Jubilee 2000 Search
back
riga

Giubileo – La Catechesi di Giovanni Paolo II

Dio Padre: amore provvidente

Prosegue la Catechesi del Papa su Dio Padre: all’udienza generale di mercoledì 24 marzo ha parlato del suo “amore provvidente”. Ha spiegato che la divina Rivelazione ci aiuta a comprendere che il dolore non è voluto da Dio. Ecco il testo completo.

1. Proseguendo nella nostra meditazione su Dio Padre, oggi vogliamo soffermarci sul suo amore generoso e provvidente. “La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia” (CCC, 303). Possiamo prendere le mosse da un testo del Libro della Sapienza, in cui la Provvidenza divina è contemplata in azione a favore d’una barca in mezzo al mare: “La tua provvidenza, o Padre, la guida, perché tu hai predisposto una strada anche nel mare, un sentiero sicuro anche fra le onde, mostrando che puoi salvare da tutto, sì che uno possa imbarcarsi anche senza esperienza” (Sap 14,3-4).

In un salmo si ritrova ancora l'immagine del mare, solcato dalle navi e nel quale guizzano animali piccoli e grandi, per ricordare il nutrimento che Dio fornisce a tutti gli esseri viventi: “Tutti da te aspettano che tu dia loro cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni” (Sal 104,27-28).

2. L’immagine della barca in mezzo al mare, raffigura bene la nostra situazione di fronte al Padre provvidente. Egli - come dice Gesù – “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Tuttavia, di fronte a questo messaggio dell'amore provvidente del Padre, viene spontaneo chiedersi come si possa spiegare il dolore. E occorre riconoscere che il problema del dolore costituisce un enigma davanti al quale la ragione umana si smarrisce. La divina Rivelazione ci aiuta a comprendere che esso non è voluto da Dio, essendo entrato nel mondo a causa del peccato dell'uomo (cfr Gn 3,16-19). Dio lo permette per la salvezza stessa dell'uomo, traendo il bene dal male. “Dio onnipotente¼, essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono, da trarre dal male stesso il bene” (sant’Agostino, Enchiridion de fide, spe et caritate, 11,3: PL 40, 236). Significative, a tal proposito, le parole rassicuranti, rivolte da Giuseppe ai suoi fratelli, che l'avevano venduto ed ora dipendevano dal suo potere: “Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio... Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi s’avvera: far vivere un popolo numeroso” (Gn 45,8; 50,20).

I progetti di Dio non coincidono con quelli dell’uomo; sono infinitamente migliori, ma spesso restano incomprensibili alla mente umana. Dice il Libro dei Proverbi: “Dal Signore sono diretti i passi dell’uomo e come può l’uomo comprendere la propria via?” (Pr 20,24). Nel Nuovo Testamento Paolo enuncerà questo consolante principio: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).

3. Quale deve essere il nostro atteggiamento di fronte a questa provvida e lungimirante azione divina? Non dobbiamo certo attendere passivamente ciò che Egli ci manda, bensì collaborare con Lui, affinché porti a compimento quanto ha iniziato ad operare in noi. Dobbiamo essere solleciti soprattutto nella ricerca dei beni celesti. Questi devono stare al primo posto, come lo richiede Gesù: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33). Gli altri beni non devono essere oggetto di preoccupazioni eccessive, perché il nostro Padre celeste conosce quali sono le nostre necessità; ce l’insegna Gesù quando esorta i suoi discepoli ad “un abbandono filiale alla Provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli” (CCC, 305): “Non cercate che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno” (Lc 12,29s.).

Noi siamo dunque chiamati a collaborare con Dio, in atteggiamento di grande fiducia. Gesù ci insegna a chiedere al Padre celeste il pane quotidiano (cfr Mt 6,11; Lc 11,3). Se lo riceviamo con riconoscenza, verrà anche spontaneo ricordare che nulla ci appartiene, e dobbiamo essere pronti a donarlo: “Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo” (Lc 6,30).

4. La certezza dell'amore di Dio ci fa confidare nella sua provvidenza paterna anche nei momenti più difficili dell'esistenza. Questa piena fiducia in Dio Padre provvidente, anche in mezzo alle avversità, è mirabilmente espressa da santa Teresa di Gesù: “Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla. Dio solo basta” (Poesie, 30).

