Lunità del vero Dio e vero uomo - Papandreou Damaskinos
Jubilee 2000 Search
back
riga


"E VOI, CHI DITE CHE IO SIA?"

L'UNITÀ DEL VERO DIO E VERO UOMO

Papandreou Damaskinos

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt. 16,16) è la risposta che dà l'Apostolo Simon Pietro dà alla domanda posta da Gesù ai suoi discepoli: «Chi è il Figlio dell'Uomo secondo la gente?» (16,13). Si tratta della prima professione di fede che riscontriamo nel Nuovo Testamento e che costituisce la "pietra", il fondamento sul quale è edificata la Sua Chiesa. «Cristo è il Figlio del Dio vivente». È la verità che ci salva.

Questo cosa vuol dire? Dio diventa uomo perché l'uomo, in quanto portatore delle energie increate di Dio, vive in unione con Lui. Questo evento dinamico rinnova tutta la creazione: Dio si fa uomo per farsi carico delle conseguenze del peccato originale – la sofferenza e la morte: «Ciò che non può essere assunto, non può essere salvato».

L'umanità intera partecipa per così dire organicamente alla natura umana di Dio (Logos) che si è incarnato. Coloro che sono stati riscattati divengono figli di Dio non come Cristo «per natura e verità (come dice Attanasio il Grande) ma per disposizione e grazia divina, per partecipazione al suo spirito e per imitazione». Così il Padre ha realizzato nel suo Figlio la salvezza per il mondo intero ed ha creato una relazione fra tutte le cose.

Che cosa significa ciò? Significa che tutti gli uomini possono divenire attraverso lo Spirito figli di Dio. Sono i figli di Dio che vengono condotti attraverso lo Spirito di Dio. «E voi non avete ricevuto in dono uno spirito che vi rende schiavi e che vi fa di nuovo vivere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di Dio che fa diventare figli di Dio e vi permette di gridare "Abba", "Padre". Perché lo stesso spirito ci assicura che siamo figli di Dio»(Rm. 8, 14-17). Tutti gli uomini, senza distinzione di sesso, di età, classe, razza, opinione politica e valore morale divengono per mezzo del Battesimo membri della nuova famiglia di Dio. Attraverso il Battesimo, i Cristiani partecipano all'opera redentrice del Cristo stesso, collaborano alla sua azione. L'acqua della nuova creazione che è il Battesimo consacra la loro trasformazione ed è così che essi cominciano a prendere parte alla vita del Dio-uomo e ad operare con Lui a beneficio di tutta l'umanità. Essi pregano senza sosta "venga il tuo regno". Poiché tale regno raduna attraverso la sua essenza e la sua natura l'umaità intera.

Questa famiglia, il "Corpo di Cristo" si chiama Chiesa. Questa Chiesa che siamo noi stessi in quanto membra di questo corpo, non esiste per se stessa, per affermare se stessa- ma per il mondo. E precisamente perché la Chiesa rappresenta il Corpo di Colui che "per mezzo della sua umanità diviene identico a noi" e partecipa alla vita della Chiesa e della Storia, la Chiesa non esiste se non in quanto incarnazione del Signore nel mondo e nella storia. Essa ha una relazione organica con il mondo. Tale relazione è ugualmente vissuta nell'Eucarestia.

L'Eucarestia è l'evento sacramentale nel quale la comunità rinnovata con Dio è celebrata e realizzata attraverso la forza dello Spirito Santo. L'uomo è collocato in questa comunità e creato per essa. Se venisse a perdere questa comunità, la stessa relazione con i suoi simili e il suo ambiente ne verrebbero perturbati. «È in Gesù Cristo che Dio rinnova la comunità nella sua duplice dimensione (...) La nostra partecipazione alla mensa del Signore rafforza in Gesù Cristo in modo indissolubile la comunità con Dio e con i nostri simili. L'Eucarestia è il segno escatologico della salvezza universale».

Al centro di questa comunità è il Dio-uomo, la divina umanità di Gesù, la visione dell'«uomo-nuovo», la «società nuova» che è caratterizzata da due movimenti che si intersecano in maniera indissolubile; dall'altare verso il mondo e dal mondo verso l'altare: contemplazione e azione, servizio dell'uomo e servizio di Dio, liturgia e diaconato spirituale e temporale.

