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L’intervista

Ridurre il debito per rilanciare lo sviluppo dei popoli 
di Guido Bossa

Parla Mons. Diarmuid Martin, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: un sistema economico che lascia ai margini intere popolazioni è sempre fragile

A palazzo San Calisto, sede del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in questi giorni di maggio, a mezzogiorno, coloro che sono presenti in ufficio si riuniscono in cappella a pregare per la pace e cantare il Regina Coeli. E’ un sabato mattina, e tocca a mons. Bernard Muyembe Munono, un sacerdote congolese, guidare la preghiera: lo fa richiamando un brano del Vangelo  che invita a promuovere la pace oggi, anche se non c’è uno stato di guerra, per preparare la pace domani, e a non considerare estranei alla nostra tranquillità i problemi e le situazioni di ingiustizia che magari riguardano popoli e paesi a noi lontani, poiché ciò che succede ad altri potrebbe succedere, un domani, anche a noi.

Per una conversazione con Monsignor Diarmuid Martin, Segretario del Pontificio Consiglio, sul problema del debito internazionale dei paesi poveri, è un suggerimento stimolante, che non esitiamo a tradurre in domanda:

Dunque, preparare la pace anche quando non c’è la guerra, e non trascurare le situazioni di ingiustizia anche le più lontane da noi. Come questo concetto si può applicare all’iniziativa sul debito lanciata da Giovanni Paolo II?

La campagna per la riduzione del debito fa parte di un progetto molto più vasto, che riassumerei in questi termini: ristabilire rapporti diversi fra i popoli e le nazioni. Rapporti più equi, più giusti Si pensa alla riduzione del debito perché il pagamento di debiti che si sono accumulati da anni è una procedura del tutto improduttiva, che non aiuta le popolazioni. Il tentativo è di elaborare un progetto organico di riduzione del debito con i soldi destinati allo sviluppo, per aiutare i popoli ad assumere loro stessi il compito dello sviluppo. Lo sviluppo non è un modello imposto da fuori; sviluppo oggi significa mettere le persone in grado di utilizzare quelle capacità che Dio ha dato a ciascuno di essere pienamente se stesso.

Quindi non è una questione di carità, ma di giustizia.

Se leggiamo la Bibbia, vedremo che termini come carità e giustizia, così come pace e amore, sono molto più ricchi di quanto l’intendiamo noi, e in fondo sono tutti legati ad un’unica idea, della dignità di ogni persona e dell’unità della famiglia umana. Per me è più importante creare rapporti di famiglia, in cui ciascuno è in  grado di valorizzare i talenti che ha ricevuto, di essere pienamente se stesso anche nella diversità, ma in cui tutti collaborano insieme per il bene di tutti.

Se il progetto va avanti, si può avere l’impressione che ci sono alcuni paesi, i paesi ricchi, che danno, o che rinunciano a qualcosa, e altri, i paesi poveri, che si limitano a ricevere. E’ così? Che cosa possono dare i poveri?

L’impressione è sbagliata. La soluzione del problema del debito interessa tutti. Mi spiego. Noi oggi parliamo molto del concetto di globalizzazione, ma la prima caratteristica della globalizzazione è che sia veramente globale, cioè che includa tutti. Un sistema economico che lascia ai margini gran parte della popolazione, nazionale o mondiale, è sempre fragile. Bisogna anche capire che la partecipazione, la possibilità di tutti, singoli e paesi, di essere veramente protagonisti, è nell’interesse di tutti. Noi partiamo da una visione del creato che è molto diversa da quella dei rapporti internazionali correnti. Se il creato è frutto dell’amore di Dio, il modello di rapporti fra nazioni non può essere fondato sulla potenza o sulla protezione dell’interesse nazionale o sull’interesse dei singoli gruppi; ma su un modello in cui si valorizzano le capacità di ciascuno. L’idea della campagna sul debito  si propone di affrontare un problema molto concreto che è emerso. La crisi del debito attuale ha avuto un suo inizio che si può anche identificare nella storia recente, gli ultimi vent’anni Si è visto che questa è stata una deviazione nel cammino verso lo sviluppo. Si cerca ora di risolvere il problema al più presto possibile per permettere a tutti di progredire verso un futuro diverso.

L’appello del Papa, nella TMA, è del 1994; oggi siamo alla vigilia del Duemila. Quali passi concreti sono stati compiuti, e quali sono le prospettive?