La Scrittura ci offre un esempio eloquente di totale affidamento a Dio quando racconta che Abramo aveva maturato la decisione di sacrificare il figlio Isacco. In realtà Dio non voleva la morte del figlio, ma la fede del padre. E Abramo la dimostra pienamente, poiché quando Isacco gli chiede dove sia l’agnello dell’olocausto, osa rispondergli che “Dio provvederà” (Gn 22,8). E subito dopo sperimenterà appunto la benevola provvidenza di Dio, che salva il giovanetto e premia la sua fede, colmandolo di benedizione.

Occorre dunque interpretare simili testi alla luce dell'intera rivelazione che raggiunge la sua pienezza in Gesù Cristo. Egli ci insegna a riporre in Dio un'immensa fiducia anche nei momenti più difficili: inchiodato sulla Croce, Gesù si abbandona totalmente al Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Con questo atteggiamento Egli eleva a un livello sublime quanto Giobbe aveva sintetizzato nelle note parole: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” (Gb 1,21). Anche ciò che umanamente è una sventura, può rientrare in quel grande progetto di amore infinito col quale il Padre provvede alla nostra salvezza.

Il Padre: amore esigente

L’amore di Dio Padre per gli uomini è “provvidente”, ma è anche “esigente”. Su questo tema si è svolta la Catechesi papale di mercoledì 7 aprile 1999, in Piazza San Pietro, che pubblichiamo integralmente.

1. L'amore di Dio Padre per noi non ci può lasciare indifferenti, anzi richiede di essere ricambiato con un impegno costante di amore. Questo impegno assume significati sempre più profondi quanto più ci avviciniamo a Gesù, che vive pienamente in comunione con il Padre, facendosi modello per noi.

Nel contesto culturale dell’Antico Testamento l'autorità del padre è assoluta, e viene assunta come termine di confronto per descrivere l’autorità di Dio creatore, a cui non è lecito muovere contestazioni. Si legge in Isaia: “Chi oserà dire a un padre: ‘Che cosa generi?’ o a una donna: ‘Che cosa partorisci?’. Dice il Signore, il Santo di Israele, che lo ha plasmato: ‘Volete interrogarmi sul futuro dei miei figli e darmi ordini sul lavoro delle mie mani?’” (Is 45,10s.). Un padre ha pure il compito di guidare il figlio, ammonendolo con severità, se necessario. Il Libro dei Proverbi ricorda che ciò vale anche per Dio: “Il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto” (Pr 3,12; cfr Sal 103,13). Il profeta Malachia da parte sua attesta l’affetto compassionevole di Dio verso i suoi figli (Ml 3,17), ma si tratta pur sempre d'un amore esigente: “Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sull’Oreb statuti e norme per tutto Israele” (Ml 3,22).

2. La legge che Dio dà al suo popolo non è un peso imposto da un padrone tirannico, ma l’espressione di quell’amore paterno che indica il giusto sentiero della condotta umana e la condizione per ereditare le promesse divine. È questo il senso dell’ingiunzione del Deuteronomio: “Osserva i comandi del Signore tuo Dio, camminando sulle sue vie e temendolo; perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile” (Dt 8,5-7). In quanto sancisce l’alleanza tra Dio e i figli d’Israele la legge è dettata dall’amore. Ma il trasgredirla non è senza conseguenze, comportando esiti dolorosi, che sono tuttavia sempre dominati dalla logica dell'amore, perché costringono l’uomo a prendere salutare coscienza di una dimensione costitutiva del suo essere. “È scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui” (CCC, 1432).

Se si stacca dal Creatore, l’uomo precipita necessariamente nel male, nella morte, nel nulla. Al contrario, l’adesione a Dio è fonte di vita e benedizione. È quanto sottolinea lo stesso Libro del Deuteronomio: “Vedi, io oggi pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso” (Dt 30,15s.).

3. Gesù non abolisce la Legge nei suoi valori fondamentali, ma la perfeziona, come dice egli stesso nel discorso della montagna: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17).

Gesù addita il cuore della Legge nel precetto dell’amore, e ne sviluppa le esigenze radicali. Ampliando il precetto dell’Antico Testamento, egli comanda di amare amici e nemici, e spiega questa estensione del precetto facendo riferimento alla paternità di Dio: “Perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,43-45; cfr CCC, 2784).

