minacciata da equilibri del terrore e dialettiche di stereotipi ideologici che non avevano lo sguardo abbastanza lungo sul futuro, sul senso della storia, per progettare un avvenire di "pace sulla terra".

E' in questo contesto che si collocò il Concilio, evento ecclesiale e tuttavia non richiudibile esclusivamente in un recinto ecclesiastico, a disposizione degli "specialisti", perché il suo messaggio era rivolto a tutti. Era come se la Chiesa rendesse più acuto l'Evangelo del suo sguardo universale, a confronto delle culture dominanti che l'avevano perduto. Un contemplativo nell'azione politica come Giorgio La Pira ("il Carismatico Sindaco di Firenze" lo definisce Giovanni PaoloII nella grande preghiera per l'Italia) il 4 settembre 1962, ancor prima che l'assise cominciasse, ne intuiva quasi l'impatto potenziale sul futuro: "Come si inserisce il Concilio nella grande prospettiva della Chiesa e delle nazioni? In questa epoca spaziale, tecnica, scientifica che segna una svolta senza precedenti nella storia del mondo? Epoca nella quale scompare la guerra, fiorisce la pace, si unifica il mondo, crollano le ideologie ed emerge ogni giorno di più, quasi per illuminarlo, la Chiesa...". Sarà Lumen Gentium (Cristo, luce delle genti) il documento fondamentale del Vaticano II. Il Concilio con un compito di illuminazione in un tornante storico decisivo. Se questo era il senso complessivo dell'assemblea conciliare, si poneva dunque il compito di comunicare, senza forzature apologetiche ma anche senza cadere nella tentazione facile di inserire la novità del Concilio entro gli schemi e gli stereotipi dell'informazione giornalistica dominante che collocava gli eventi della vita della Chiesa fra le rimanenze, sia pur qualche volta suggestive, di un illustre passato "religioso" ormai superato, e per sempre, dal laicismo trionfante della modernità. Era stato Romano Guardini a segnalare, con anteveggente vigilanza culturale, che gli sviluppi storici portavano piuttosto verso la "fine dell'epoca moderna", e dunque verso un rinascimento religioso di cui si avvertivano i sintomi disponibili ad un nuovo raccolto, ad un nuovo rilancio. La difficoltà iniziale di captare il Concilio, a parte la suggestione dei riti e delle assemblee plenarie di oltre duemila Vescovi nella Basilica di San Pietro trasformata in aula conciliare, non era però tutta attribuibile all'ambiente giornalistico di quel tempo, ai suoi limiti ed alle sue ostilità pregiudiziali. Specialmente nella prima sessione ci fu anche un arroccamento intimorito di chi doveva "comunicare" fuori della nomina gli sviluppi di una riflessione di "aggiornamento" che, di fronte ai grandi temi in discussione, adottava apertamente il criterio "dell'unità nella diversità" anziché quello di un infeconda e sia pur disciplinata ripetitività encomiastica. Proprio la sera di inaugurazione del Concilio, tempo di Pentecoste, si era assistito, del resto, ad un fatto che anticipava il futuro del mondo della comunicazione in un orizzonte da "villaggio globale". Papa Giovanni si affacciò alla finestra illuminata per un saluto lietamente improvvisato che, dopo aver chiamato a testimone la Luna sulla fraternità derivante da un grande evento cristiano come il Concilio ("cerchiamo ciò che ci unisce, lasciamo da parte, se c'è... quello che ci divide"), si concludeva con una carezza ai bambini ("tornando a casa troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite che è la carezza del Papa..."). Si può dire, in qualche misura, che quel momento straordinario, raccolto in diretta dalle telecamere della RAI, segnò, fra tante svolte, anche una svolta nel rapporto fra la Chiesa riunita in Concilio e lo specchio televisivo mondiale. Può essere curioso ricordare (ma non è soltanto una curiosità) che in quei primi anni sessanta, in un mondo anche televisivamente spaccato da incomunicabilità non meno impenetrabili delle "cortine di ferro", l'arcigna ed ideologicamente autarchica televisione sovietica chiese alla televisione italiana di poter trasmettere l'immagine e la voce di quel vecchio Papa benedicente la sera dell'inaugurazione del Concilio. Per quanto fosse impetuosa, tuttavia, l'avanzata e la ripercussione degli strumenti televisivi tra i mezzi di cominicazione sociale, l'ambito prioritario per comunicare lo svolgimento quotidiano del Vaticano II restava naturalmente quello del giornalismo scritto che ebbe la sua sede nella Sala Stampa del Cocilio, in fondo a via della Conciliazione, a ridosso di Piazza San Pietro 8 poi sarà trasformata in Sala Stampa della Santa Sede, Joaquin Navarro Valls, l'attuale direttore era, allora, fra noi cronisti desiderosi di sapere e di capire per poter correttamente comunicare). Esperienza umanamente oltre che professionalmente straordinaria che formò, nel confronto continuativo con l'evento da comprendere e ritrasmettere ("l'evenement notre maitre", diceva Emmanuel Mounier), una singolare comunità composta da ruoli, competenze, provenienze ed esperienze fra di loro diverse e però in qualche modo complementari e convergenti. Trentacinque anni dopo è possibile che l'affetto della memoria attenui dettagli marginali, tensioni episodiche fra la fretta del mestiere degli uni e la premura di cautele degli altri, la cui somma può avere prodotto, qua e là, fugnhe di falsanti sensazionalismi oppure, al contrario, occlusioni di trasmissioni veritiere. E' tuttavia certo che, trentacinque anni dopo, si può riconoscere che il Concilio indetto da Papa Giovanni e portato a compimento da Paolo VI, è stato anche la grande svolta della Chiesa nel villaggio globale del mondo della comunicazione e, in pari tempo, l'occasione di una maturazione complessiva dell'ambiente giornalistico mondiale di fronte alle specificità tematiche della cosiddetta "informazione religiosa" ed al respiro universale dei suoi temi interiori.

E' sempre vivo, nell'animo di coloro che ebbero la ventura di prenderne parte nella Sala stampa del Concilio, il ricordo del commiato di Papa Montini dai cronisti che avevano raccontato il Vaticano II. La cortesia di Paolo VI: «Se la Chiesa ha sentito, come mai nel corso della sua bimillenaria storia, milioni e milioni di uomini interessati all'assise dei Vescovi del mondo intero, senza alcun dubbio cari signori, ciò è dovuto ampiamente a voi...». E la sua raccomandazione metodologica: «Voi avete assistito ad un Concilio, a un tempo forte della storria della Chiesa, però ricordate che la storia della Chiesa è come la vita, che impercettibilmente pulsa in tanti luoghi...».

«Il Concilio - scrive Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente - come preparazione di quella nuova primavera di vita cristiana che dovrà esser rivelata dal Grande Giubileo del 20002. Si ripropone il rapporto di un "tempo forte" nella storia della Chiesa, come è un Giubileo, e la impercettibile pulsione della sua vita nelle coscienze, nella preghiera e in tanti luoghi, sino agli estremi limiti della terra; che pur non essendo facilmente misurabili ("non fanno notizia", nel gergo giornalistico) sono tuttavia il terreno diffuso e fertile da cui nasce la nuova primavera».

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