The Holy See - Vatican web site
Jubilee 2000 Search
back
riga


 Quel popolo di poveri che chiede amore e reclama giustizia - Mons. Francesco Gioia

 

Da 84 anni la Chiesa fa giungere un messaggio di solidarietà a tutti i migranti ed i rifugiati del mondo teso anche a sensibilizzare l’opinione pubblica.

I migranti ed i rifugiati rappresentano un popolo sterminato di senza patria che vengono sradicati dal loro humus storico e culturale ed assemblati in aree a loro estranee e spesso ostili, dove dovranno tutto rifarsi, a cominciare dalla lingua, alla religione, alla famiglia, agli affetti.

E’ un immenso popolo di poveri, di affamati, di persone senza potere contrattuale nelle loro prestazioni a servizio dei più ricchi e più potenti o quanto meno dei più fortunati.

Gli emigrati politici: i profughi

In questo popolo di migranti sospinti dall’indigenza, oggi acquistano rilevanza sempre più accentuata i rifugiati politici, i profughi. Purtroppo, se il colonialismo ha evidenziato l’egoismo dei popoli sfruttatori, il post-colonialismo ha visto emergere un egoismo ed una tendenza all'abuso del potere che esiste anche nei poveri. L’uomo è sempre peccatore: è bene prenderne atto, anche se non per condannare ma perché un problema non si può risolvere se prima non si riesce ad impostarlo correttamente.

L’umanità è inorridita davanti allo spettacolo delle stragi dell’Africa, in cui etnie diverse si sono opposte ed hanno determinato spostamenti di popolazioni, raccolte in campi profughi, quando non disperse nelle foreste senza nessun aiuto e nessuna protezione contro la fame e le malattie. L’umanità ha perfino cercato di mettere il silenziatore a notizie che turbavano e turbano le coscienze dei cittadini del Primo mondo alle prese con i loro problemi. Esistono anche attualmente delle guerre ignorate o tenute segrete dalle grandi Potenze, che hanno spento il video su delle realtà che disturberebbero i loro equilibri.

Purtroppo, molto denaro inviato per alleviare la povertà è stato utilizzato per creare centri di potere a gruppi umani del Terzo mondo di natura etnica o ideologica. Tuttavia, la migrazione dei profughi non è esclusiva dei popoli nati dalla dissoluzione del colonialismo. Proprio alle porte della nostra Italia tale migrazione è esplosa, teorizzata dall’ideologia della pulizia etnica. Organismi internazionali hanno cercato di intervenire, ma ancor oggi intere popolazioni vivono lontane dalle terre dei loro padri perché hanno paura di rientrarvi, specie dopo che la presenza degli osservatori internazionali sarà cessata.

Alcuni profughi sembrano avere proprio rinunciato a quella che una volta si chiamava la loro patria e che oggi si ama meglio definire la loro realtà culturale. I Curdi che approdano clandestini alle nostre coste - o altre etnie ancora più remote e meno conosciute – pensano solo a scappare per sopravvivere, disposti a rinunciare alle loro specificità culturali pur di essere salvati come uomini.

Ricostruire l’amore

La vittima della violenza che emigra dalla sua terra è una persona che si porta dentro una sofferenza specifica. Noi conosciamo per tradizione il sentimento dell’emigrante che andava all’estero e mandava le rimesse ai suoi cari rimasti là dov’erano nati – e dove pure lui era nato ed aveva lasciato tante persone amate – e magari tornava dopo un certo numero d’anni a ristrutturare la sua casa natia o ad acquistare dei terreni in continuità della troppo angusta eredità paterna. Era l’emigrante che si portava dentro l’amore per la sua terra, dalla quale lo aveva allontanato la povertà. Invece, il profugo è stato cacciato dall’odio dei suoi e con sé porta il ripudio della propria terra e cultura, e, insieme l’impulso alla vendetta. Il profugo, potenzialmente, è suscettibile di perpetuare l’odio di cui è vittima ritorcendolo sui suoi persecutori, innescando così una catena di violenza senza fine.