Con Gesù avviene un salto di qualità: egli sintetizza la Legge e i Profeti in una sola norma, tanto semplice nella sua formulazione quanto difficile nell’attuazione: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (cfr Mt 7,12). Questa è addirittura presentata come la via da percorrere per essere perfetti come il Padre celeste (cfr Mt 5,48). Chi agisce così, rende testimonianza agli uomini perché sia glorificato il Padre che è nei cieli (cfr Mt 5,16), e si dispone a ricevere il Regno che egli ha preparato per i giusti, secondo le parole di Cristo nel giudizio finale: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34).

4. Mentre annuncia l'amore del Padre, Gesù non manca mai di ricordare che si tratta di un amore impegnativo. Questo tratto del volto di Dio emerge da tutta la vita di Gesù. Il suo “cibo” è appunto attuare la volontà di colui che lo ha mandato (cfr Gv 4,34). Proprio perché egli cerca non la propria volontà, ma il volere del Padre che lo ha inviato nel mondo, il suo giudizio è giusto (cfr Gv 5,30). Il Padre perciò gli rende testimonianza (cfr Gv 5,37) e così pure le Scritture (cfr Gv 5,39). Soprattutto le opere che compie in nome del Padre garantiscono che egli è inviato da lui (cfr Gv 5,36; 10,25.37-38). Tra di esse, la più alta è quella di offrire la propria vita, come il Padre gli ha comandato: questo dono di sé è addirittura la ragione per cui il Padre lo ama (cfr Gv 10,17-18) ed è il segno che egli ama il Padre (cfr Gv 14,31). Se già la legge del Deuteronomio era cammino e garanzia di vita, la legge del Nuovo Testamento lo è in modo inedito e paradossale, esprimendosi nel comandamento di amare i fratelli fino a dare la vita per loro (cfr Gv 15,12-13).

Il “comandamento nuovo” dell’amore, come ricorda san Giovanni Crisostomo, ha la sua ragione ultima nell’amore divino: “Non potete chiamare vostro padre il Dio di ogni bontà, se conservate un cuore crudele e disumano; in tal caso, infatti, non avete più in voi l’impronta della bontà del Padre celeste” (Hom. in illud “Angusta est porta”: PG 51, 44B). In questa prospettiva c'è insieme continuità e superamento: la Legge si trasforma e si approfondisce come Legge dell'amore, l'unica che conviene al volto paterno di Dio.

Testimoniare Dio Padre: la risposta cristiana all’ateismo

«L’epoca contemporanea ha conosciuto forme particolarmente devastanti di ateismo “teorico” e “pratico”». Lo ha detto Giovanni Paolo II nella sua Catechesi di mercoledì 14 aprile 1999, che riportiamo per intero.

1. L’orientamento religioso dell’uomo scaturisce dalla sua stessa creaturalità, che lo spinge ad anelare a Dio da cui è creato a propria immagine e somiglianza (cfr Gn 2,17). Il Vaticano II ha insegnato che “la ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore” (Gaudium et spes, 19).

La via che conduce gli esseri umani alla conoscenza di Dio Padre è Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, che viene a noi nella forza dello Spirito Santo. Come ho sottolineato nelle precedenti catechesi, una tale conoscenza è autentica e piena  se non si riduce a un’acquisizione del solo intelletto, ma coinvolge in modo vitale tutta la persona umana. Questa deve offrire al Padre risposta di fede e di amore, nella consapevolezza che, prima di conoscere, siamo stati già a nostra volta conosciuti ed amati da Lui (cfr Gal 4,9; 1 Cor 13,12; 1 Gv 4,19).

Purtroppo questo legame intimo e vitale con Dio, pregiudicato dalla colpa dei progenitori fin dall'inizio della storia, è vissuto dall'uomo in modo fragile e contraddittorio, insidiato dal dubbio e spesso reciso dal peccato. L’epoca contemporanea ha poi conosciuto forme particolarmente devastanti di ateismo “teorico” e “pratico” (cfr Lettera Enciclica Fides et ratio, nn. 46-47). Soprattutto si rivela rovinoso il secolarismo con la sua indifferenza nei confronti delle questioni ultime e della fede: esso di fatto esprime un modello di uomo totalmente sganciato dal riferimento al Trascendente. L’ateismo ‘pratico’ è così un'amara e concreta realtà. Se è vero che esso si manifesta soprattutto nelle civiltà economicamente e tecnicamente più avanzate, i suoi effetti si estendono anche a quelle situazioni e culture che stanno avviando un processo di sviluppo.