Se si parte da Cristo, la salvezza del mondo, non vi è distinzione tra il servizio dello sviluppo e i servizi della riconciliazione. Ecco perché la nostra missione ha un'ampia dimensione diaconale. Tale dimensione scaturisce in eguale misura dall'azione globale di Cristo che «insegnava, annunziava, e guariva» (Mt. 9, 35) e dall'esistenza umana globale.

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Cristo, la fonte che rinnova la nostra azione è «lo stesso ieri, oggi e sempre» (Ebr. 13, 8). Ogni deviazione importante nella comprensione dell'umanità e della divinità del Figlio nella persona stessa del Dio-uomo avrebbe delle conseguenze per l'uomo, nella Chiesa, per la comprensione della salvezza. Praticamente, ciò si verifica allorquando si estrae l'una o l'altra verità parziale della professione di fede e non si vuol più vedere altro che questa. Un esempio di tale verità parziale potrebbe essere che l'uomo oppresso dalle miserie e dalla sofferenza si leghi esclusivamente alla natura umana di Gesù di Nazareth sofferente mentre la natura ineffabile di Dio "scompare alla sua vista" (v. Lc. 24, 31b). Non si pensi dunque a Gesù solo in quanto uomo.

E ciò viene spontaneo se si considera la divinità di Cristo in sé, in maniera tale che essa determini la nostra esistenza umana e la nostra relazione col mondo. Tutto ciò che ci interessa non deve essere sopravvalutato e posto come assoluto, a meno di non incorrere in questo falso dilemma: natura umana o Natura divina, umanesimo o teocrazia, croce o resurrezione. Non si può contrapporre una di queste verità all'altra, e così separarle. L'una è contenuta nell'altra.

La comprensione della Chiesa deve partire ugualmente dal Cristo. Essa è il suo "corpo". La divina umanità del Cristo determina la forma della Chiesa, la sua esistenza, la sua struttura (Christus totus in capite et corpore). Se non si prende come punto di partenza l'unità indivisibile della divinità e dell'umanità di Cristo, la Chiesa è allora considerata come un'organizzazione o un'istituzione sociologica o umana, o ancora come una società distaccata dai problemi di questo mondo, in funzione di verità parziali che si sono scelte e che , più o meno consapevolmente, si pone come assoluto Se noi siamo fedeli all'immagine rivelata di Cristo nella situazione concreta di oggi, noi comprenderemo la nostra relazione con Dio come allo stesso tempo verticale e orizzontale.

Verticale: lo scambio d'amore tra creatura e creatura si compie nello stesso tempo dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso. E' così che si compie la relazione dell'uomo con Dio.

Orizzontale: si tratta della relazione dell'uomo con i suoi fratelli e le sue sorelle. In essi, egli ama Dio e serve Dio che non vede. Egli non vede i suoi fratelli e le sue sorelle solamente in funzione della loro vocazione eterna, ma anche nella prospettiva della loro situazione concreta nel presente.

Il pericolo della verticalità è di dimenticare i nostri fratelli e sorelle mentre ci affidiamo totalmente a Dio Quello dell'orizzontalità è di dimenticare Dio con il pretesto di servire il prossimo.

Il principale pericolo che dobbiamo menzionare qui è che le Chiese, per operare nel mondo, finiscono con il secolarizzarsi. La Chiesa deve restare la Chiesa, anche quando si schiera accanto ai poveri, agli oppressi e agli affamati. Nel fare ciò, essa deve annunciare agli uomini del suo tempo il Cristo nella sua interezza, annunciare Lui solo e portare la sua Redenzione. È vero che Gesù testimonia un amore e una presenza tutta particolare a coloro che sono ai margini della società, ai malati e ai poveri, ai deboli e ai colpevoli. Essa si schiera infatti a fianco di coloro che hanno tutto contro e rimane a fianco dei deboli e di coloro che vengono defraudati dei loro diritti.