La Chiesa, "madre e maestra" – secondo l’espressione di Giovanni XXIII – ed "esperta in umanità" – come la definiva Paolo VI- proclama la necessità di ricostruire l’amore nel cuore dell’uomo. Esiste oggi un’iniziativa che vorrebbe costituire proprio a Roma il Tribunale Internazionale per i delitti contro l’umanità. Si tratta di un tribunale che mira a ristabilire la giustizia attraverso la punizione di chi ha violato i diritti umani, com’è accaduto nella ex-Jugoslavia o nella Cambogia di Pol Pot o altrove, perché è giusto che non tutto si risolva in una mozione di condanna approvata in sede di Nazioni Unite. L’autorità, anche sul piano internazionale, ha bisogno di arrivare alle sanzioni, portando sul piano esecutivo le dichiarazioni di principio solennemente pronunciate.

Tutto questo è vero. Sullo stemma di Papa Pacelli il motto araldico recitava: Opus iustitiae pax! Cioè la pace è frutto della giustizia. Però la giustizia è una componente, non la componente. E’ necessario che intervenga il perdono, che è una forma d’amore.

Solo l’amore cancella il male, secondo la concezione cristiana, grazie alla mediazione del perdono.

Assumendosi questo compito, quale "madre e maestra" ed "esperta in umanità" la Chiesa non compie un atto d’orgoglio ma adempie ad un dovere – certo difficile – che è elemento fondante del suo diritto ad esistere. Infatti, la Chiesa porta all’umanità il messaggio della salvezza attraverso la Redenzione.

Ma che cosa vuol dire Redenzione? Redimere, nella sua etimologia, significa ricomprare, cioè riscattare lo schiavo e ridargli la libertà. Oggi abbiamo perso nel nostro parlare la forza genuina del termine, il compimento del destino umano originario si realizza attraverso il perdono di Dio e la ristrutturazione del disegno primitivo della creazione.

L’uomo laico ed il cristiano si differenziano sul tema del perdono che investe una realtà che si chiama peccato. Il delitto si può cancellare non in seguito all’esaurimento d’una pena, ma in forza di un processo che i cristiani chiamano conversione, cioè cambiamento di atteggiamento interiore.

Per questo, l’esistenza del carcere si giustifica solo come luogo e strumento di rieducazione, che è quanto dire di cambiamento di atteggiamento interiore davanti al male compiuto. Un cambiamento che la società, oggi soprattutto, dovrebbe essere in grado di prendersi a carico di favorire con opportuni sistemi educativi.

Il concetto biblico proclamato dall’organizzazione" nessuno tocchi Caino!" contiene un messaggio: la punizione può diventare il primo anello di una catena di vendette, solo il ravvedimento del delinquente ed il perdono da parte di coloro che sono stati oggetti del delitto possono reinserire nella società il colpevole rifatto innocente.

Ricostruire l’amore: questo messaggio la Chiesa propone in forza della sua missione e tradizione a quanti lavorano per eliminare dalla faccia della terra la piaga degli emigranti creati dall’odio, dei profughi della violenza. Sono molte decine di milioni, forse, in questo campo le statistiche sono prudenti perché i signori della guerra e della violenza sono pericolosi anche per le autorità internazionali.

Le statistiche relative a fenomeni del genere accaduti, per esempio, in regimi totalitari hanno cominciato a circolare solo dopo che tali regimi sono diventati innocui. Ma è proprio in situazioni in cui dilagano gli imperi del male che è importante sostenere, alimentare, proclamare la forza dell’amore, la forza che è in grado di contrastarlo, magari anche di prevenirlo o quanto meno sanarlo grazie al perdono. IL Grande Giubileo del 2000 è l’occasione propizia per ricordare la necessità di ricostruire l’amore.

Francesco Gioia

Segretario del Pontificio Consiglio della

Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

 

top