2. Occorre lasciarsi guidare dalla Parola di Dio per leggere questa situazione del  mondo contemporaneo e rispondere alle gravi questioni che essa pone.

Partendo dalla  Sacra Scrittura, si noterà subito che essa non fa accenno all’ateismo “teorico”, mentre si preoccupa di respingere l'ateismo “pratico”. Il Salmista taccia di stoltezza colui che pensa: “Non c'è Dio” (Sal 14,1), e si comporta di conseguenza: “Sono corrotti, fanno cose abominevoli; nessuno più agisce bene” (ibid). In un altro Salmo è biasimato l’"empio insolente che disprezza il Signore", dicendo: “Dio non se ne cura: Dio non esiste” (Sal 10,4).

Piuttosto che di ateismo, la Bibbia parla di empietà e idolatria. Empio e idolatra è colui che al vero Dio preferisce una serie di prodotti umani, falsamente ritenuti divini, viventi e operanti. All'impotenza degli idoli, e parallelamente di coloro che li fabbricano, vengono dedicate lunghe requisitorie profetiche. Con veemenza dialettica esse contrappongono alla vacuità ed inettitudine degli idoli fabbricati dall'uomo la potenza del Dio creatore e operatore di prodigi (cfr Is 44,9-20; Ger 10,1-16).

Questa dottrina raggiunge il suo sviluppo più ampio nel Libro della Sapienza (cfr Sap 13-15), dove si presenta la via, che sarà poi evocata da san Paolo (cfr Rm 1,18-23), della conoscenza di Dio a partire dalle cose create. Essere “atei” significa allora non conoscere la vera natura della realtà creata, ma assolutizzarla e, per ciò stesso, “idolatrarla”, invece di considerarla orma del Creatore e via che conduce a lui.

3. L’ateismo può perfino diventare una forma di ideologia intollerante, come la storia dimostra. Gli ultimi due secoli hanno conosciuto correnti di ateismo teorico che hanno negato Dio in nome di una pretesa autonomia assoluta o dell’uomo o della natura o della scienza. È quanto sottolinea il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Spesso l’ateismo si fonda su una falsa concezione dell’autonomia umana, spinta fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio” (n. 2126).

Questo ateismo sistematico si è imposto per decenni offrendo l’illusione che, eliminando Dio, l’uomo sarebbe stato più libero sia psicologicamente che socialmente. Le principali obiezioni mosse soprattutto nei confronti di Dio Padre, si attestano attorno all’idea che la religione costituirebbe per gli uomini un valore di tipo compensativo. Rimossa l’immagine del padre terreno, l’uomo adulto proietterebbe in Dio l’esigenza di un padre amplificato, da cui a sua volta affrancarsi perché impedirebbe il processo di maturazione degli esseri umani.

Di fronte a forme di ateismo e alle loro motivazioni ideologiche, qual è l'atteggiamento della Chiesa? La Chiesa non disprezza lo studio serio delle componenti psicologiche e sociologiche del fenomeno religioso, ma rifiuta con fermezza l'interpretazione della religiosità come proiezione della psiche umana o risultato di condizioni sociologiche. L’autentica esperienza religiosa, infatti, non è espressione d’infantilismo, ma atteggiamento maturo e nobile di accoglienza di Dio, che risponde all’esigenza di significato globale della vita e impegna responsabilmente per una società migliore.

4. Il Concilio ha riconosciuto che, nella genesi dell’ateismo, hanno potuto contribuire i credenti per non aver sempre manifestato adeguatamente il volto di Dio (cfr GS, 19; CCC, 2125).

In questa prospettiva è proprio nella testimonianza del vero volto di Dio Padre la risposta più convincente all’ateismo. Ciò ovviamente non esclude ma esige anche la corretta presentazione dei motivi di ordine razionale che portano al riconoscimento di Dio. Purtroppo tali ragioni sono spesso offuscate dai condizionamenti dovuti al peccato e da molteplici circostanze culturali. È allora l’annuncio del Vangelo, avvalorato dalla testimonianza di una carità intelligente (cfr GS, 21), la via più efficace perché gli uomini possano intravedere la bontà di Dio e progressivamente riconoscerne il volto misericordioso.

top