Ma ciò significa forse che bisogna identificare Dio con gli oppressi, il messaggio del Vangelo col trionfo sulla violenza e l'ingiustizia? La giustizia non deve essere confusa con la giustificazione; la liberazione politica e la vittoria sulla povertà non possono essere messe sullo stesso piano della redenzione.

D'altra parte, Berdiaiev afferma che la questione del "nostro pane" è una questione materiale, mentre la questione del pane del nostro prossimo è una questione spirituale. C'è senz'altro del vero in questa affermazione. Colui che non si impegna spontaneamente a portare soccorso agli uomini nelle loro sofferenze concrete può rendersi colpevole di eresìa al pari di colui che rinnega questa o quella verità di fede.

Che l'umanità abbia pane a sufficienza per vivere dipenderà dal fatto che un numero sufficiente di uomini comprendano che non di solo pane vive l'uomo. Sarebbe sbagliato, in questo senso, contrapporre il «verticale» all'«orizzontale». Ciascuna delle dimensioni della fede forma un tutt'uno con le altre. Non vi è una netta separazione tra la storia della salvezza e la storia del mondo. Va da sé a questo riguardo che la Chiesa non è il medico immunizzato al capezzale della società. Noi viviamo nella società e, con essa, noi possiamo essere malati, lottare e disperarci.

E tuttavia, non è facile conservare l'equilibrio fra queste due diverse tendenze, tra l'orizzontale e il verticale, tra l'umanità di Dio e l'adozione dell'uomo da parte di Dio. La nostra generazione ha conosciuto questi "buoni cristiani" il cui ideale era la fuga dal mondo, benchè essi conducessero una vita agiata. Oggi, subiamo la tentazione contraria. Per volersi dedicare completamente al servizio del prossimo, molti cristiani perdono di vista la trascendenza di Dio per vedere infine solo la sua immanenza negli uomini, o quella sola umanità comune.

Questa tendenza si accompagna spesso ad un orientamento teologico unilaterale. Per il bene dell'uomo e del mondo, dovremmo restare teologicamente più vicini alla professione di fede di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» che considera insieme Dio e l'uomo senza peraltro confonderli.

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», la memoria di due millenni di storia del Cristianesimo definisce in misura più o meno grande, la sua responsabilità anche alle soglie del terzo millennio. Nel primo millennio, la Chiesa cristiana associa la pace del mondo "pax romana" alla pace del cielo, fondata sul mistero dell'incarnazione del Cristo come una "riconciliazione" del genere umano con Dio e come una nuova relazione dell'uomo con il suo prossimo nel contesto dell'umanesimo teocentrico della Chiesa.

Nel corso del secondo millennio il Cristiano d'Oriente e d'Occidente cerca di allargare il suo contributo all'umanesimo teocentrico della Chiesa sia attraverso la riflessione teologica (teologia scolastica in Occidente ) sia attraverso l'emancipazione della propria vita spirituale faccia a faccia con l'esperienza spirituale della Chiesa – che è il "Corpo di Cristo" perpetuato nel tempo e nella storia – riscoprendo un umanesimo antropocentrico per la vita dell'uomo e del mondo.

Ripercorrendo così schematicamente la storia spirituale dei. primi due millenni la questione ora si pone sul tipo di umanesimo che caratterizzerà il terzo millennio. I popoli cristiani si rivolgono alle fonti che hanno irrigato per due millenni la loro identità spirituale ed hanno dato delle risposte credibili alla loro angoscia esistenziale. Tale ricordo rammenta loro al contempo lo slancio di Dio verso l'uomo e quello dell'uomo verso Dio con tutte le componenti delle conseguenze che questi due movimenti hanno avuto in senso inverso sull'identità dell'uomo attraverso le mutevoli condizioni di ciascun epoca. La Chiesa di Cristo opera attraverso il tempo come una memoria che garantisce la continuità e l'equilibrio tra gli interrogativi congiunturali e le istanze dei Cristiani. Per far questo essa si tiene – o, almeno, dovrebbe tenersi – all'erta, per captare i messaggi dei tempi.