L’appello del Papa va ancora indietro. Il Papa sin dagli anni 80 parla di questo problema, poi con la Tertio Millennio Adveniente lo ha inserito nel contesto del Giubileo, e da allora il tema è stato ripreso da moltissime persone, da altri leader religiosi, da persone che provengono da esperienze e hanno mentalità diverse. Addirittura c’è un movimento di cantanti rock che hanno assunto questo come tema per l’anno del Giubileo. Nel frattempo c’è stato un cambiamento nella maniera di pensare anche dei governi più ricchi del mondo, e speriamo che al G7 di Colonia,  il 19 giugno, si arriverà alla presentazione di un progetto comune per affrontare entro l’anno 2000 il problema del debito almeno dei paesi più poveri. Il cambiamento della volontà politica almeno nell’ultimo anno è notevole; ormai tutti riconoscono che l’iniziativa Hipc, il progetto della Banca mondiale a favore dei paesi maggiormente indebitati (vedi scheda a parte, ndr.) lanciata solo due anni fa, non solo è una strada valida, ma va approfondita, resa più  tempestiva e allargata. Questo è già un passo avanti rispetto alla posizione di due anni fa, anche se altri progressi nella stessa direzione sono possibili e, secondo noi, doverosi. Per fare un esempio del cambiamento realizzato, le dirò che pochi giorni fa a New York, alle Nazioni Unite, il presidente della Banca mondiale incontrando i rappresentanti della Banca che seguono l’Africa, ha chiesto loro: qual è per voi la priorità? Tutti hanno risposto: il debito. Anche nel campo civile c’è il riconoscimento che questo è un problema che bisogna superare rapidamente per riaprire rapporti normali fra Stati. E però, una volta risolto i problema del debito, bisogna affrontare il problema più  grave, perché tutti i problemi di questi paesi non saranno risolti con la riduzione del debito. Avranno bisogno di molti aiuti per gli anni futuri,  aiuti da destinare a scopi specifici e da utilizzare bene. Il problema è che il livello degli aiuti internazionali è basso da 50 anni. Occorrono dunque aiuti per la cooperazione allo sviluppo; e bisogna ritrovare la volontà  politica della comunità internazionale di destinare soldi allo sviluppo.

E’ una questione che riguarda solo i governi, o anche le opinioni pubbliche?

Certamente non riguarda solo i governi, ma anche sul versante delle opinioni pubbliche c’è stato un rinnovato interesse e la nascita della consapevolezza di che cosa si tratta. Si riconosce che queste iniziative di riduzione del debito  in occasione del Giubileo sono  ben preparate. Non è una questione di rinunciare a soldi che poi finiscono nelle banche svizzere, o di promuovere iniziative che portano benefici a persone corrotte. No, è un modello molto concreto: si tratta di convertire una parte del debito in denaro per qualcosa di utile, di promuovere attività produttive, di garantire per quanto possibile un maggior coinvolgimento dei cittadini e degli Stati dei paesi in via di sviluppo anche nella gestione della cosa pubblica, delle cose che toccano la loro  vita. In tutta questa campagna tutti riconoscono un certo primato al Papa, che è stato una delle prime persone ad attirare con una certa forza attira l’attenzione su questo problema. E’ bene che oggi questo coro di voci si allarghi e raggiunga l’espressione di una volontà politica importante. La volontà politica senza reperibilità di fondi è un problema. Colpisce a tutti il fatto che quando si tratta di finanziamenti per le armi o per la guerra, anche enormi somme possono essere trovate in breve tempo. Bisogna arrivare ad una situazione in cui c’è la stesa volontà politica e finanziaria per finanziare le cose che promuovono la crescita e lo sviluppo delle persone.

Scheda

Come si muove la Banca mondiale

L’Iniziativa per i Paesi poveri fortemente indebitati (in sigla inglese HIPC) è stata lanciata dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale nel settembre 1996, e appoggiata da 180 governi che la considerano lo strumento più efficace per consentire ai paesi poveri di uscire dalla spirale del debito.

Si tratta di ridurre a livelli sostenibili il debito dei paesi più poveri che si impegnano a realizzare politiche di riforma economica e sociale, e l’iniziativa è attuata in modo specifico nei casi in cui i tradizionali meccanismi di riduzione del debito sono inadeguati rispetto all’obiettivo. Nel processo sono coinvolti i paesi creditori, i donatori e le istituzioni finanziarie internazionali: i paesi poveri sono incoraggiati a focalizzare le proprie energie nella costruzione di politiche in grado di sostenere lo sviluppo e ridurre la povertà. In un primo stadio, per un periodo di tre anni, vengono realizzate riforme economiche e sociali specie nel campo dell’educazione e della salute. Alla fine di questo periodo, la comunità internazionale stabilisce se il livello del debito accumulato dal paese in questione è sostenibile, e un pacchetto di ulteriore riduzione è identificato a favore dei paesi il cui debito rimane insostenibile anche dopo l’adozione dei consueti meccanismi di riduzione.

Fino al mese di aprile 1999, sette paesi hanno ottenuto una riduzione pari in totale a 3 miliardi di dollari (Bolivia, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guyana, Mali, Mozambico, Uganda). Altri paesi, prevalentemente africani ma anche asiatici, sono in trattative con la Banca mondiale e il Fmi per le procedure dell’ HIPC.

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