Al la soglia del terzo millennio, siamo tutti coscienti del fatto che la rivendicazione dell'uomo contemporaneo di voler interpretare da solo la propria identità e la propria missione nel mondo ha accumulato tanti problemi nell'umanità che l'uomo moderno è ora incapace di assimilarli o di gestirli nell'interesse dell'umanità. La sua pretesa di fondare la pace sociale dei popoli sulla necessità della morte di Dio si è rivelata in pratica non soltanto una chimera, ma ancor più un incubo che sfida l'angoscia spirituale dell'uomo.

Le conseguenze dolorose del recente crollo, brusco e inatteso, delle chimere dell'ideologia hanno dimostrato che l'uomo non può dissetarsi sognando di essere vicino a una fonte. .La fame e la sete spirituali dell'uomo, provocate dalle "impasses" spirituali della nostra epoca si confermano attraverso il ricorso, istintivo e cosciente, alle fonti della spiritualità diacronica, malgrado la chiesa non sia ancora pronta a trovare soluzioni a queste "impasses" che l'uomo moderno deve affrontare. Essa ha tuttavia il dovere di farsi carico dell'uomo moderno con tutti i suoi problemi, di affidarli alla Mensa del Signore laddove si incarna e si offre il realismo sociale della Chiesa come "pane di vita" e "antidoto contro la morte". È unicamente all'altare del Signore che la morte diviene per l'uomo fonte di vita e cibo spirituale perché il mondo viva. Questo umanesimo cristocentrico è il compito della Chiesa e speranza del mondo per il terzo millennio.

In questa ottica la III Conferenza panortodossa preconciliare (Chambèsy, Ginevra, 1986) nel proclamare la pace, la giustizia e i diritti dell'uomo ha illustrato la missione della Chiesa e di ciascun cristiano:

«Noi, i cristiani ortodossi, per il fatto stesso che abbiamo avuto accesso al senso della salvezza, abbiamo il dovere di lottare per alleviare la malattia, la sventura, l'angoscia; poiché noi abbiamo avuto accesso all'esperienza della pace, non possiamo restare indifferenti di fronte alla sua assenza nella società attuale, poiché noi siamo stati beneficiari della giustizia di Dio, lottiamo per una giustizia completa nel mondo: e per la scomparsa di ogni oppressione, perché ogni giorno sperimentiamo la clemenza divina, noi lottiamo contro ogni fanatismo ed intolleranza tra gli uomini e i popoli».

Vorrei sottolineare a questo proposito che la tolleranza di cui abbiamo parlato fin qui non è sufficiente. La tolleranza deve essere uno stato d'animo provvisorio, che conduce alla riconoscenza Tollerare in fondo equivale ad offendere. Noi siamo chiamati, attraverso un dialogo approfondito, a conoscere l'altro quale è, per poterlo riconoscere così' com'è senza per questo smettere di essere ciò che siamo.

Dopo questa precisazione, torno a citare la decisione della III Conferenza panortodossa preconciliare che aggiunge: «poiché noi proclamiamo continuamente l'incarnazione di Dio e la divinizzazione dell'uomo, difendiamo i diritti dell'uomo per tutti gli uomini e tutti i popoli, perché noi viviamo il dono divino della libertà grazie all'opera redentrice del Cristo, noi possiamo annunciare in maniera più completa il suo valore universale per ciascun uomo e per ciascun popolo; perché nutriti del Corpo e del Sangue del Signore nella santa Eucarestia, noi viviamo il bisogno di condividere i doni di Dio con i nostri fratelli, comprendiamo meglio la fame e la privazione e lottiamo per la loro abolizione, perché attendiamo una terra e cieli nuovi ove regni la giustizia assoluta, combattiamo hic et nunc per la rinascita e il rinnovamento dell'uomo e della società».

(Cenni biografici - Papandreou Damaskinos è Metropolita greco-ortodosso della Svizzera e segretario del Segretariato per la preparazione del Grande e Santo Concilio delle Chiese ortodosse. Per tale funzione è in contatto permanente e regolare con tutte le chiese ortodosse. È, inoltre, fondatore e Direttore del Centro ortodosso di Chambesy).

top